La liturgia della santa Messa, quando ormai mancano pochi giorni alla fine dell’anno liturgico, ci ricorda che oltre alla prima venuta del Figlio di Dio nell’umiltà della carne umana, ce ne sarà un’altra nella gloria alla fine dei tempi. Questa seconda venuta è chiamata dalla Scrittura: “Il Giorno del Signore”.
Il commento al Vangelo domenicale di S. E. Mons. Francesco Cavina
Domenica scorsa abbiamo lasciato Gesù a Gerico. Ora si trova a Gerusalemme e un maestro della legge si avvicina per sottoporgli una questione: “Qual è il primo di tutti i comandamenti’”. La domanda si comprende se si tiene in considerazione che gli studiosi del tempo avevano individuato nell’Antico Testamento ben 613 precetti, di cui 365 erano divieti e 248 precetti positivi, giungendo a distinguere tra precetti grandi e piccoli, difficili e facili. Era, dunque, necessario conoscere quali tra di questi comandamenti dovesse avere la priorità.
Il Vangelo di oggi ci porta nell’oasi di Gerico, collocata a 250 metri sotto il livello del mare. Mentre il Signore passa un cieco, di nome Bartimeo, con un grido più volte ripetuto chiede di essere guarito dalla sua cecità.
Il brano di Vangelo di questa domenica ci aiuta a scoprire l’identità di Cristo e del discepolo. I due fratelli e apostoli Giacomo e Giovanni rivolgono a Gesù una richiesta: «Concedici di sedere nella tua gloria uno alla tua destra e uno alla tua sinistra» (Mc 10,35-37).
Il commento al Vangelo domenicale di S. E. Mons. Francesco Cavina
Nel brano di vangelo di oggi a Gesù viene posta la questione della legittimità del divorzio. Gesù prima di rispondere fa una precisazione: il divorzio è una concessione che contraddice il disegno originario di Dio sul matrimonio. Con il divorzio, dunque, la Parola di Dio non è più accolta e messa in pratica ed emerge la pretesa da parte dell’uomo di costruirsi un progetto di vita indipendente da Dio.
Il Vangelo di questa domenica ci presenta la risposta di Gesù a Giovanni che si lamenta perchè una persona estranea al gruppo dei dodici caccia un demonio nel Suo nome.
Nel Vangelo di questa domenica, Gesù pone ai suoi amici più intimi questa domanda: Chi dice la gente che io sia? Ed essi con semplicità riferiscono le diverse opinioni che circolano su di Lui. Gesù è considerato come un profeta, in cui appaiono caratteristiche ora di questo o di quell’altro profeta dell’Antico Testamento, fino a giungere ad Elia e alla persona di Giovanni il Battista, ucciso da Erode.
La liturgia della Messa di questa domenica è un invito alla speranza, a confidare pienamente nel Signore.
Nel brano di Vangelo di questa domenica ricorre diverse volte la parola “cuore”. Si tratta di un termine molto importante nella Sacra Scrittura, dove raramente indica l’organo fisico in quanto tale.
Sono ormai diverse domeniche che la Chiesa propone alla nostra riflessione il discorso che Cristo ha pronunciato nella sinagoga di Cafarnao, dopo il miracolo della moltiplicazione dei pani e dei pesci.
In ogni uomo che viene al mondo è presente una fame ed una sete che nessun cibo e nessuna bevanda materiali possono estinguere.
Il Vangelo ci rivela che il cuore umano-divino di Gesù è un cuore compassionevole. E’ così attento alle necessità dell’uomo che interviene per soccorrerlo anche nelle sue necessità materiali e nei suoi bisogni primari. Gesù, dunque, vive in un profondo dialogo d’amore con il Padre suo celeste e nello stesso tempo presta grande attenzione a ciò che succede intorno a Lui, si rende presente alle vicende umane ed entra pure nei dettagli dell’esistenza delle persone.
Gli apostoli hanno terminato la loro missione e si riuniscono attorno a Gesù che li aveva mandati ad annunciare il regno di Dio. A Lui riferiscono quello che hanno detto e fatto, i successi e gli insuccessi, le fatiche e le soddisfazioni. Troviamo in questo atteggiamento dei dodici un comportamento esemplare per ogni discepolo, il quale deve rendere conto del suo operato al solo Gesù. Non sono mandati per compiacere gli ascoltatori o ricevere la loro approvazione, ma a proclamare Gesù, unico Salvatore del mondo. Ai discepoli il Signore propone il suo stesso ritmo di vita. Dopo un’intensa vita apostolica Gesù si ritirava in un luogo solitario, e là pregava. Si tratta di una pausa necessaria per distendere il corpo e lo spirito.
L’Evangelista san Marco ci ha già parlato della chiamata degli apostoli. I dodici erano stati scelti perché stessero con lui e per annunciare il Vangelo. Fino a questo momento essi hanno conosciuto la bellezza di stare con Gesù, ora sono mandati per vivere la seconda dimensione del discepolato, cioè l’andare, l’uscire per portare il lieto annuncio della salvezza.
Il brano di Vangelo di oggi, soprattutto le parole che Gesù pronuncia dopo il rifiuto dei suoi concittadini - Un profeta non è disprezzato se non nella sua patria - richiama un’affermazione del prologo del Vangelo di San Giovanni:
La liturgia di questa domenica ci porta a riflettere sulla vita e la morte. La prima lettura ci rivela che la morte non rientrava nel progetto originario del Creatore. Quando Dio ha creato l’uomo, lo ha voluto libero ed incorruttibile, ma il diavolo, invidioso della felicità dell’uomo, lo ha ingannato e lo ha portato a scegliere il peccato, e così la morte è entrata nel mondo. La morte, dunque, è la conseguenza del peccato.
Nel racconto del miracolo della tempesta sedata ascoltiamo il comando imperioso di Gesù, con il quale si impone al vento e comanda al mare: “Taci, calmati!. Il vento cessò e ci fu grande calma”. Si tratta di parole che risuonano benefiche ai nostri orecchi e ci portano, ancora una volta, ad interrogarci sul mistero della persona che si nasconde dietro a queste manifestazioni di grandezza e di potenza: “Chi è dunque costui, che anche il vento e il mare obbediscono?”. E la risposta è una e una sola. E’ il Salvatore del mondo, perchè è Dio e Signore che sostiene la storia.
In questa domenica Gesù ci parla del Regno di Dio e di come esso di sviluppi nel mondo. Si serve di due eventi che tutti possiamo osservare nella vita di ogni giorno: la storia del seme che cresce da solo e la storia del piccolo seme di senape che diventa un albero.