Un cane “sospettato” di avere avuto l’intuizione precisa di un omicidio e di averne anche individuato il colpevole; un delitto compiuto nella classica modalità della camera chiusa, ossia in un luogo inaccessibile e da cui nessuno sarebbe potuto entrare o uscire. E un piccolo prete, dall’aspetto “insignificante”, che scioglie ogni enigma e rimette le cose nel loro ordine naturale, cane compreso. E’ la trama del racconto “L’oracolo del cane”, di G. K.Chesterton e fa parte della raccolta di racconti dal titolo “L’incredulità di padre Brown”. Stiamo quindi parlando della straordinaria creazione dello scrittore, quel padre Brown infatti prototipo di tanti altri indimenticabili protagonisti di romanzi e di film.
"Eran le sei del pomeriggio, un giorno/ chiaro festivo.
Un albero dalle fronde verdi e ombrose, il frinire delle cicale, il soffio del vento trai rami, sull’erba e sul volto di chi si è dolcemente addormentato, cullato e trasportato in un universo di freschezza e gioia infinita. Non è questa, in fondo, l’immagine della felicità ideale in giornate torride e stremanti come quelle che stiamo vivendo proprio adesso?
In principio c’è l’Anticristo, la cui presenza sulla terra è strettament intrecciata alla storia della salvezza. L’Anticristo agisce costantemente per instaurare il suo dominio e a volte sembra perfino trionfare, ma, è scritto, "le porte degli inferi non prevarranno". Un topos anche per moltissima letteratura, in ogni tempo e in ogni cultura. Poi, agli inizi del Novecento, un capolavoro assoluto spalanca alla narrativa altri territori: quelli della distopia, a volte confusi o paralleli a quelli del fantasy e della fantascienza.
Tra pochi giorni si festeggeranno i santi Pietro e Paolo. Tutto è pronto per una festa viva, vissuta, soprattutto a Roma, e dopo due anni di forzata pausa a causa della pandemia.
"Io sono polvere". E Dio spesso, con il suo "vecchio metodo", decide di scrivere sulla polvere, ossia di utilizzare vite e persone umili, modeste per definire i suoi progetti. Ne era profondamente convinto Albino Luciani, futuro papa Giovanni Paolo I.
Il tramonto è passato, la notte cala, tra il 12 e il 13 giugno, anno del Signore 1231. Un mesto corteo si muove da Camposampiero, un piccolo borgo alle porte di Padova, la città ricca e potente. Un carro trainato da buoi trasporta un piccolo, grande uomo, ormai moribondo, logorato dai patimenti e da una vita di sacrificio. Si tratta di Antonio, un frate francescano già venerato come santo, che possiede doni straordinari e tra tutti quello di predicare in un modo tale che pure i pesci sono usciti dalle onde del mare per ascoltarlo…
Si scende piano, verso il centro della grotta. Non passano che pochi minuti e già si avverte, distintamente, di essere in un luogo diverso, in cui si percepisce la presenza del sacro. Questa è veramente la “casa dell’arcangelo”, a Monte Sant’angelo, in Puglia. Qui arrivano pellegrini da ogni parte del mondo fin dal 490 d.C., anno in cui secondo la tradizione avvenne la prima apparizione dell’arcangelo Michele sul Gargano a san Lorenzo Maiorano.
"L'Apocalisse fu data alla Chiesa per farle comprendere gli avvenimenti degli ultimi tempi e questo è anche lo scopo di tutta la Scrittura profetica. Se non ce n'era alcun bisogno, o se non poteva essere compresa, perché allora Dio la diede? Ha scherzato? Ma se essa è necessaria per la Chiesa, allora perché è stata trascurata? Come sai di essere sul retto cammino, senza tuttavia comprenderla?
Lui l’aveva capito quasi immediatamente che quel ragazzino possedeva qualcosa di speciale, qualcosa di non individuabile secondo logiche strettamente umane.
Per tutta la sua vita, finita così presto, aveva cantato il grano che quando matura si trasforma in un mare d’oro ondeggiante, aveva cantato l’odore della buona terra arata di fresco e del pane appena sfornato, dei frutti maturi che pendono dai rami degli alberi, del dolore che feconda l’esistenza.
Una piccola cittadina adagiata, anzi rincantucciata nell’altopiano della Sierra de Aire, in Portogallo. Niente che evochi ricchezze o grandezze del passato se non, forse, l’eco leggendaria del nome: Fatima, dal nome della figlia del governatore arabo di Alcacer, della quale si era innamorato un cavaliere delle truppe di don Alfonso Henriques, discendente di una nobile famiglia della città di Ourem.
“Ha vissuto nell’obbedienza e nella fedeltà, radicata nella Chiesa e nella fede”.
Le donne lo hanno curato, quel povero corpo martoriato. Gli occhi chiusi e tumefatti, le tempie trapassate dalle ferite provocate dalla corona di spine, il fianco aperto da un colpo di lancia…Quante sono le ferite?
Quella signora dall’aspetto austero, sempre vestita di scuro, insieme alla sorella, molto simile nell’aspetto e nel portamento, si aggira nel giardino appartato, a raccogliere foglie o qualche fiore sbocciato.
Una limpida mattina di gennaio, salendo con una certa fatica una strada che si arrampica tra boschi e prati, ecco aprirsi allo sguardo un paesaggio mite e solenne al tempo stesso, illuminato da un tiepido sole invernale: un ampio, piazzale, un convento, un giardino e in lontananza colline e vallate.
Le trincee scavate nella terra sono come ferite che non si rimarginano mai. Forse tutt’intorno riescono a rinverdire i prati e gli alberi, però quelle ferite non si possono nascondere.
La devozione e la fede delle babushke russe, le nonne, le anziane con i loro fazzolettoni annodati sotto il mento: forse non se lo sarebbe aspettato, il sacerdote proveniente dall’Italia
Il cammino quaresimale è cominciato, purtroppo tra le immagini di bombe e di morte che arrivano dall’Ucraina e il conseguente timore di un conflitto globale.
L’invisibile che si rende visibile, il mistero che si manifesta all’uomo e lo trascina nelle sue regioni sterminate: lo abbiamo pensato spesso davanti a molte opere d’arte. Soprattutto davanti le icone, con la loro doppia natura di forme concrete della devozione e della fede e di creazione artistica.