“Ci farà bene chiederci se viviamo ancora nel periodo in cui abbiamo bisogno della Legge, o se invece siamo ben consapevoli di aver ricevuto la grazia di essere diventati figli di Dio per vivere nell’amore”. Papa Francesco lascia questa domanda sospesa, al termine dell’udienza generale che è parte del ciclo sulle lettere di San Paolo e che si è concentrata su un passaggio della lettera ai Galati, e sul “valore propedeutico della Legge”.
Ringraziare, perché saper essere grati “anche il mondo diventa migliore, magari anche solo di poco, ma è ciò che basta per trasmettergli un po’ di speranza”. Papa Francesco continua il suo ciclo di catechesi sulla preghiera, in una udienza generale che si tiene nella Biblioteca del Palazzo Apostolico, senza fedeli per via delle restrizioni COVID. E mette in luce l’importanza della preghiera di ringraziamento.
Non è ancora il tempo delle udienze generali in piazza San Pietro, ma riprendono comunque le udienze generali con la presenza di fedeli: dal 2 settembre, Papa Francesco parlerà nel Cortile San Damaso del Palazzo Apostolico Vaticano.
Sono due le sfide che derivano dalla pandemia: quella di dover curare un “virus piccolo, ma tremendo, che mette in ginocchio il mondo intero”, e quello di dover “curare un grande virus, quello dell’ingiustizia sociale, della disuguaglianza di opportunità, dell’emarginazione e della mancanza di protezione dei più deboli”.
Al termine dell’udienza generale, Papa Francesco ha ricordato la “Giornata della Coscienza”, che è “ispirata alla testimonianza del diplomatico portoghese Aristides de Sousa Mendes, il quale, ottant’anni or sono, decise di seguire la voce della coscienza e salvò la vita a migliaia di ebrei e altri perseguitati”. Fu il 17 giugno 1940 che de Sousa Mendes ebbe la crisi di coscienza che lo portò, in disobbedienza al suo governo, a concedere visti agli ebrei in fuga a migliaia. Tra quelli che si salvarono, anche l’artista Salvador Dalì.
Il modello di preghiera per i cristiani è quello di Mosé, così vicino a Dio da poterglisi rivolgere come ad un amico, così uomo e fragile come uomo da poter essere misericordiosi con gli altri uomini. E questo perché Mosè "non ha mai perso la memoria del suo popolo e questa è una grandezza dei pastori: non dimenticare il popolo, non dimenticare le radici".
La pace di Cristo non è quella che si raggiunge al termine delle guerre, non è un momento in cui c’è un vincitore e uno sconfitto oppure un accordo di pace. La pace di Cristo è l’equilibrio interiore, che porta alla riconciliazione. E – nota Papa Francesco – “gli operatori di pace sanno che non c’è riconciliazione senza dono della vita”.
Cristo si è mostrato potente perché “ha saputo fare quello che i re della terra non fanno: dare la vita per gli uomini. In questo sta la vera libertà. A servizio di questa libertà sta la povertà elogiata dalle beatitudini”. Lo dice Papa Francesco durante l’udienza generale del mercoledì, nel secondo appuntamento della serie di catechesi dedicata alle Beatitudini.
"Fra loro tutto era comune”: la comunità fondata dagli apostoli si basa sulla condivisione, sulla comunione. Ma c’è chi, come Anania con sua moglie Saffira, che tiene una parte per sé, e viene punito. Perché – commenta Papa Francesco – “venire meno alla sincerità della condivisione, infatti, significa coltivare l’ipocrisia, allontanarsi dalla verità, diventare egoisti, spegnere il fuoco della comunione e destinarsi al gelo della morte interiore”.
Gli apostoli sono riuniti nel cenacolo, Giuda non c’è più e così gli apostoli decidono di ricostituirsi in Dodici, fanno discernimento comunitario e arrivano ad una scelta. Un procedimento che testimonia che l’unità e la libertà da se stessi sono “nel DNA della comunità cristiana, e questo permette “di non temere la diversità, di non attaccarsi alle cose e ai doni e di diventare martyres, testimoni luminosi del Dio vivo e operante nella storia”.
In Romania, “l’unione tra tutti i cristiani, pur incompleta, è basata sull’unico Battesimo ed è sigillata dal sangue e dalla sofferenza patita insieme nei tempi oscuri della persecuzione, in particolare nel secolo scorso sotto il regime ateistico”. Come di consueto, Papa Francesco parla del suo ultimo viaggio apostolico nella prima udienza generale dopo il suo ritorno.
Nel Padre Nostro, si diceva “non ci indurre in tentazione”. Ma in generale, spiega Papa Francesco, “l’espressione originale greca contenuta nei Vangeli è difficile da rendere in maniera esatta, ed è difficile da rendere in maniera esatta”. Ma tutti sono d’accordo che si deve “escludere che sia Dio protagonista delle tentazione che incombono sul cammino dell’uomo”, come se “Dio stesse in agguato per tendere insidie e tranelli ai suoi figli”.
È la “condivisione” il vero miracolo compiuto da Gesù nello spezzare il pane, e nel moltiplicare miracolosamente i pani e i pesci. Una condivisione che si legge anche nella preghiera del Padre Nostro, dove Gesù chiede di pregare non per avere “il mio” pane quotidiano, ma “il nostro”, con una richiesta che “parte dalla realtà, dal cuore e dalla carne che vivono nel bisogno”.
La consolazione nell’incontro con i vescovi del Centro America, la forte impronta mariana, gli incontri con le realtà del Paese: come fa sempre dopo un viaggio internazionale, Papa Francesco ne ripercorre le tappe nell’udienza generale. Un viaggio, spiega il Papa, in cui “tutto è stato come contagiato e amalgamato dalla presenza dei giovani”, perché era “una festa per i giovani e anche una festa per Panama, e anche per tutta l’America Centrale, segnata da tanti drammi e bisognosa di speranza e di pace e di giustizia”.
È l’invito a “coltivare sane utopie”, a vivere la “gioia della fede”, a non ascoltare “i vecchi di cuore” quello che Papa Francesco lancia al termine della catechesi dell’udienza generale.
Anche in tempo di Natale, Papa Francesco non ferma il ciclo di udienze generali e prosegue con le sue catechesi sul tema della speranza cristiana. E oggi la sua catechesi si concentra sulla figura di Abramo, che, sulla base della promessa di Dio, lascia la sua terra e diventa straniero. “La speranza – dice il Papa – apre nuovi orizzonti, rende capaci di sognare ci che non è neppure immaginabile”. E anche il lamentarsi è un atto di fede, un rivolgersi a Dio, perché “la fede non è solo silenzio che tutto accetta senza replicare”.
Ultima udienza generale dell’Anno Santo Straordinario per Papa Francesco, tutta dedicata al “sopportare pazientemente le persone moleste”, opera di misericordia che – sottolinea Papa Francesco – “forse non mettiamo in pratica come dovremmo”. Perché prima di guardare all’altro, dobbiamo guardare dentro noi stessi, per vedere se siamo davvero molesti.
Come possiamo essere testimoni di misericordia? Nella catechesi dell’udienza generale, Papa Francesco fa questa domanda ai fedeli. E la risposta è negli esempi di alcuni santi, con una richiesta: di pregare Dio perché si mantenga questo stile di vita che mostri la misericordia dell’uomo. Perché solo così si potrà avere una “rivoluzione culturale” data dalla misericordia.
Udienza generale dedicata alla Riconciliazione, nel giorno del Giubileo straordinario delle Forze Armate e delle Forze dell’Ordine. E Papa Francesco fa un appello ai confessori: “Aiutate le persone che vengono per riconciliarsi con Dio, e aiutateli nel cammino di questa riconciliazione”. E alla fine, un pensiero per i militari: “Siate strumenti della riconciliazione, aiutate a sviluppare la pace”.
“Una volta ho sentito un detto bello: ‘Non c’è santo senza passato, e non c’è peccatore senza futuro!’ La Chiesa non è una comunità di perfetti, ma di discepoli in cammino, che seguono il Signore, bisognosi del suo perdono”. Lo ha detto Papa Francesco durante l’udienza generale del 13 aprile, in una giornata ventosa e decisamente poco primaverile.