Nella Pacem Dei Munus Pulcherrimum, cento anni fa, Benedetto XV tolse il veto fatto dalla Sede Apostolica ai principi cattolici di venire in visita solenne presso il Quirinale, ormai sede della monarchia italiana. Allo stesso tempo, però, sottolineò che questa “non era una rinuncia ai propri sacrosanti diritti”, diritti spazzati via con la conquista di Roma da parte dei Savoia nel 1870. È un primo passo verso la risoluzione della Questione Romana. Ma è anche un passo necessario alla Santa Sede per entrare in quel mondo multilaterale che, in quegli anni, era rappresentato dalla Società delle Nazioni.
In pochi lo ricordano, ma c’è una decisione di Benedetto XV, presa un secolo fa, che è un segno concreto dell’anello di congiunzione tra Oriente e Occidente. È una scelta che rafforza l’idea di Benedetto XV di guardare a Est della Chiesa, e anche alle Chiese di Rito Orientale, ma che in fondo è anche un passaggio necessario perché le missioni di Oriente cambino definitivamente: la decisione di proclamare Sant’Efrem dottore della Chiesa.
Alla fine di tutto, la risposta è Cristo. Perché se c’era stata la Prima Guerra Mondiale, la ragione non poteva essere che l’allontanamento da Cristo, dai suoi precetti, dal suo Vangelo. E, se si voleva tornare alla pace, la risposta non poteva essere che tornare a Cristo. Lo spiegava Benedetto XV, facendo gli auguri di Natale al Collegio Cardinalizio il 24 dicembre 1920. Delineando, in quello stesso discorso, le cinque piaghe che contribuivano alla rovina morale dei popoli nel discorso di auguri natalizi al Sacro Collegio del 24 dicembre 2020.
Il 1920 è l’anno dell’Accordo di Trianon, che ridisegna la mappa europea, sposta interi popoli e confini, certifica il crollo dell’Impero Austro Ungarico. Ed è anche l’anno in cui Benedetto XV scrive la Pacem, Dei Munus Pulcherrimum, che delinea appunto la politica per la pace della Santa Sede. Una politica che Benedetto XV porta avanti in molti modi diversi. E uno di questo sono le epistole.