Anche quella mattina di ottobre, fredda e chiusa nella morsa della paura, l’ultima della sua vita terrena, don Giovanni la vive come quasi tutte le altre della sua giovane vita: pensando a chi è nel bisogno, a chi non ce la fa, a chi è solo e in pericolo. Sono tempi duri, durissimi, giorni di una guerra sanguinosa e senza confini.
Cinquanta anni: una lunga, incredibile “avventura”, di cui, per fortuna, non si vede la fine, ma che forse non era immaginabile in quel giorno di marzo, il 25 marzo per l’esattezza, del 1971, in cui nacque quell’organismo che doveva, per i decenni a venire, rappresentare la missione della Chiesa europea: evangelizzazione e dialogo, sostegno e azione, ma prima di ogni altra cosa, dare conto della speranza della fede, rispondere sempre e in ogni circostanza, che è Cristo la strada, la via, la risposta.
Il diavolo è sempre pronto a dar battaglia, ma in definitiva è destinato alla sconfitta. Il male non prevarrà. Di questo era talmente convinto, don Gabriele Amorth che nonostante tutte le crudeltà e le cose spaventose che vedeva e combatteva era sempre animato da un forte spirito di ottimismo e da una vena di imbattibile umorismo. Padre Amorth è morto all’ospedale Gemelli di Roma il 16 settembre 2016, cinque anni fa, all’età di 91 anni.
A circa metà strada di quel viaggio straordinario che sono I promessi sposi Alessandro Manzoni apre una sorta di romanzo nel romanzo: entra in scena l’Innominato. Come spesso accade nel capolavoro manzoniano lo stato d’animo del personaggio in primo piano, la sua realtà interiore vengono fedelmente rispecchiato dal paesaggio concreto in cui la trama si sta sviluppando.
Per quanto si sforzi, per quanto preghi incessantemente, per quanto sia fermamente convinto di dover seguire la propria strada, sembra che ogni azione di padre Chisholm sia destinata al fallimento.
Il ragazzo, che tutti chiamano Ganbeto, apre gli occhi e gli sembra di stare dinanzi ad una apparizione: eccola, l’isola di cui ha tanto sentito parlare dal “nono” Caronte e dai “veci” del suo paese, l’isola dei sogni, delle Mille e una notte, materializzata davanti a lui.
Don Gaetano Alicante, un sacerdote irriducibilmente attratto dagli enigmi polizieschi. Anche perché prima di prendere i voti è stato un gendarme della Napoli tardo ottocentesca.
La colazione di prima mattina, le pulizie, il pranzo, la cena, un’occhiata alla chiesa per qualche intervento “urgente” (addobbi, pavimenti da lucidare, commissioni da fare). E poi le feste in parrocchia, i mercatini, tutte le iniziative del vulcanico Prete Giovane, senza dimenticare la sua famiglia, i figli, i nipoti, e i pensieri rivolti costantemente all’amato marito scomparso: questa è la vita piena, pienissima della nostra eroina, perpetua di una parrocchia non meglio identificata ma più che reale, nella provincia italiana.
Ogni mattina, Giusi prende un caffè, guarda con curiosità e partecipazione allo spettacolo che la vita le offre dall’angolo della sua finestra. Sorseggia il caffè, guarda, osserva, contempla, mentre aspetta di cominciare il suo dialogo quotidiano con l’ospite più atteso e insieme inatteso: Dio. Sì, Dio è presente all’inizio della sua giornata e a Lui Giusi si rivolge per far parte delle sue scoperte, delle sue esperienze, delle sue piccole e grandi gioie.
Immaginiamo un cortile dalle proporzioni perfette, un giardino di delizie, fiori, alberi, acqua zampillante; immaginiamo piccoli gruppi di persone che dialogano, passeggiano, accompagnati da musiche sublimi:
In un angolo nascosto e ricco di una storia antica come le pietre è tornato a rivivere un eremo che era rimasto disabitato e sconosciuto per lunghissimo tempo. Proprio qui ha trovato la sua nuova, intensa vita un uomo che, con la sua rinascita, ha innescato anche la rinascita dell’eremo abbandonato e di tutti coloro che arrivano fin lì alla ricerca di qualcosa che spesso non sanno neppure definire. Questa è la storia di Frederick Vermorel, di come abbia cercato per il mondo, a lungo, il proprio posto, e infine lo abbia trovato in un angolo appartato della Calabria.
Moltiplicati all’infinito gli archi disegnano uno spazio che si dilata nell’anima, sollevata verso l’alto. Dentro il bianco e nero della fotografia il visitatore ritrova il mistero e il fascino di Cordoba e la sua moschea-cattedrale. Il labirinto-foresta di archi, pietra, linee in cui lo sguardo si trasforma profondamente in preghiera. Il viaggio tra le immagini è cominciato e sarà lungo, intenso, unico.
Pregare: si può imparare a farlo? Pregare non è forse uno degli atti più semplici, istintivi, umani, che, in un certo senso, dovremmo avere ascritto persino nel nostro Dna?
Un momento di buio fitto, quando sembra che non ci sia più scampo, che nulla abbia più senso, che la propria vita non possa sfociare che nella disperazione: in quel momento, se si fa silenzio, se si riesce a mettersi in ascolto, Dio può bussare alla porta.
Maggio del 1221, ad Assisi. Antonio da Padova, che già si è fatto conoscere come predicatore, ha attraversato mezza Italia, dalla Sicilia contro le cui coste lo ha trascinato una tempesta, allontanandolo dalle terre di missioni dove era destinato, per arrivare al Capitolo generale dei frati fedeli a Francesco.
Una donna di cui si sa poco, soprattutto che arriva dalla terra di Canaa, una straniera, per la mentalità ebraica, e una pagana. Appare nei Vangeli, in quello di Matteo, con poche, straordinarie pennellate. Appare come madre angosciata, perché ha una figlia malata, tormentata da un demonio. Ha sentito parlare di Gesù e va da lui, come ultima speranza.Non importa se è di un’altra fede, ha sentito dire che può compiere miracoli e lei si aggrappa a questa convinzione.
Dante degli Alighieri viene cacciato dalla sua Firenze. Comincia una vita difficile, quella dell’esiliato, senza una patria, senza più avere neppure l’idea di quale sarebbe stato il suo destino. Solo due cose, forse, gli sono chiare: la sua fede e la coscienza della sua grandezza come poeta. Ed ecco che proprio nei primi anni dell’esilio Dante si trova a Verona.
In quella tiepida serata romana del 1978, in piena “ottobrata” – mese magico per la Città Eterna – in molti accorrono in piazza San Pietro: e’ attesa la nuova “fumata” dal Conclave, per l’elezione del nuovo Pontefice. L’attesa è spasmodica, come sempre, ma forse ancora di più, perché questo è l’anno “dei tre Papi”.
Le due donne si guardano, con un’intensità che supera i confini dello spazio e del tempo. Si guardano e si comprendono:
Si può ancora incontrare per le strade di Assisi, nelle vie tortuose e antiche, mentre ci si siede all’ombra di un campanile, in un chiostro delle tante, meravigliose chiese sbocciate come fiori di pietra dalla devozione che quel piccolo fraticello ha saputo far sorgere tutt’intorno a se’.