Un giornale che non è solo un giornale, ma un microcosmo attraverso il quale “filtra” la visione dell’intero mondo, della storia, presente, passata, persino futura.
Occasioni che si uniscono intorno ad un unico nome: quello di Elena Bono, una delle scrittrici italiane più significative della seconda metà del XX secolo. Ma, fatalmente, anche una delle meno conosciute. Classe 1921, è nata il 29 ottobre a Sonnino, antico paese laziale, e morta nel 2014, il 26 febbraio, presso l’ospedale genovese di Lavagna. Cristiana, scrittrice, intensa, coerente, fino all’ultimo istante della sua vita.
Di Mario Pomilio solo qualche settimana fa ricorreva il centenario della nascita, avvenuta a Orsogna, in provincia di Chieti, il 14 gennaio 1921. Una ricorrenza che, purtroppo, non ha avuto la rilevanza che meriterebbe. Occasione per ricordare, anzi celebrare, uno scrittore importante, ma non abbastanza letto e ricordato. Eppure, basterebbero tre soli romanzi per definirne l’importanza.
Una folla vociante sciama dentro la Città Santa, tra i vicoli stretti e i banchi dei mercanti, donne e bambini che piangono e si disperano, i soldati romani che spingono con violenza il prigioniero, l’Uomo dei dolori, mentre trasporta la croce dove sarà inchiodato di lì a poco:
Sara è una bambina di appena quattro anni, allegra, vivace, una bambina come tante altre, amatissima dalla mamma Anna e dal papà Michele. Vive a Gubbio, con i genitori e un’altra sorella, da quel 31 dicembre 2002, giorno della sua nascita.
E’ scesa la notte, una notte silenziosa a Lourdes. Ferruccio Parazzoli, scrittore, saggista, una delle voci più limpide ed autorevoli della nostra letteratura contemporanea, si trova nella sua stanza, turbato, pieno di pensieri. Alza lo sguardo e in fondo alla stanza vede don Attilio, un sacerdote che aveva accompagnato la sua infanzia e adolescenza. Non è la prima volta che si trova in sua compagnia.
“Andavamo in Russia: che sapore di avventura; che gusto, al pensiero, di terre lontane e sconfinate; che ansia, all’idea di entrare finalmente nei paesi che il muto, enorme, impenetrabile muro bolscevico aveva tenuto da tanto divisi dal resto del mondo.
Nel convento dei cappuccini di Padova, noto nel mondo come santuario di Padre Leopoldo, in diversi dipinti dedicati al santo e alla sua vita compaiono scorci di paesaggi che appartengono alla sua terra d’origine, la Dalmazia, simboleggiano uno sguardo costantemente rivolto a Oriente, il mare, i profili di monti e di città che compongono l’orizzonte spirituale di Leopoldo Mandic.
Il silenzio, animato da lievi fruscii, da un soffio di vento che penetra da un vetro rotto, una goccia d’acqua che dal soffitto di una navata devastata scende giù ritmicamente. In quel silenzio si percepisce la vita, spesso ricca di millenni, che deve essere trascorsa tra quelle mura, sotto quelle absidi, tra quelle stanze: vita quotidiana, vita di fede, dolori, speranze, tragedie. L’incuria, l’abbandono, la tragedia di un conflitto.
Sembra a volte, nella vita di ciascuno come nella storia universale, che le tenebre siano invincibili, che nulla le possa diradare. Ci sono momenti in cui la sconfitta, l’umiliazione, il fallimento siano l’unico risultato. Quando sembra che il male abbia l’ultima parola. "Ma noi sappiamo che non sarà il male ad avere l’ultima parola". La vita e il pensiero di Joseph Ratzinger sono percorse da questa irriducibile, granitica convinzione, che oggi, in questo particolare periodo, getta una luce su queste giornate dall’orizzonte incerto.
Cristiani contro: una formula, un titolo che sembrano riferirsi a un atteggiamento ostativo, avversativo, se non altro combattivo. Contro chi e che cosa? Contro, ma a favore di cos’altro? O semplicemente controcorrente?
E’ il giorno di Natale, un giorno diverso da tutti i giorni di festa vissuti. E’ un Natale vissuto all’ombra della pandemia e in molti ci sentiamo smarriti, tristi, preoccupati. Allora, proprio adesso, immaginiamo di non essere più qui, nelle nostre città semideserte e blindate, ma in un luogo antico e lontano.
Tra le pagine di un libro possiamo incrociare una strada che ci porta lontano, iniziamo viaggi altrimenti impossibili, ci vengono incontro risposte che credevamo destinate al silenzio. Quest’anno, in occasione delle feste natalizie, i libri come sempre, ma più di ogni altro momento fin qui vissuto, ci possono aiutare a vivere in profondità il senso più autentico del Natale e ad aprire i cuori alla speranza e al Mistero.
Hildegard von Bingen: una giovane donna colma di stupore verso il creato, capace di sentire, di percepire profondamente l’armonia che tutto collega, dal più esile filo d’erba alla luce delle stelle. Una ragazza che dalle mura del suo convento riesce a far sentire al mondo, e nei secoli a venire, la sua voce limpida, fascinosa, piena di autentica gioia di vivere, nonostante dolori, sofferenze, violenze, sopraffazioni. Quale momento migliore di quello che stiamo vivendo, in cui leggere, rileggere, le sue opere, o accostarsi al racconto della sua vita.
Artaban è un nome dalle assonanze esotiche, misteriose. Potrebbe far pensare al protagonista di qualche fiaba da Mille e una notte. In effetti questo nome appartiene ad un personaggio altrettanto affascinante e misterioso
Fino al sacrificio della vita. Il “mandato” di chi viene investito della porpora cardinalizia è sicuramente questo, ossia essere pastori pronti a dare la vita per il proprio gregge, su imitazione del Divino Pastore. Bisognerebbe ricordarlo sempre, anche ora che siamo alla vigilia di un nuovo concistoro con il collegio cardinalizio che dovrà riunirsi in modo “inedito”, a causa della pandemia, e le nuove nomine di cardinali. AL di là della stretta attualità e della ritualità dell’avvenimento, le sue ripercussioni sul governo della Chiesa, questa può essere l’occasione per percorrere gli ultimi centodieci (e oltre) anni di storia dei concistori, per comprenderne meglio il significato e la portata. Ecco allora perché leggere il libro di Marco Mancini, dal titolo significativo “Usque ad sanguinis effusionem. I Cardinali di Santa Romana Chiesa da Pio X a Francesco” .
Il 21 novembre a Venezia si celebra la tradizionale festa della Madonna della Salute. Una festa molto sentita, molto amata dai veneziani e da migliaia di pellegrini. La festa possiede radici antiche, che rimandano al terrore della malattia che semina morte e sofferenza.
Esistono infiniti modi di leggere la Divina Commedia. Si può leggere come immenso patrimonio letterario per ogni luogo, tempo, cultura. Si può leggere come somma esperienza umana lungo i sentieri del dolore, della misericordia, della redenzione.
La scena si svolge nella grande casa milanese, agli inizi del Novecento. L’anziano Camillo Lorini sta per vivere il suo ultimo giorno su questa terra. Lui, garibaldino e “mangiapreti”, ha invitato a pranzo don Alessio, un frate amico di famiglia da lungo tempo. Letture, la Milano di Luigi Santucci per fuggire da quella del coronavirus
La leggenda vuole che in un non meglio precisato anno del V secolo dopo Cristo il primo gruppo di veneti scappati dalla furia devastatrice dei barbari sia giunto fortunosamente in un isolotto della laguna per rifugiarsi e cominciare una nuova vita.