Il brano di Vangelo di questa domenica ci presenta tre parabole di Gesù indirizzate a “un piccolo gregge”. Con questa espressione il Signore intende rivolgersi a quella minoranza di autentici discepoli che in mezzo ad una generale apostasia rimangono fedeli alla loro fede e mantengono vive nel tempo e nella storia le promesse del Signore Gesù. Questa loro fedeltà torna a vantaggio di molti perché desiderano il bene e hanno fame e sete di un mondo più giusto.
Due fratelli litigano tra di loro per la divisione di un’eredità e chiedono l’intervento di Gesù, il quale rifiuta di lasciarsi trascinare in una diatriba che non lo riguarda e nella risposta che offre porta la questione ad un livello più alto. Egli, infatti, mette a nudo la stortura che attanaglia il cuore dei due fratelli, causa del loro litigio: la cupidigia. Si tratta di un’inclinazione istintiva del cuore dell’uomo, la quale porta a ritenere che la vita e il suo valore dipendano dalle ricchezze che uno possiede.
Il Vangelo di questa domenica ci presenta la preghiera del Padre Nostro. Si tratta di una preghiera che ci permette di scoprire gli intimi desideri di Gesù: che cosa gli sta a cuore, che cosa determinava le sue scelte. Pregare con il Padre Nostro significa andare al centro dell’insegnamento di Gesù e penetrare nel suo cuore.
Il Vangelo di questa domenica pone al centro della vita cristiana il tema dell’ascolto della Parola di Dio. L’occasione è data a Gesù dall’accoglienza che riceve in casa di amici: Lazzaro, Marta e Maria. Le due sorelle assumono nei confronti di Cristo un atteggiamento molto diverso. Marta è preoccupata “dai molti servizi” per potere accogliere l’illustre ospite con tutti i riguardi e le attenzioni che merita, mentre Maria è tutta attratta dalla Persona di Gesù e si pone seduta ai suoi piedi per ascoltare la sua Parola.
Nel brano di Vangelo di questa domenica troviamo la domanda cruciale dell’esistenza umana: Cosa fare per avere la vita eterna. Gesù in un’altra parte del Vangelo dichiara che la vita eterna è la realtà decisiva e, pertanto, perdere la propria anima rappresenta il fallimento totale della vita. Lo scriba, che pone a Gesù la questione, è consapevole che la vita eterna non piove dall’alto, ma dipende anche da un “fare” e, dunque, desidera sapere in che cosa consiste questo “fare”. La risposta di Cristo è chiara, semplice ed essenziale. La via che porta alla vita eterna è l’amore verso Dio e verso il prossimo. Fuori dall’amore non c’è azione che abbia vero valore.
Il brano di Vangelo di questa domenica ci presenta Gesù che invia in missione i settantadue discepoli. Non solo i dodici apostoli! Con questa decisione il Signore vuole aiutarci a comprendere che l’annuncio del Vangelo non è affidato solo ai vescovi, ai sacerdoti e ai diaconi ma a tutti i cristiani. L’evangelizzazione appartiene alla vocazione cristiana e trova la sua ragion d’essere nel sacramento del Battesimo, nel quale siamo stati liberati dalla schiavitù del peccato e resi partecipi della vita stessa di Dio.
Gesù sa cosa lo attende a Gerusalemme: la passione e la morte. Eppure rompe i ponti con la Galilea e si dirige decisamente verso Gerusalemme, affronta con coraggio il suo destino. Un destino di incomprensione e di rifiuto da parte di coloro che Egli è venuto a beneficare, a salvare. Non si tratta solo di un’esperienza che ha vissuto Cristo, ma che continua ancora oggi nella vita della Chiesa e di tantissimi cristiani sparsi nel mondo.
Papa Francesco ha accettato stamane la rinuncia presentata dal Vescovo di Carpi Monsignor Francesco Cavina e ha nominato Amministratore Apostolico della Diocesi Monsignor Erio Castellucci, Arcivescovo di Modena.
Vorrei iniziare la nostra riflessione con una domanda. Chi siamo noi? Siamo una comunità di credenti uniti nella stessa fede, nella stessa speranza e nella stessa carità. Una comunità viva perché animata dallo stesso Spirito di Cristo. Noi siamo Chiesa!
Dopo aver rinnovato i misteri della salvezza – dalla nascita di Cristo a Betlemme fino alla venuta dello Spirito Santo a Pentecoste – la Liturgia ci propone il mistero centrale della nostra fede: la santissima Trinità, fonte di tutti i doni e le grazie, mistero ineffabile di Dio. Oggi, la Chiesa invita la comunità cristiana, dopo avere meditato gli eventi della fede, a contemplare il punto da cui tutto parte, la vita intima di Dio.
Lo Spirito Santo si manifesta con il fuoco ed il vento.
Dopo la Resurrezione il posto di Cristo non è più presso gli apostoli sulla terra, ma nell’eternità di Dio. E’ per questa ragione che l’evangelista san Luca conclude il suo vangelo con l’episodio dell’Ascensione di Gesù al cielo e le ultime parole di Gesù ai discepoli. Ad essi, e per mezzo di essi alla Chiesa, il Signore affida la missione di educare e di stimolare le persone a desiderare l’amicizia con il Signore per fare progredire e avviare l’umanità verso il Regno di Dio.
Lo Spirito Santo è ritornato al centro della Chiesa con il Concilio Vaticano II e di conseguenza San Paolo VI auspicava la rinascita di un culto nuovo dello Spirito.
Ci troviamo nel Cenacolo. Siamo alla vigila della passione e morte e Cristo si rivolge ai discepoli chiamandoli “figlioli”, cioè “piccoli cari figli”, manifestando nei loro confronti una cura ed un amore quasi materni. Fino ad ora Egli è stato in mezzo a loro e li ha protetti, ma ora sta per essere messo a morte e pertanto consegna ai discepoli il suo “testamento”.
In questa domenica di Pasqua - dedicata alla preghiera per le vocazioni alla vita sacerdotale e religiosa - la Chiesa propone alla nostra riflessione un brano del capitolo 10 del Vangelo di san Giovanni, dove Gesù applica a sé l’immagine del buon Pastore che è molto presente nei testi dell’Antico testamento
Il brano evangelico di questa domenica ci presenta un’altra apparizione di Cristo risorto. Pietro e alcuni apostoli, dopo la morte di Gesù, sono tornati ad esercitare il loro antico mestiere: quello di pescatori. Si realizza, così, la profezia di Cristo: Ecco, verrà l’ora, anzi è già venuta, in cui vi disperderete ciascuno per conto proprio (Gv 16.32). La pesca è stata infruttuosa, ed è a questo punto di massima depressione che appare Gesù sulla riva del Lago il quale impartisce un ordine: Gettate la rete dalla parte destra della barca”. Non lo riconoscono, ma sembra uno che conosce il mestiere meglio di loro e, dunque, obbediscono. Ed ecco la rete si riempie di 153 grossi pesci e non potevano più tirarla a riva.
Nel brano di Vangelo abbiamo sentito raccontare che le donne, testimoni della morte e della sepoltura di Cristo, si recano al sepolcro e a loro si presentano due uomini in abito sfolgorante che si rivolgono ad esse con queste parole: “… Voi cercate Gesù Nazareno, il crocefisso. È risorto, non è qui". La constatazione del sepolcro vuoto, e le parole esplicative dell’angelo, suscitano grande stupore nelle donne. E’ lo stupore dell’uomo di fronte alla risurrezione del Crocefisso. La narrazione che fa Pietro di questo avvenimento è semplice: "Essi lo uccisero appendendolo a una croce, ma Dio lo ha risuscitato al terzo giorno e volle che apparisse a noi … che abbiamo mangiato e bevuto con lui dopo la sua risurrezione dai morti". Qui è narrata l’unica novità vera accaduta in questo mondo.
Con questa domenica entriamo nell’unica settimana che è qualificata “santa” dalla Chiesa. La processione con le palme ci ricorda che la Pasqua è ormai vicina. Noi riviviamo, in maniera simbolica e sacra, la scena evangelica dell’ingresso di Gesù a Gerusalemme, gremita di popolo. Gesù viene pubblicamente riconosciuto e accolto come il Messia, il Salvatore atteso da secoli inviato da Dio per la redenzione del mondo.
La Diocesi di Carpi è vicina al suo Vescovo, Francesco Cavina, al centro di quelli che - in una nota - i Pro Vicari Generali della Diocesi definiscono "reiterati attacchi diffamanti a mezzo stampa" che colpiscono la "persona e il ministero" del Vescovo Francesco.
Scrive Pascal che “La verità senza la carità è crudeltà”. E’ molto difficile coniugare insieme queste due qualità. Sono come due sorelle gemelle che entrano spesso in conflitto tra di loro. La verità se non è animata dalla carità si trasforma in intolleranza ed in intransigenza, è una spada che inchioda l’altro alla sua colpevolezza. Ma un amore che rifugge dalla verità finisce per ridursi ad una forma di buonismo, ad un surrogato di dubbia qualità che atrofizza la verità stessa. Una cosa, comunque, è certa. Nell’uno e nell’altro caso l’obiettivo è mancato. Verità e amore devono potere vivere insieme, in un felice, anche se non sempre facile connubio.