Nel brano di Vangelo di oggi, Gesù ci dice quale atteggiamento devono avere i suoi amici con gli altri. Egli pone alla base di ogni relazione l’amore. La parola “amore” è la più inflazionata e utilizzata al mondo, eppure l’esperienza ci insegna che amare è terribilmente difficile, arduo. Il modo “normale” di amare consiste nel volere bene a coloro che ci amano e ci fanno del bene. Non è questo quello che viene chiesto ai cristiani, a coloro, cioè, che scelgono di seguire Gesù.
Il Vangelo di questa domenica ci presenta il discorso delle beatitudini, definite da papa Francesco come via pratica di santità. Nei primi secoli del cristianesimo le beatitudini venivano consegnate ai neo-battezzati insieme al Padre Nostro. Questa scelta era motivata dalla convinzione che esse non sono espressioni poetiche, astrazioni "spirituali", regole di condotta, ma costituiscono l’autobiografia di Cristo, ci dipingono il suo ritratto, ci descrivono la sua personalità.
Il tema della Liturgia della Parola di questa domenica è l’esperienza dell’incontro con il Signore. Sia nella prima lettura che nel brano di Vangelo il momento della vicinanza con il Signore coincide con la presa di coscienza della propria indegnità, della grande distanza e diversità che esiste tra noi e Lui a causa del nostro peccato.
Gesù per circa 30 anni ha condotto una vita nell’anonimato e nella banale quotidianità, che si esprime, come per la maggioranza degli uomini, in giorni, mesi, anni sempre uguali. Agli occhi dei suoi concittadini l’esistenza di Cristo appare simile a quella di un qualsiasi operaio del suo tempo. Si tratta di una cosa straordinaria: il Figlio di Dio, Dio Lui stesso e Creatore dell’Universo, ha vissuto, quasi sfuggendo allo sguardo del mondo, una vita di santità in nessun modo straordinaria, fatta di attesa, di obbedienza, di rispetto della vita sociale, liturgica e di pietà della sua comunità. In questa “ferialità” noi abbiamo la prova dell’umiltà della divinità del Signore.
L’evangelista S. Luca è preoccupato di dirci che il contenuto dei Vangeli, compreso il suo, sono “gli avvenimenti che si sono compiuti in mezzo a noi”. I Vangeli, dunque, non raccontano miti, favole, ma eventi storici nei quali si realizzano le promesse di Dio. Proprio per questo motivo egli ha analizzato criticamente tutte le fonti che gli erano accessibili e ne ha scritto un resoconto ordinato per dare un fondamento certo alla nostra fede.
Pubblichiamo la conferenza tenuta il 12 gennaio 2019 ad un gruppo di fedeli laici da Sua Eccellenza Monsignor Francesco Cavina, Vescovo di Carpi, sul tema "Credo la Chiesa".
Il brano di Vangelo di questa domenica ci presenta il miracolo alle nozze di Cana. Gesù partecipa al banchetto di nozze perché l’invito è giunto a sua Madre. Il miracolo che Gesù compie a Cana è definito dall’evangelista Giovanni un “segno”, il primo di una lunga serie. Questo prodigio viene operato da Gesù pochi giorni dopo il suo battesimo e tre giorni dopo la chiamata dei primi discepoli, i quali, per ovvie ragioni, non conoscono ancora pienamente Gesù.
La Chiesa, dopo averci fatto meditare il mistero della nascita nella carne del Figlio di Dio, in questa domenica celebra il Battesimo di Gesù. Gesù non conosce il peccato e, pertanto, non ha bisogno di conversione, ma accetta, con questo gesto, di sentirsi parte dell’umanità che è venuto a salvare. Durante il battesimo Dio stesso rivela al mondo la vera identità di Gesù e l’unicità del suo rapporto con Lui. Il Padre, infatti, presenta Cristo con queste parole: Tu sei il mio figlio prediletto: in te mi sono compiaciuto.
Il brano di Vangelo ci presenta tre gruppi di persone: gli scribi che conoscono il luogo della nascita del Messia, ma che non mostrano alcun interesse verso di Lui. Essi rappresentano tutti coloro che sono indifferenti al mistero di questo bambino.
Il Figlio di Dio, grazie alla fede di Maria e all’obbedienza di Giuseppe, ha potuto vivere in una famiglia, la quale è presentata dalla preghiera iniziale della Messa di oggi, “modello di vita”.
L’Evangelista Luca inserisce la nascita di Cristo in una cornice storica solenne e grandiosa. Ricorda che essa avvenne al tempo dell’Imperatore Cesare Augusto. Questi aveva posto fine ad una guerra civile che, per circa 100 anni, aveva devastato l’Impero romano. In ricordo della conquistata pace fece edificare un grande altare, che esiste ancora oggi: l’Ara Pacis Augustae.
L’incarnazione del Figlio di Dio non è il frutto del nostro impegno, ma dono dell’amore di Dio. Un amore così grande che è capace di operare ciò che umanamente è impossibile per cui la sterilità di Elisabetta diventa feconda e nella verginità di Maria fiorisce la maternità.
Non si può scherzare con il male perché nessuno può sottrarsi al giudizio di Dio. Giovanni, il precursore di Cristo, si presenta come predicatore di penitenza e come messaggero di gioia. Egli desidera che il popolo a cui rivolge la sua predicazione si apra alla conversione e si salvi. La conversione è una cosa seria, che richiede un impegno profondo e una decisa volontà di dare una svolta positiva alla propria esistenza. Pertanto, la conversione si attua attraverso scelte concrete che Giovanni individua nella condivisione fraterna nella ricerca della giustizia e nella rinuncia alla violenza oppressiva, a cominciare dal proprio posto di lavoro e dalla propria professione.
Nel tempo di Avvento la Chiesa ci presenta alcune figure che potremmo qualificare come i campioni dell’attesa: il Profeta Isaia, San Giovanni Battista, San Giuseppe, Maria Santissima.
In ogni celebrazione eucaristica, dopo la consacrazione, noi proclamiamo: Annunciamo la tua morte Signore proclamiamo la tua resurrezione nell’attesa della tua venuta. E dopo il Padre nostro, il sacerdote prega: …nell’attesa che si compia la beata speranza e venga il nostro Salvatore Gesù Cristo.
Oggi è l’ultima domenica dell’anno liturgico e la Chiesa celebra la solennità di Cristo re dell’universo.Il testo di Vangelo che abbiamo ascoltato ci presenta un episodio della Passione di Cristo secondo il Vangelo di San Giovanni. In questo brano ci viene descritto l’incontro tra un prigioniero indifeso ed umiliato di nome Gesù ed il potente rappresentante dell’imperatore romano.
La Scrittura ricorda due venute del Figlio di Dio: la prima nella carne umana, quando è nato dalla Vergne Maria; la seconda nella gloria, quando verrà, alla fine del mondo, a giudicare tutti gli uomini”. Questa seconda venuta è chiamata dalla Scrittura: “Il Giorno del Signore”.
Gesù, nel brano di Vangelo di questa domenica, mette a confronto l’ipocrisia degli scribi con la generosità e la fiducia in Dio di una donna. Il Signore sta osservando le persone che depongono la loro offerta nel tesoro del tempio. A fronte di ricche donazioni da parte di persone abbienti nota quella insignificante di una povera vedova. La cifra che versa, seppure modestissima, non costituisce il superfluo, ma rappresenta tutto quello che aveva per il suo sostentamento, per vivere.
Domenica scorsa abbiamo lasciato Gesù a Gerico. Ora si trova Gerusalemme e un maestro della legge si avvicina a Gesù per porgli una questione: “Qual è il primo di tutti i comandamenti’”. La domanda si comprende se si tiene in considerazione che gli studiosi della Sacra Scrittura del tempo avevano individuato nell’Antico Testamento ben 613 comandamenti, di cui 365 erano divieti e 248 precetti positivi, distinguendo tra precetti grandi e piccoli, difficili e facili. Nasceva dunque la necessità di conoscere quali tra questi comandamenti dovesse avere la priorità.
Il Vangelo di questa domenica ci presenta due apostoli, Giacomo e Giovanni, i quali domandano a Gesù di avere posti di onore nel suo regno. Si tratta di una richiesta che esprime un desiderio naturale frutto dell’ambizione umana, considerato che i discepoli non avevano ancora compreso l’originalità e la novità di Cristo.