La colazione di prima mattina, le pulizie, il pranzo, la cena, un’occhiata alla chiesa per qualche intervento “urgente” (addobbi, pavimenti da lucidare, commissioni da fare). E poi le feste in parrocchia, i mercatini, tutte le iniziative del vulcanico Prete Giovane, senza dimenticare la sua famiglia, i figli, i nipoti, e i pensieri rivolti costantemente all’amato marito scomparso: questa è la vita piena, pienissima della nostra eroina, perpetua di una parrocchia non meglio identificata ma più che reale, nella provincia italiana.
Ogni mattina, Giusi prende un caffè, guarda con curiosità e partecipazione allo spettacolo che la vita le offre dall’angolo della sua finestra. Sorseggia il caffè, guarda, osserva, contempla, mentre aspetta di cominciare il suo dialogo quotidiano con l’ospite più atteso e insieme inatteso: Dio. Sì, Dio è presente all’inizio della sua giornata e a Lui Giusi si rivolge per far parte delle sue scoperte, delle sue esperienze, delle sue piccole e grandi gioie.
Immaginiamo un cortile dalle proporzioni perfette, un giardino di delizie, fiori, alberi, acqua zampillante; immaginiamo piccoli gruppi di persone che dialogano, passeggiano, accompagnati da musiche sublimi:
In un angolo nascosto e ricco di una storia antica come le pietre è tornato a rivivere un eremo che era rimasto disabitato e sconosciuto per lunghissimo tempo. Proprio qui ha trovato la sua nuova, intensa vita un uomo che, con la sua rinascita, ha innescato anche la rinascita dell’eremo abbandonato e di tutti coloro che arrivano fin lì alla ricerca di qualcosa che spesso non sanno neppure definire. Questa è la storia di Frederick Vermorel, di come abbia cercato per il mondo, a lungo, il proprio posto, e infine lo abbia trovato in un angolo appartato della Calabria.
Moltiplicati all’infinito gli archi disegnano uno spazio che si dilata nell’anima, sollevata verso l’alto. Dentro il bianco e nero della fotografia il visitatore ritrova il mistero e il fascino di Cordoba e la sua moschea-cattedrale. Il labirinto-foresta di archi, pietra, linee in cui lo sguardo si trasforma profondamente in preghiera. Il viaggio tra le immagini è cominciato e sarà lungo, intenso, unico.
Pregare: si può imparare a farlo? Pregare non è forse uno degli atti più semplici, istintivi, umani, che, in un certo senso, dovremmo avere ascritto persino nel nostro Dna?
Un momento di buio fitto, quando sembra che non ci sia più scampo, che nulla abbia più senso, che la propria vita non possa sfociare che nella disperazione: in quel momento, se si fa silenzio, se si riesce a mettersi in ascolto, Dio può bussare alla porta.
Maggio del 1221, ad Assisi. Antonio da Padova, che già si è fatto conoscere come predicatore, ha attraversato mezza Italia, dalla Sicilia contro le cui coste lo ha trascinato una tempesta, allontanandolo dalle terre di missioni dove era destinato, per arrivare al Capitolo generale dei frati fedeli a Francesco.
Una donna di cui si sa poco, soprattutto che arriva dalla terra di Canaa, una straniera, per la mentalità ebraica, e una pagana. Appare nei Vangeli, in quello di Matteo, con poche, straordinarie pennellate. Appare come madre angosciata, perché ha una figlia malata, tormentata da un demonio. Ha sentito parlare di Gesù e va da lui, come ultima speranza.Non importa se è di un’altra fede, ha sentito dire che può compiere miracoli e lei si aggrappa a questa convinzione.
Dante degli Alighieri viene cacciato dalla sua Firenze. Comincia una vita difficile, quella dell’esiliato, senza una patria, senza più avere neppure l’idea di quale sarebbe stato il suo destino. Solo due cose, forse, gli sono chiare: la sua fede e la coscienza della sua grandezza come poeta. Ed ecco che proprio nei primi anni dell’esilio Dante si trova a Verona.
In quella tiepida serata romana del 1978, in piena “ottobrata” – mese magico per la Città Eterna – in molti accorrono in piazza San Pietro: e’ attesa la nuova “fumata” dal Conclave, per l’elezione del nuovo Pontefice. L’attesa è spasmodica, come sempre, ma forse ancora di più, perché questo è l’anno “dei tre Papi”.
Le due donne si guardano, con un’intensità che supera i confini dello spazio e del tempo. Si guardano e si comprendono:
Si può ancora incontrare per le strade di Assisi, nelle vie tortuose e antiche, mentre ci si siede all’ombra di un campanile, in un chiostro delle tante, meravigliose chiese sbocciate come fiori di pietra dalla devozione che quel piccolo fraticello ha saputo far sorgere tutt’intorno a se’.
Un piccolo uomo dall’aria fragile, consunta, ma dal sorriso sereno, appena accennato: si appoggia ad un bastone, indossa un saio, quello dei frati cappuccini. Il colore della foto vira al seppiato, un colore che sa di storia, di passato, eppure quel sorriso, quella figura curva, piegata, emanano una forza che li rende vicini, contemporanei, o meglio senza tempo.
Primi giorni di marzo, nel 1953, di notte. Un bosco di querce e di pini, a Kuntsevo, pochi chilometri da Mosca, circonda una dacia isolata e sontuosa.
A Sant’Elena, piccola isola sperduta nell’Atlantico, aveva passato gli ultimi anni, a guardare l’infinito, a ripensare alla sua fulminante esistenza, a quante cose aveva fatto, alle battaglie, alle sconfitte, ai dolori subiti e a quelli inflitti. Tutti gli anni passati a correre da una terra all’altra, a dare ordini, a vedere tremare sotto di se’ infinite schiere di uomini e donne, e ora ritrovarsi solo, malato, stanco, davanti all’infinito.
Una bambina abbandonata, una città appena uscita dalla guerra e ancora piena di ferite – anche fisiche – lasciate da bombe e lutti, una donna di mezza età che si sente inutile, con una vita invisibile agli occhi di tutti: nel cuore di queste desolazioni fiorisce un giardino, strappato con determinazione, quasi con ferocia, alle macerie e alle proibizioni. Un giardino che cresce all’ombra di una chiesa diroccata, sotto gli occhi della statua di Maria Vergine con il suo Bambino.
“Se Cristo non è risorto”, afferma Paolo nella prima lettera ai Corinzi, “allora vana è la nostra predicazione e vana la nostra fede”.
Il Sommo Poeta, l’artefice della lingua italiana, il pilastro della letteratura di ogni tempo. Come trovare una definizione giusta per Dante Alighieri? Cosa dire di lui che non sia già stato detto, scritto, declamato?
Essere padri, nel più profondo senso del termine. Essere punto di riferimento, autorevole, non autoritaria. Una possibilità che oggi appare sempre più remota. Anzi, viene considerata un’imposizione, una sopraffazione, viene sistematicamente demolita. Ecco allora che la figura di San Giuseppe, di cui oggi si celebra la festa – e in un anno a questa figura espressamente dedicato come deciso da papa Francesco – assume un rilievo ancora più profondo. Questa figura necessariamente deve uscire dall’ombra, in cui è stata relegata a lungo, e torna ad assumere il ruolo che le compete.