Nessuno avrebbe mai immaginato che l’incoronazione di Paolo VI, il 30 giugno 1963, sarebbe stata l’ultima incoronazione di un Papa. La tiara era stata donata dai milanesi al loro arcivescovo divenuto Romano Pontefice, e per l’ultima volta il Cardinale Protodiacono Alfredo Ottaviani pronunciò, prima di porla sul capo del Papa, la formula: “Accipe tiaram tribus coronis ornatam et scis te esse….” Paolo VI abbandonò già nel 1964 l’uso del triregno. Tuttavia, ne previde l’utilizzo nei riti iniziali di pontificato. Giovanni Paolo I però non la userà, e Giovanni Paolo II seguirà questa scelta.
Fino agli anni Sessanta, i Papi benedicevano gli Agnus Dei di cera e li distribuivano. La tradizione rimase fino ai tempi di Paolo VI, che poi smise di attuarla. Ma quello degli Agnus Dei benedetti è uno dei riti scomparsi forse più suggestivi, che ancora viene ricordato tra alcuni dei riti Romani più antichi.
Tra il XIV e il XIX secolo si usava a donare a sovrani e capitani benemeriti della Chiesa lo stocco e il berrettone, ovvero il Gladium et Pileum, o l’Ennis et Galerus. Era un uso che successe a quello, più antico, di inviare ai sovrani lo stendardo di San Pietro, decorato della sua immagine e delle chiavi pontificie. Ma aveva una grande portata simbolica. Serviva a ricordare la fonte e il fine del potere.
Dall’ultima incoronazione di un Papa, avvenuta ormai sessanta anni fa, allo stocco e il berrettone, fino agli Agnus Dei di cera benedetti: sono tutti “riti scomparsi”, ovvero riti che erano parte della liturgia del Romano Pontefice e che ora non si fanno più. Ma sono importanti, ed è importante conoscerli, perché questi riti erano un altro modo in cui la Santa Sede si rappresentava, raccontava se stessa, diceva al mondo il senso del suo esistere.
Tutta la struttura della carità di cui abbiamo parlato veniva supportata da una serie di iniziative personali dello stesso Papa, anzi di cui il Papa era protagonista. C’erano, infatti, alcuni momenti dell’anno in cui il Papa serviva personalmente il pranzo ai poveri. Non pranzava con i poveri. Era proprio colui che serviva a tavola.
La Chiesa sin dalle origini si è definita attraverso la carità. Gli Atti degli Apostoli infatti descrivono la Chiesa nascente come concorde nella preghiera e nella carità. Una tale dimensione si è approfondita in maniera del tutto peculiare a Roma, con l’arrivo degli apostoli Pietro e Paolo. Il Papa, successore di Pietro, è stato percepito come “il padre dei poveri”. In sostanza è l’atteggiamento mutuato da Gesù verso il povero, il piccolo, la vedova e gli ultimi. Roma vedrà così nel corso dei secoli una mirabile storia di carità che significherà anche istituzioni, cerimonie e strutture.
L’atteggiamento caritatevole del Papa veniva sottolineato in alcuni riti, come quelli di avvento di pontificato. Monsignor Sanchirico racconta che “nel secondo millennio, gli ordini romani che vanno dalla metà del XII secolo al XIV secolo, descrivono anche la realtà del Papa in questi particolari momenti. L’Ordo Romano XII, scritto da Cencio Camerario, il futuro Onorio III, ci parla ad esempio dell’elemosina che il Papa elargiva in particolari luoghi lungo il suo percorso da San Pietro a San Giovanni in Laterano per la presa di possesso dopo l’incoronazione”.
Che la missione stessa dei Papi fosse permeata di carità lo dimostra un paramento che era usato fino alla riforma liturgica successiva al Concilio Vaticano II, e che serviva a ricordare che il Papa era prima di tutto dispensatore di carità ed elemosina: il succintorio.
Da sempre, la Chiesa cattolica si occupa degli ultimi, dei più marginalizzati della storia, dei poveri. Da sempre, la fede cattolica è andata di pari passo con la cura dei derelitti, con un impegno che veniva direttamente dal fatto che Cristo stesso aveva fatto così, che Cristo stesso aveva, con la sua venuta, dato a tutti gli uomini la dignità dei Figli di Dio e fratelli del suo figlio. Nessuno deve essere escluso.
Nel 2017, a Fatima, Papa Francesco ha portato al santuario la terza rosa d’oro, dopo quella che era stata donata da Paolo VI e da Benedetto XVI. E in generale, nel corso degli ultimi anni, la rosa d’oro è stata portata come segno di devozione mariano in diversi santuari: Aparecida, Luján, Guadalupe, Loreto, Czestochowa, Roio, Nostra Signora de la Cabeza (Spagna), Nostra Signora del Socorro de Valencia (Venezuela), Nostra Signora de la Caridad del Cobre (Cuba), Nostra Signora di Guadalupe (Messico). Papa Francesco ne volle lasciare una sulla tomba di don Primo Mazzolari .Eppure, il significato della Rosa d’Oro è più antico e differente. Un tempo veniva conferito a personalità, non a santuari. Ed aveva un potente significato simbolico.
Quando Papa Francesco uscì dalla Loggia delle Benedizioni, subito dopo l’elezione, non portava la mozzetta rossa, una mezza mantella degli ecclesiastici che copre solo le spalle. Si trattava, in qualche modo, di una rottura della tradizione. Perché i Papi vestono di bianco e di rosso da secoli, secondo un universo simbolico che si era affermato in epoca carolingia, e che poi era stato codificato intorno al 1400. In quella codifica, molto aveva fatto il periodo avignonese, da cui deriva, come abbiamo visto, anche una parte considerevole del cerimoniale così come è stato codificato.
C’è uno stile diplomatico, un modo preciso di confezionare la corrispondenza e i documenti della Santa Sede. Ed è fondamentale conoscerlo, per comprendere il senso di ciò che viene fatto e di come viene fatto. Per esempio, quando l’arcivescovo Paul Richard Gallagher ha consegnato la nota verbale sul ddl Zan all’ambasciatore di Italia presso la Santa Sede Pietro Sebastiani, si è molto dibattuto che il documento non fosse firmato. Ma davvero doveva essere firmato?
La Prefettura della Casa Pontificia coordina e dirige una serie di realtà che sono parte della famiglia del Papa. La Anticamera Privata o Segreta, l’Anticamera Pontificia, l’ufficio del Teologo della casa Pontificia, gli ascensoristi di Palazzo, la Banda Musicale Pontificia. Ma cosa sono queste realtà? Le spiega ad ACI Stampa monsignor Stefano Sanchirico, già prelato di Anticamera di Sua Santità, esperto di cerimoniale.
Il Papa è un capo di Stato, un monarca, e riceve presidenti e monarchi come suoi pari. Il cerimoniale vaticano, però, è gestito non da un ufficio del protocollo come quello della Segreteria di Stato, non da funzionari, ma piuttosto dalla Famiglia Pontificia. Il Papa accoglie i capi di Stato con la sua famiglia. Ed è questo un dato fondamentale per comprendere il senso del cerimoniale vaticano. Non un “freddo” cerimoniale diplomatico, ma piuttosto l’incontro con un padre. Anzi, il Padre.
Oltre a visite di Stato e udienze solenni o private; oltre alla presentazione delle credenziali degli ambasciatori e alle loro visite di congedo; ci sono una serie di udienze che il Papa concede in maniera regolare, e che pure sono regolate da un preciso cerimoniale. Come detto, tutto è gestito dalla Prefettura della Casa Pontificia.
C’è la visita di Stato, che prevede la Banda Pontificia, gli svizzeri schierati e un cerimoniale molto preciso. E poi ci sono l’udienza solenne e l’udienza privata, quest’ultima più ridotta nella parte cerimoniale, ma più flessibile. Ed è questa che generalmente si preferisce, negli ultimi tempi, considerando anche che la sfumatura tra udienza solenne e privata è sempre più sfumata
Il cerimoniale vaticano è fatto di “cose apparentemente poco visibili, ma sostanziali”, secondo monsignor Stefano Sanchirico, già prelato della Prefettura della Casa Pontificia, che sta dipanando con ACI Stampa il senso e il significato del linguaggio pontificio. Il cerimoniale, in particolare, è una parte fondamentale di questo linguaggio: racconta come la Santa Sede si vuole mostrare al mondo, quale è il messaggio che si vuole dare. Perché – e in pochi lo considerano – c’è sempre un messaggio religioso, nelle visite solenni. E il Papa non riceve i capi di Stato con funzionari, ma con dei dignitari e dei suoi famigliari.
Chi fa parte della Cappella Papale? E cosa è la Famiglia Pontificia? La composizione della cappella papale è fondamentale per comprendere il modo in cui il Papa percepisce se stesso e come si vuole rappresentare al mondo. Ma è importante anche la Famiglia Pontificia, la seconda articolazione di cui si serve il Papa nella sua vita quotidiana.
Agostino Patrizi Piccolomini, grande maestro di cerimonie del XV secolo e nipote acquisito di Papa Pio II, al secolo Enea Silvio Piccolomini, ha lasciato testi particolarmente importanti sul cerimoniale di Curia romana, nonché testi che sono all’origine di alcuni elementi del ricevimento di sovrani o capi di Stato E in particolare, in un testo sul ricevimento di Federico III, si legge che “la cerimonia non è niente altro che l’onore dovuto a Dio e agli uomini in ragione di Dio”. È una chiave di lettura fondamentale per il linguaggio pontificio.
Quando il Papa riceve un capo di Stato, di governo, o più raramente un ministro degli Esteri, spetta alla Prefettura della Casa Pontificia predisporre l’incontro in accordo con i competenti uffici della Segreteria di Stata. Ciò accade anche quando invece il Papa riceve le credenziali degli ambasciatori presso la Santa Sede, individualmente (quando residenti) o in gruppo (quando non residenti). Quali sono le competenza della Prefettura e dell’ufficio del Protocollo della Segreteria di Stato? E cosa fanno i due organismi?