Un piccolo uomo dall’aria fragile, consunta, ma dal sorriso sereno, appena accennato: si appoggia ad un bastone, indossa un saio, quello dei frati cappuccini. Il colore della foto vira al seppiato, un colore che sa di storia, di passato, eppure quel sorriso, quella figura curva, piegata, emanano una forza che li rende vicini, contemporanei, o meglio senza tempo.
Primi giorni di marzo, nel 1953, di notte. Un bosco di querce e di pini, a Kuntsevo, pochi chilometri da Mosca, circonda una dacia isolata e sontuosa.
A Sant’Elena, piccola isola sperduta nell’Atlantico, aveva passato gli ultimi anni, a guardare l’infinito, a ripensare alla sua fulminante esistenza, a quante cose aveva fatto, alle battaglie, alle sconfitte, ai dolori subiti e a quelli inflitti. Tutti gli anni passati a correre da una terra all’altra, a dare ordini, a vedere tremare sotto di se’ infinite schiere di uomini e donne, e ora ritrovarsi solo, malato, stanco, davanti all’infinito.
Una bambina abbandonata, una città appena uscita dalla guerra e ancora piena di ferite – anche fisiche – lasciate da bombe e lutti, una donna di mezza età che si sente inutile, con una vita invisibile agli occhi di tutti: nel cuore di queste desolazioni fiorisce un giardino, strappato con determinazione, quasi con ferocia, alle macerie e alle proibizioni. Un giardino che cresce all’ombra di una chiesa diroccata, sotto gli occhi della statua di Maria Vergine con il suo Bambino.
“Se Cristo non è risorto”, afferma Paolo nella prima lettera ai Corinzi, “allora vana è la nostra predicazione e vana la nostra fede”.
Il Sommo Poeta, l’artefice della lingua italiana, il pilastro della letteratura di ogni tempo. Come trovare una definizione giusta per Dante Alighieri? Cosa dire di lui che non sia già stato detto, scritto, declamato?
Essere padri, nel più profondo senso del termine. Essere punto di riferimento, autorevole, non autoritaria. Una possibilità che oggi appare sempre più remota. Anzi, viene considerata un’imposizione, una sopraffazione, viene sistematicamente demolita. Ecco allora che la figura di San Giuseppe, di cui oggi si celebra la festa – e in un anno a questa figura espressamente dedicato come deciso da papa Francesco – assume un rilievo ancora più profondo. Questa figura necessariamente deve uscire dall’ombra, in cui è stata relegata a lungo, e torna ad assumere il ruolo che le compete.
Un giornale che non è solo un giornale, ma un microcosmo attraverso il quale “filtra” la visione dell’intero mondo, della storia, presente, passata, persino futura.
Occasioni che si uniscono intorno ad un unico nome: quello di Elena Bono, una delle scrittrici italiane più significative della seconda metà del XX secolo. Ma, fatalmente, anche una delle meno conosciute. Classe 1921, è nata il 29 ottobre a Sonnino, antico paese laziale, e morta nel 2014, il 26 febbraio, presso l’ospedale genovese di Lavagna. Cristiana, scrittrice, intensa, coerente, fino all’ultimo istante della sua vita.
Di Mario Pomilio solo qualche settimana fa ricorreva il centenario della nascita, avvenuta a Orsogna, in provincia di Chieti, il 14 gennaio 1921. Una ricorrenza che, purtroppo, non ha avuto la rilevanza che meriterebbe. Occasione per ricordare, anzi celebrare, uno scrittore importante, ma non abbastanza letto e ricordato. Eppure, basterebbero tre soli romanzi per definirne l’importanza.
Una folla vociante sciama dentro la Città Santa, tra i vicoli stretti e i banchi dei mercanti, donne e bambini che piangono e si disperano, i soldati romani che spingono con violenza il prigioniero, l’Uomo dei dolori, mentre trasporta la croce dove sarà inchiodato di lì a poco:
Sara è una bambina di appena quattro anni, allegra, vivace, una bambina come tante altre, amatissima dalla mamma Anna e dal papà Michele. Vive a Gubbio, con i genitori e un’altra sorella, da quel 31 dicembre 2002, giorno della sua nascita.
E’ scesa la notte, una notte silenziosa a Lourdes. Ferruccio Parazzoli, scrittore, saggista, una delle voci più limpide ed autorevoli della nostra letteratura contemporanea, si trova nella sua stanza, turbato, pieno di pensieri. Alza lo sguardo e in fondo alla stanza vede don Attilio, un sacerdote che aveva accompagnato la sua infanzia e adolescenza. Non è la prima volta che si trova in sua compagnia.
“Andavamo in Russia: che sapore di avventura; che gusto, al pensiero, di terre lontane e sconfinate; che ansia, all’idea di entrare finalmente nei paesi che il muto, enorme, impenetrabile muro bolscevico aveva tenuto da tanto divisi dal resto del mondo.
Nel convento dei cappuccini di Padova, noto nel mondo come santuario di Padre Leopoldo, in diversi dipinti dedicati al santo e alla sua vita compaiono scorci di paesaggi che appartengono alla sua terra d’origine, la Dalmazia, simboleggiano uno sguardo costantemente rivolto a Oriente, il mare, i profili di monti e di città che compongono l’orizzonte spirituale di Leopoldo Mandic.
Il silenzio, animato da lievi fruscii, da un soffio di vento che penetra da un vetro rotto, una goccia d’acqua che dal soffitto di una navata devastata scende giù ritmicamente. In quel silenzio si percepisce la vita, spesso ricca di millenni, che deve essere trascorsa tra quelle mura, sotto quelle absidi, tra quelle stanze: vita quotidiana, vita di fede, dolori, speranze, tragedie. L’incuria, l’abbandono, la tragedia di un conflitto.
Sembra a volte, nella vita di ciascuno come nella storia universale, che le tenebre siano invincibili, che nulla le possa diradare. Ci sono momenti in cui la sconfitta, l’umiliazione, il fallimento siano l’unico risultato. Quando sembra che il male abbia l’ultima parola. "Ma noi sappiamo che non sarà il male ad avere l’ultima parola". La vita e il pensiero di Joseph Ratzinger sono percorse da questa irriducibile, granitica convinzione, che oggi, in questo particolare periodo, getta una luce su queste giornate dall’orizzonte incerto.
Cristiani contro: una formula, un titolo che sembrano riferirsi a un atteggiamento ostativo, avversativo, se non altro combattivo. Contro chi e che cosa? Contro, ma a favore di cos’altro? O semplicemente controcorrente?
E’ il giorno di Natale, un giorno diverso da tutti i giorni di festa vissuti. E’ un Natale vissuto all’ombra della pandemia e in molti ci sentiamo smarriti, tristi, preoccupati. Allora, proprio adesso, immaginiamo di non essere più qui, nelle nostre città semideserte e blindate, ma in un luogo antico e lontano.
Tra le pagine di un libro possiamo incrociare una strada che ci porta lontano, iniziamo viaggi altrimenti impossibili, ci vengono incontro risposte che credevamo destinate al silenzio. Quest’anno, in occasione delle feste natalizie, i libri come sempre, ma più di ogni altro momento fin qui vissuto, ci possono aiutare a vivere in profondità il senso più autentico del Natale e ad aprire i cuori alla speranza e al Mistero.