Gesù con la parabola degli invitati al banchetto di nozze rivela il destino finale dei suoi discepoli. Nonostante i cataclismi, i peccati, la crudeltà e le ingiustizie la storia umana cammina decisamente verso il banchetto eterno, verso un destino di gloria. La grandezza della fede risiede proprio nella visione che offre della vita: ci permette di intravvedere nella fragilità del presente la luce del futuro.
La parabola che Gesù oggi racconta richiama un testo del profeta Isaia che viene chiamato “Il canto della vigna” (Is. 5, 1-7). In esso il profeta descrive la storia del rapporto tra Dio ed il suo popolo. Una storia che sembra molto ricca di eventi, ma che in realtà, guardata in profondità, appare molto monotona. Infatti, da una parte troviamo l’amore infinito di Dio che non si stanca di inviare al suo popolo i suoi messaggeri (i profeti) per richiamarli alla fedeltà e dall’altra il continuo tradimento del popolo. Poiché il popolo si rifiuta di accogliere gli inviti del Signore la vigna cadrà in rovina, non sarà più coltivata e vi cresceranno spine e rovi.
Gesù anche questa domenica ci parla con una parabola la quale, pur avendo una grande connotazione polemica nei confronti della classe dirigente del suo tempo, è rivolta anche a noi. L’insegnamento appare molto chiaro. E’ possibile dire di “si” a Dio con le parole, ma non con la vita. Questo accade, ad esempio, quando si ascoltano espressioni del tipo: io credo, ma non vado a messa. Oppure quando a belle parole non fanno seguito i fatti. Tuttavia, è possibile anche l’atteggiamento contrario. Infatti, nella parabola, al “sì” inoperoso, troviamo anche il “no” del secondo figlio, che poi ci ripensa a va a lavorare nella vigna. Nel primo caso le parole sono buone, ma manca l’azione. Nel secondo le parole non sono positive, ma l’azione è buona. Ciò che conta, dunque, sono i fatti. Solo il figlio che obbedisce al padre, compie anche la sua volontà che dapprima rifiuta, ma che poi accoglie.
Ancora una volta le parole di Gesù ci sconcertano perché rompono i nostri schemi e il nostro modo di pensare Dio. Un pericolo sempre incombente nella nostra vita di cristiani, ma anche in tante persone che si mostrano ostili nei confronti di Dio, è quello di credere o di combattere un “dio” che in realtà non esiste perché chiuso entro i nostri ristretti schemi mentali e piegato alle nostre aspettative.
Domenica scorsa abbiamo meditato, aiutati dalle parole di Gesù, sulla condotta da tenere nei confronti dei fratelli che commettono il peccato. Oggi è san Pietro che pone a Cristo un caso ben preciso: Signore, quante volte dovrò perdonare al mio fratello, se pecca contro di me? Alla base di questa domanda sta una questione molto concreta e cioè come comportarci quando il fratello ci fa del male. Nella parola “fratello” sono inclusi innanzitutto i fratelli della propria comunità, ma alla luce dell’universalità del messaggio di Cristo, essa comprende tutti gli uomini. L’istinto spontaneo che nasce nel cuore dell’uomo nei confronti del male ricevuto è quello di ricambiare.
La Chiesa, nella quale vive il Signore, è una fraternità in quanto tutti sono figli di Dio. L’esperienza quotidiana, però, ci fa toccare con mano che non si tratta di una fraternità perfetta, fatta solo di puri e di santi. In essa è presente il peccato e a volte anche in forma grave. Per questo motivo, dice Gesù, è necessaria la correzione fraterna. Si corregge perché si ama. Commenta san Tommaso d’Aquino: Questa correzione deve provenire dalla carità, che è amore di Dio e amore del prossimo. Se ami, devi amare la salvezza del tuo fratello. Ma se lo vuoi salvare, devi avere cura della sua buona fama, e lo farai se lo correggi con un contatto personale, non se lo rimproveri davanti a tutti.
In questa domenica Cristo parla della sofferenza e della morte che lo attendono a Gerusalemme. Pietro, lo abbiamo meditato nel Vangelo di domenica scorsa, che ha riconosciuto Gesù come il Messia, ora davanti all’annuncio che ascolta rimane scandalizzato e si oppone ad esso. E’ assolutamente intollerabile che il Messia concluda la sua vita con una morte orrenda. Infatti, come potrà un uomo crocifisso salvare il mondo? Che cosa potrà offrire a coloro che lo seguono? E’ questo il senso della protesta di Pietro.
Chi è Gesù? La domanda circa l’identità di Cristo attraversa da oltre duemila anni la storia dell’umanità. Si tratta di una domanda di fondamentale importanza perché dalla risposta dipende un preciso orientamento di vita.
Il brano di Vangelo di questo domenica è dominato dall’ elogio che Gesù rivolge alla donna cananea: Donna, davvero grande è la tua fede! Ti sia fatto come desideri. Che cosa ha fatto questa madre per meritarsi tanta ammirazione da parte di Cristo? Un’ammirazione che appare ancora più sorprendente dl momento che si tratta di una donna pagana. Ha creduto in Gesù.
Con la presente solennità liturgica celebriamo la redenzione totale di una creatura umana, dopo quella di Cristo. La Parola di Dio ci rivela che quando il Signore Gesù ritornerà con potenza alla fine dei tempi, allora “risorgeranno coloro che sono di Cristo”. Ma nell’attesa che questo evento risolutore della storia dell’umanità si compia, noi sappiamo che c’è già una creatura umana, la Vergine Maria, che è partecipe della gloria del Cristo. Grazie alla Sua presenza, il cielo, per noi, non è più una realtà sconosciuta o lontana, ma una realtà aperta perché il cielo ha una Madre, ha un cuore.
Dopo il miracolo della moltiplicazione dei pani e dei pesci Gesù chiede agli apostoli di precederlo all’altra riva del lago. Mentre stanno compiendo la traversata vengono a trovarsi in una situazione di pericolo: hanno il vento contrario che agita il lago e la barca avanza con fatica. Sulla barca sono soli perché Gesù si è ritirato su un monte a pregare.
Il contesto nel quale avviene il miracolo della moltiplicazione dei pani e dei pesci è drammatico. Gesù è stato rifiutato dai suoi concittadini di Nazareth e ha saputo che il cugino, Giovanni Battista, è stato ucciso dal re Erode. Pertanto decide di ritirarsi in disparte in un luogo deserto. Non per fuggire, ma per vivere una maggiore comunione con il Padre, al quale obbedirà fino alla morte in croce.
Nel Vangelo di questa domenica, Gesù presenta il Regno dei cieli “simile a un tesoro nascosto in un campo”. Il campo è il mondo, è il cuore dell’uomo con tutti i suoi desideri e le sue speranze. Il tesoro è Cristo.
“Il Regno dei cieli si può paragonare…”. Così inizia il brano di Vangelo di oggi. L’espressione “Regno dei cieli, Regno di Dio” è un tema centrale dei vangeli. Cosa significa? Esso non è una cosa e neppure un luogo, ma si identifica con la persona di Cristo. Pertanto, Gesù identificando se stesso con il “Regno” intende rivelare che in Lui Dio è presente in mezzo agli uomini, che Egli è la presenza di Dio e che il luogo dove cresce e opera il Regno, che è Cristo, è il cuore dell’uomo.
Nel brano di vangelo Gesù racconta una parabola. Altre ne sentiremo nelle prossime domeniche. La parabola è un racconto che partendo dalla vita vissuta, dagli eventi dell’esistenza quotidiana ci innalza a Dio e dunque la parabola ha il compito di facilitarci la comprensione della Verità non tanto con il ragionamento, ma illuminando la mente e la fantasia di chi ascolta. Nella parabola di oggi il protagonista è un seminatore che prende atto che il seme da lui seminato produce frutti diversi. Così è della Parola del Signore che cade nel cuore dell’uomo. Gesù parla di se stesso e del suo apostolato, il quale non è esente da insuccessi. Il Signore è onesto e realista e proprio per questo è in grado di analizzare lucidamente anche i suoi “fallimenti pastorali”.
Il brano di Vangelo di questa domenica inizia con un’espressione – in quel tempo Gesù disse - che sembra avere solo lo scopo di collegare tra loro i diversi eventi della vita di Gesù. In realtà descrive il clima di tensione e di insuccesso nel quale Gesù si trova a vivere e operare. Nel capitolo 11, al quale appartiene il testo, infatti, noi troviamo descritti i dubbi di Giovanni il Battista circa l’identità e missione di Gesù, quindi il rifiuto da parte degli ebrei sia di Giovanni che di Cristo ed infine la dura condanna nei confronti delle città di Corazin, Betsaida e Cafarnao i cui abitanti, nonostante i numerosi miracoli in esse compiuti, non avevano creduto in Cristo.
Gesù, che ha donato la sua vita per tutti, ci ha insegnato ad amare senza distinzione alcuna. Tuttavia, oggi nel Vangelo ci ricorda che Lui va amato più di tutti, merita un amore senza misura e senza limiti. Niente e nessuno può prendere il suo posto nel nostro cuore, può essere preferito a Lui; neppure i legami familiari possono entrare in concorrenza con l’amore che a Lui si deve. Lui, infatti, è la misura della validità di ogni altro amore”.
Non abbiate paura! Questo invito ritorna per ben tre volte sulla bocca di Gesù nel Vangelo di questa domenica. Il Signore sa che il messaggio del Vangelo dovrà confrontarsi con ostacoli, troverà opposizione, sarà oggetto di derisione e causerà persecuzione a coloro che lo annunciano e a coloro che lo accolgono. Tutto ciò che ci appartiene e che ci è caro è sotto minaccia. Gesù non offre ai discepoli alcuna garanzia se non quella di fidarci di Lui. Nulla e nessuno, infatti, potrà fermare la forza intrinseca della Verità. Ne è un esempio la vicenda storica di Cristo stesso. La parola di salvezza che egli ha annunciato ha avuto una risonanza molto modesta presso i suoi contemporanei, tuttavia noi oggi assistiamo ad un fatto straordinario: questa parola partita da un oscuro angolo del nostro pianeta ha raggiunto tutti gli angoli della terra, superando ostacoli che sembravano insormontabili, portando frutti di bene e di santità insperati.
La Chiesa celebra oggi la Solennità del Corpo e Sangue del Signore. Questa festa, che ha una connotazione tipicamente cattolica, è nata con l’intento di rendere al Signore Gesù un culto pubblico ed esteriore. Culto caratterizzato soprattutto dalla processione col Santissimo Sacramento per le vie delle città e dei paesi dove viene celebrato. Si tratta di un atto solenne, col quale la Chiesa proclama che il Signore Gesù è presente nelle specie Eucaristiche ed invita tutti all’adorazione, alla gratitudine e alla sequela. La Chiesa in questo modo non si rivolge soltanto ai credenti. Essa intende raggiungere anche i lontani, e mostrare a tutti il tesoro più prezioso che possiede, cioè Gesù Cristo vero Dio e vero uomo presente “nel pane di vita”, che esce dai luoghi dove abitualmente viene celebrato, per incontrare l’uomo nel suo habitat naturale.
Dopo aver celebrato i misteri della salvezza – dalla nascita di Cristo a Betlemme fino alla venuta dello Spirito Santo a Pentecoste – la Liturgia ci porta a contemplare il mistero centrale della nostra fede: la santissima Trinità, fonte di tutti i doni e di tutte le grazie, mistero ineffabile della vita intima di Dio.