Sono nati intorno agli anni '60-'80 dell'Ottocento. Anni diversi, in luoghi diversi, con vite e destini diversi: chi proviene da famiglie agiate, che hanno permesso loro di studiare e viaggiare.
La statua in versione da studio era già stata regalata dal Presidente armeno al Papa durante il suo viaggio a giugno del 2016, oggi la sua gemella più grande è arrivata nei Giardini Vaticani
Qual è il destino del popolo armeno? “Una vita di pietra e tenerezza di madre”, ha detto Papa Francesco, nel volo di ritorno dai 3 giorni di viaggio nella prima nazione cristiana. La verità è che il popolo armeno ha avuto anche 36 soldati per difendere la fede. Soldati che hanno costruito la nazione, che non solo è stata la prima a proclamarsi cristiana, ma che probabilmente è il vero “popolo del libro” in tempi moderni. Perché il libro per gli armeni è tutto, e permea la religiosità popolare.
Tra San Gregorio di Narek e Daniel Varujan si apre il varco di quasi mille anni. Il primo, proclamato dottore della Chiesa, da papa Francesco, è nato infatti nel 950 circa ad Andzevatsik in Armenia, e morto intorno al 1005. Il secondo è nato nel 1884 in Anatolia ed è morto nel 1915, lungo le strade polverose in cui si è consumato lo sterminio del popolo armeno perpetrato dal governo dei Giovani Turchi. Un lungo filo rosso unisce queste due esistenze, accomunate dalla passione per la propria terra, per la potenza della parola che diventa poesia e infine preghiera. E dalla sofferenza. Gregorio è un santo, un mistico, Daniel è più genuinamente un poeta, sorretto dal sogno di una patria che non potrà più essere perduta e dalla fede in Dio che mai abbandona il suo popolo, anche quando sembra che solo la distruzione, la rovina e il sangue sparso siano l'esito finale della sua storia.
“Di fronte agli eventi tragici della storia umana rimaniamo a volte come schiacciati, e ci domandiamo “perché?”” É questa la domanda chiave che riecheggia nella basilica vaticana nel giorno in cui si ricorda un “martirio” e si celebra un nuovo Dottore della Chiesa, San Gregorio di Narek. La dolcezza struggente dei canti eseguiti dal coro armeno in contrasto con le parole di dolore del Papa che, all’inizio della celebrazione, ha legato lo sterminio armeno a quella che lui chiama “una terza guerra mondiale a pezzi”. Il Papa ricorda il martirio di oggi “il grido soffocato e trascurato di tanti nostri fratelli e sorelle inermi, che a causa della loro fede in Cristo o della loro appartenenza etnica vengono pubblicamente e atrocemente uccisi – decapitati, crocifissi, bruciati vivi –, oppure costretti ad abbandonare la loro terra. Anche oggi stiamo vivendo una sorta di genocidio causato dall’indifferenza generale e collettiva”. Poi, con un salto indietro nella storia il Papa torna al secolo scorso alle “tre grandi tragedie inaudite” e la prima, dice il Papa citando Giovanni Paolo II, è quella che “generalmente viene considerata come «il primo genocidio del XX secolo» (Giovanni Paolo II e Karekin II, Dichiarazione Comune, Etchmiadzin, 27 settembre 2001)”.