Come il Padre ha amato me, così anch’io ho amato voi. E’ Gesù che parla. La forza di questa affermazione è data dalla parola “come”. Non si tratta di un “come” comparativo, ma fondativo. Gesù, cioè, radica l’amore che nutre per i discepoli sull’amore che Padre ha per Lui. In altre parole, Egli afferma che l’amore del Padre è all’origine, è la condizione, è la possibilità del Suo amore per gli apostoli. Da questa rivelazione sgorga una conseguenza importantissima: il Figlio ama i suoi non perché trovi in loro qualità amabili, ma perché Lui per primo è amato dal Padre.
L’allegoria della vite e i tralci è una delle pagine più belle del Vangelo di Giovanni. Si propone di illustrare la relazione vitale esistente tra Cristo e i suoi discepoli e le conseguenze che ne derivano. La relazione che il Signore propone è qualcosa di molto diverso da quella che si instaura tra un maestro e i suoi alunni, tra un “sapiente” che educa ad una vita virtuosa i suoi adepti. Infatti, nessuno dei grandi maestri dell’antichità - Socrate, Budda – ha mai detto: Rimanete in me ed io in voi.
Gesù, in questa domenica, si auto-presenta: “Io sono il buon Pastore”. Io sono, è il Nome di Dio che Gesù usa per sè molte volte. Facendo proprio il nome di Dio, Egli si fa uguale a Lui, anzi dichiara di essere Lui stesso Dio. Esiste, pertanto, una differenza sostanziale tra Cristo e gli antichi pastori del popolo ebraico (i re, i profeti, i sacerdoti del tempio). Essi sono pastori per “partecipazione”, mentre Gesù è il Pastore vero.
I due discepoli di Emmaus, mentre ritornano alle loro case tristi e delusi in seguito alla morte e sepoltura di Cristo, vivono un’esperienza inaspettata che fa rinascere la speranza. Cristo risorto si affianca loro e si fa riconoscere mentre spezza il pane. Ripieni di gioia fanno ritorno a Gerusalemme e annunciano agli apostoli, riuniti nel Cenacolo, la resurrezione di Cristo. A confermare la testimonianza dei due, discepoli, improvvisamente, appare Gesù stesso.
Il brano di Vangelo di questa domenica ci racconta un’apparizione di Cristo risorto nel Cenacolo. L’aria che si respira all’interno della comunità dei discepoli è la paura. Una paura che è la conseguenze della loro mancanza di fede. Si sentono dei falliti, degli sconfitti. Hanno dato credibilità ad una persona, Gesù di Nazareth, che è stato violentemente ucciso e sanno che gli aguzzini cercano anche loro per metterli a morte. Si trovano, dunque, in una situazione spirituale e morale che li porta a chiudersi in loro stessi e ad evitare di farsi vedere.
La festa che oggi celebriamo è la più importante di tutto l’anno. E’ una festa che riempie di amore i nostri cuori, infonde un’immensa gioia e suscita una grande speranza.
Con questa domenica iniziamo la settimana più santa dell’anno. In essa la Chiesa celebra i misteri centrali della fede: la passione, la morte, la sepoltura e la resurrezione di Cristo. Con questi eventi Gesù conclude la Sua esistenza terrena e inizia l’esistenza cristiana.
Siamo ormai prossimi alla settimana santa e come domenica scorsa il Vangelo ci porta a confrontarci con la passione e la morte di Cristo, che Egli definisce come la sua “ora”. Per il mondo la Croce è sinonimo di impotenza e di fallimento, di disfacimento e di morte mentre per Gesù costituisce il momento della sua glorificazione. Come è possibile che una morte umiliante e dolorosa possa trasformarsi in esaltazione e gloria? Perché nella morte di Cristo si manifesta al mondo l’amore di Dio e la fecondità dell’offerta della sua vita.
Nel brano di Vangelo oggi risuona questa parola di Gesù: Dio ha tanto amato il mondo da dare il Figlio unigenito, perché chiunque crede in lui non vada perduto, ma abbia la via eterna.
Gesù si reca al tempio di Gerusalemme e trova che tutto, da un punto di vista formale, è a posto, in ordine, ma in realtà Egli non trova quello che cercava: un culto secondo Dio e cioè un cuore puro capace di offrire a Dio un sacrificio a Lui gradito. E il fatto che il tempio sia diventato “luogo di mercato” lo accende di ira e così porta a compimento la parola del salmo: Lo zelo per la tua casa mi divora. Scrive san Tommaso: “Lo zelo propriamente sta ad indicare un amore intenso, per cui chi ama intensamente non tollera nulla che contrasti con il suo amore”.
Il Vangelo di questa seconda domenica di Quaresima ci presenta l’episodio della Trasfigurazione di Gesù. Poco prima, a Cesarea, Gesù aveva annunciato ai suoi discepoli la sua passione e morte a Gerusalemme. Gli apostoli erano quindi rattristati e scandalizzati perché l’idea che essi avevano del Messia andava in tutt’altra direzione. Attendevano un Messia glorioso, potente, vincitore non sconfitto, disprezzato e ucciso dai suoi nemici.
La Quaresima ha lo scopo di farci rivivere i quaranta giorni di Gesù nel deserto, durante i quali fu tentato da Satana. Il Figlio di Dio, che ha assunto una carne umana in tutto simile alla nostra, accetta di sottostare alla tentazione come un qualsiasi mortale. Gesù, dunque, si colloca all’interno della storia e all’interno della lotta che in essa si svolge. Ma a differenza del primo uomo, Gesù esce vittorioso dalla prova e in questo modo dà inizio ad una nuova umanità capace di non cedere alle false lusinghe del male e di vivere in conformità alla volontà di Dio.
La lebbra nel mondo antico era considerata una malattia terribile che condannava alla solitudine, ma quel che è peggio era percepita come una punizione di Dio. Gesù di fronte al lebbroso è “mosso a compassione” e lo tocca. Nella compassione e nel gesto di Cristo verso il lebbroso noi vediamo il porsi di Dio nei confronti dell’umanità da Lui separata a causa del peccato, la vera lebbra, che distrugge la vita delle persone. Tutti, dunque, siamo lebbrosi. Con l’incarnazione Dio si rende visibile e pone le infinite ricchezze della sua divinità al servizio dell’uomo per dargli la vita. Anzi, Egli si fa carico del male dell’umanità.
Domenica scorsa nel brano di Vangelo abbiamo contemplato Gesù che predica e compie un esorcismo. Oggi accompagniamo Gesù nella sua opera di guaritore e nella sua preghiera. Gesù lascia la sinagoga, luogo pubblico, e si reca nella casa di Pietro e Andrea, dove trova “La suocera di Pietro… a letto con la febbre…”
Gesù si trova con i suoi discepoli a Cafarnao. Che cosa fa? Prima di tutto “si mise ad insegnare”. E’ questa la missione di Cristo e della Chiesa.
Gesù inizia la sua predicazione affermando: “Il regno di Dio è vicino, convertitevi e credete al Vangelo”. Che cosa significa questa espressione? Il Regno di Dio non è una realtà lontana, futura, ma presente. Si manifesta nelle parole e nelle azioni di Gesù, in una parola nella sua persona. Cristo è “dono inestimabile di Dio”, l’ “Amabilissimo Redentore”, il “Dio ammirabile” che si fa vedere. Con Gesù, Dio è all’opera e per questo motivo “Il tempo è compiuto”. Il progetto di Dio, cominciato con la creazione, trova la sua pienezza con la presenza e l’opera di Cristo. Egli viene a riempire il tempo con la sua Persona. E’ lui “l’amore di tutti i secoli”. Cristo è la parola definitiva di Dio all’uomo. Dopo di Lui il Padre non ha più nulla da dire all’umanità.
L’evangelista Giovanni, dopo il Prologo ci presenta gli inizi del ministero di Gesù con il racconto della vocazione dei primi discepoli. Il testo appare molto generico perché la chiamata da parte del Signore non è legato a un tempo determinato (2000 anni fa) o a un luogo preciso (la Galilea), ma “si ripete dovunque nel tempo della Chiesa”.
Nella solennità di oggi contempliamo il Battesimo di Gesù. Si tratta della prima azione pubblica di Cristo. Il Figlio di Dio, che è divenuto in tutto simile a noi eccetto il peccato, si presenta, confuso tra i peccatori, per ricevere il battesimo di conversione dato da Giovanni il Battista. Il Signore, con questo gesto, manifesta la sua piena solidarietà con l’umanità peccatrice.
Il bambino nato a Betlemme il giorno di Natale è il dono di Dio all’umanità. Non è solo il Messia destinato a Israele, ma anche il cercato delle genti, “perché con l’Incarnazione il Figlio di Dio si è unito in certo modo a ogni uomo” (GS 22) ed è divenuto “luce per illuminare le genti. I Magi che giungono ad adorare il Bambino costituiscono la primizia e l’inizio dell’adorazione universale di Gesù Cristo, unico e insostituibile Salvatore del mondo.
Il Figlio di Dio ha voluto iniziare la sua missione di Salvatore all’interno di una famiglia, la quale è la prima realtà che Gesù ha santificato con la sua presenza.