La Chiesa celebra oggi la solennità del battesimo di Gesù. Con questa festa si conclude la celebrazione del Mistero natalizio. Racconta il testo evangelico che Gesù fu battezzato da Giovanni il Battista. È importante ricordare che il battesimo di Giovanni manifestava l’accoglienza nella propria vita del suo invito alla penitenza e si compiva mediante un rituale ben preciso. Il penitente entrava nelle acque del fiume Giordano e sul suo capo veniva versata l’acqua, cosicché questi ne era come sommerso.
Celebriamo, oggi, la solennità dell’Epifania. La parola Epifania significa manifestazione. ll Bambino nato a Betlemme, che noi, insieme ai pastori, abbiamo contemplato e adorato il giorno di Natale, non è solo il Messia promesso al popolo d’Israele, ma è dono di Dio all’umanità. La Sua venuta è per tutti, perché Egli è “luce per illuminare le genti. I Magi, che giungono da lontano per offrire oro, incenso e mirra costituiscono la primizia e l’inizio dell’adorazione universale di Gesù Cristo, unico e insostituibile Salvatore del mondo.
Il Figlio di Dio ha voluto iniziare la sua missione di Salvatore all’interno di una famiglia, la quale non solo è la prima realtà che Gesù ha santificato con la sua presenza, ma anche luogo dove il Bambino Gesù, fragile, senza potere e minacciato ha trovato aiuto, cure e protezione. Erode cerca di ucciderlo. La famiglia è luogo di amore, di donazione e di trasmissione della vita. Per quanto riguarda i figli è opportuno ricordare che i genitori non ne sono i proprietari. Gesù, infatti, non fu solo di Giuseppe e di Maria, ma soprattutto del Padre celeste. I figli, dunque, e non solo il Figlio che è Gesù, sono il segno della visita di Dio e della sua benedizione.
I grandi Padri della Chiesa, Atanasio, Gregorio di Nazanzio e Agostino, rifacendosi ad Ireneo, hanno coniato una formula che è divenuta classica: “Dio si è fatto uomo perché l’uomo diventasse Dio, per grazia”.
In questa IV domenica di Avvento la Chiesa ci porta a meditare l’episodio dell’annuncio dell’Arcangelo Gabriele a Maria Santissima. Trova, così, compimento la profezia di Isaia: “Ecco la Vergine concepirà e partorirà un Figlio che chiamerà Emmanuele: Dio con noi”. Con questo episodio siamo introdotti nel cuore del Natale, che tra qualche giorno celebreremo nel suo evento storico, accaduto circa duemila anni fa. Dio, assumendo una carne come la nostra nel seno della Vergine Maria, da “Dio altissimo” e “onnipotente”, avvolto nello splendore di una luce che abbaglia, si è fatto uno di noi per parlarci; farci conoscere il suo volto; divenire nostro compagno di vita; salvarci dal peccato e dalla corruzione, svelarci chi è Dio e chi è l’uomo.
Questa terza domenica di Avvento è chiamata anche la domenica della gioia.
Inizia oggi, con la prima domenica di Avvento, il nuovo Anno Liturgico. Durante l’Avvento, che si prolunga per quattro settimane, la Chiesa ci porta a meditare sulle tre venute di Cristo. La prima celebra l’incarnazione del Figlio di Dio, evento accaduto in un tempo determinato ed in un luogo ben preciso. Con essa noi abbiamo conosciuto l’infinito amore di Dio che, per liberare l’uomo dalla schiavitù del peccato ed aprirgli la porta del Paradiso, ha accettato di entrare nel nostro mondo e di assumere la debolezza della nostra carne. Questa venuta noi la celebriamo nel santo Natale, che inaugura il tempo della salvezza.
Siamo giunti, carissimi fratelli e sorelle, alla fine dell’anno liturgico e per questa ragione la Chiesa celebra la solennità di Cristo Re dell’Universo. In questa domenica risuona alle nostre orecchie e dentro al nostro cuore una parola che offre una grande certezza alla nostra vita: ”Bisogna … - così afferma san Paolo nella seco lettura - che Cristo regni finché non abbia posto tutti i nemici sotto i suoi piedi”. E’ come se ci venisse detto, con un linguaggio più vicino a noi: “Dio ha deciso che Cristo regni…e quindi ciò accadrà necessariamente”.
Siamo ormai prossimi al termine dell’Anno Liturgico e la Chiesa in queste domeniche ci ricorda che il mondo non è eterno, ma è destinato a finire. Tuttavia, per il Signore la fine del mondo non è pensata come un evento catastrofico, ma piuttosto in termini di maturazione. Egli, infatti, per parlarne si serve dell’immagine della mietitura del grano o della donna che vive le doglie del parto. La creazione, dunque, avrà un termine che coincide con il suo compimento e quando questo accadrà, Dio finalmente “sarà tutto in tutti”.
Il Vangelo di questa domenica ci presenta la parabola delle dieci vergini, di cui cinque sono qualificate come sagge e cinque stolte. Nel racconto è presente una durezza ed una drammaticità che emerge, in particolare, dal dialogo tra le ragazze e dalle parole di Cristo-Sposo: “andate a comprarvelo” e “non vi conosco”.
Nel Vangelo di questa domenica, Gesù elenca tre peccati che svuotano la vita dei discepoli di Cristo
Qual è il più grande comandamento? La domanda viene posta dai farisei per tentare di mettere ancora una volta, ma inutilmente, in difficoltà Gesù. Egli, infatti, risponde alla questione con grande lucidità e semplicità: Amerai il Signore Dio tuo con tutto il cuore, con tutta l’anima, con tutta la mente.
Nella seconda lettura della Santa Messa di questa domenica ci viene descritta la vita della comunità cristiana. Essa cresce e diventa sempre più famiglia di Dio se si lascia guidare dalla presenza dello Spirito Santo. Con quest’anima divina i cristiani sono in grado di crescere nella fede, di vivere nella carità, di essere fortificati nella speranza. Soprattutto, l’uomo è in grado di conoscere il destino che Dio gli ha riservato e che ci è pienamente rivelato da Cristo.
Gesù con la parabola degli invitati al banchetto di nozze rivela il destino finale dei suoi discepoli. Nonostante i cataclismi, i peccati, la crudeltà e le ingiustizie la storia umana cammina decisamente verso il banchetto eterno, verso un destino di gloria e felicità. La grandezza della fede risiede proprio nella visione che offre della vita: ci permette di intravvedere nella fragilità del presente la luce del futuro.
La parabola che Gesù oggi racconta richiama un testo del profeta Isaia che viene chiamato “Il canto della vigna” (Is. 5, 1-7). In esso il profeta descrive la storia del rapporto tra Dio ed il suo popolo. Una storia che sembrerebbe molto ricca di eventi, ma che in realtà, guardata in profondità, appare molto monotona. Infatti, da una parte troviamo l’amore infinito di Dio che non si stanca di inviare i suoi messaggeri (i profeti) per richiamare alla fedeltà il suo popolo e dall’altra il continuo tradimento di questi. Poiché Israele si rifiuta di accogliere gli inviti del Signore cadrà in rovina.
Gesù anche questa domenica ci parla con una parabola la quale, pur avendo una grande connotazione polemica nei confronti della classe dirigente del suo tempo, è rivolta anche a noi. L’insegnamento appare molto chiaro.
Ancora una volta le parole di Gesù ci sconcertano perché rompono i nostri schemi mentali e il nostro modo di pensare.
Domenica scorsa abbiamo meditato, aiutati dalle parole di Gesù, sulla condotta da tenere nei confronti dei fratelli che commettono il peccato. Oggi è san Pietro che pone a Cristo un caso ben preciso: Signore, quante volte dovrò perdonare al mio fratello, se pecca contro di me? Alla base di questa domanda sta una questione molto concreta e cioè come comportarci quando il fratello ci fa del male. Nella parola “fratello” sono inclusi innanzitutto i membri della comunità cristiana, ma alla luce dell’universalità del messaggio di Cristo, essa comprende tutti gli uomini.
La Chiesa, nella quale vive il Signore, è una fraternità in quanto tutti sono figli di Dio. L’esperienza quotidiana, però, ci fa toccare con mano che non si tratta di una fraternità perfetta, fatta solo di puri e di santi. In essa è presente il peccato e a volte anche in forma grave. Per questo motivo, dice Gesù, è necessaria la correzione fraterna. Si corregge perché si ama. Il dovere della correzione spetta a ciascun credente; nessuno può considerarsi esonerato in quanto chi pecca non è un estraneo, ma un fratello e quindi non è possibile l’indifferenza o l’ostilità nei suoi confronti. La posta in palio è alta; si tratta di riguadagnare alla Chiesa chi ha deviato e di ristabilire la comunione che è stata indebolita a causa del peccato.
In questa domenica Cristo parla della sofferenza e della morte che lo attendono a Gerusalemme. Pietro, lo abbiamo meditato nel Vangelo di domenica scorsa, che ha riconosciuto Gesù come il Messia, ora davanti all’annuncio che ascolta rimane scandalizzato e si oppone ad una simile eventualità. Accettare Gesù come Figlio di Dio è ammissibile, ma è inammissibile che il Figlio di Dio debba terminare la sua vita con una morte orrenda. Anche a noi con l’apostolo viene da dire che il mondo non sarà salvato da un crocifisso in più.