Per ora, si parla di un viaggio in Indonesia, Papua Nuova Guinea e Timor Est, come era previsto nel 2020. Ma Papa Francesco potrebbe aggiungere a queste tre tappe un passaggio in Vietnam. C’è un invito, e c’è una occasione: lo stabilimento di un ufficio, dove un rappresentante residente della Santa Sede può lavorare nel Paese. È il passo appena prima delle relazioni diplomatiche, che sono interrotte dal 1975. Se il viaggio avesse luogo, Papa Fracesco sarebbe il primo Papa a visitare Hanoi, e sembra che si stia già lavorando su una bozza di possibile programma. Il viaggio avrebbe luogo ad agosto. Intanto, l’arcivescovo Gallagher sarà in Vietnam ad aprile, e dopo sarà la volta del Cardinale Pietro Parolin, Segretario di Stato vaticano.
L’apertura della nunziatura a Cipro è un passo importante non solo per le relazioni diplomatiche tra Santa Sede e Cipro, ma per la stessa isola, divisa ormai da più di 40 anni dopo l’occupazione turca che ha creato a Nord uno Stato riconosciuto dalla sola Turchia, dove le chiese e le cattedrali sono state trasformate in moschee, ma anche bar e luoghi di ritrovo.
Sembrano proseguire spediti i contatti con il Vietnam, che ha accettato la nomina di un rappresentante residente della Santa Sede (ultimo gradino prima di arrivare alla piena reciprocità diplomatica) e che ora ha portato un gruppo di 16 esponenti del Partito Comunista in visita da Papa Francesco. C’è un invito per la visita del Papa nel Paese, e prima del Papa andranno Gallagher (ad aprile) e Parolin (entro l’anno). Un punto di svolta, si potrebbe dire.
Bene i fermenti che aiutano a portare alla verità. In maniera diplomatica, senza sbilanciarsi né dare giudizi sulla questione, il Cardinale Pietro Parolin, Segretario di Stato vaticano, ha accettato di rispondere ad una domanda su Fiducia Supplicans, la dichiarazione del Dicastero della Dottrina della Fede che apre a benedizioni “non rituali” per coppie irregolari. È la prima volta che dalla Segreteria di Stato arriva un commento sulla questione.
Un discorso tutto dedicato alla pace, con l’ammonimento che ormai non ci sono guerre al mondo che riescano ad evitare vittime civili, e che quelle “non sono danni collaterali. Sono bambini che rimangono orfani e privati del futuro. Sono persone che soffrono la fame, la sete e il freddo o che rimangono mutilate a causa della potenza degli ordigni moderni”. Ma, nel tradizionale incontro con il corpo diplomatico, Papa Francesco guarda oltre. Dice un “no” netto e deciso alla maternità surrogata, chiedendo un bando internazionale della pratica. Chiede il rispetto dei trattati internazionali e dei diritti umani. Tratteggia una pace possibile, contro l’inutile strage della guerra.
L’anno solare della diplomazia pontificia si è chiuso il 30 dicembre, con la presentazione delle lettere credenziali dell’ambasciatore dell’Oman presso la Santa Sede. Con l’Oman, la Santa Sede ha allargato la sua rete diplomatica, che ora consta di piene relazioni con 184 Stati. Inoltre, durante l’anno, la Santa Sede ha definito anche lo statuto, e la conseguente nomina, di un rappresentante residente della Santa Sede in Vietnam, il penultimo passo prima dell’apertura delle piene relazioni diplomatiche.
Il 2023 è stato l’anno del ricambio generazionale per la diplomazia pontificia. Iniziato l’anno con la nomina del nuovo sottosegretario della Segreteria di Stato per le relazioni multilaterali, monsignor Daniel Pacho, si è visto in Segreteria di Stato un profondo ricambio generazionale, con un nuovo capo del protocollo, monsignor Javier Domingo Fernandez Gonzalez, e un nuovo sottosegretario per il personale di ruolo diplomatico, monsignor Joseph Murphy. C’è stata anche la nomina di un nuovo presidente della Pontificia Accademia Ecclesiastica, la scuola vaticana degli ambasciatori, nella persona dell’arcivescovo Salvatore Pennacchio, trasferito dalla nunziatura in Polonia.
Ci sarà un inviato speciale di Papa Francesco in Terrasanta durante le festività natalizie. Papa Francesco ha infatti deciso di inviare il Cardinale Konrad Krajewski, Elemosiniere pontificio, a Gerusalemme, per ripetere insieme al Cardinale Pierbattista Pizzaballa, Patriarca Latino di Gerusalemme, l’invocazione per la pace dell’8 giugno 2014 nei Giardini Vaticani e pregare per la fine della “terza guerra del mondo a pezzi”.
Da rappresentante non residente a rappresentante residente. Ma nell’assenza della particella “non” c’è tutto il senso della nuova missione dell’arcivescovo Marek Zalewski, nunzio a Singapore e finore rappresentante non residente della Santa Sede in Vietnam. Ora diventa rappresentante residente, vale a dire con una sede ad Hanoi, e questo cambia molto il senso dei rapporti tra Vietnam e Santa Sede.
Il 75esimo anniversario della Dichiarazione Universale dei Diritti Umani è stato spesso menzionato in vari discorsi della Santa Sede nelle organizzazioni multilaterali. L’8 dicembre, a Ginevra, la Missione della Santa Sede guidata dall’arcivescovo Balestrero ha ospitato un evento di alto livello sul tema, che ha avuto come focus l’universalità dei diritti umani ma anche la responsabilità universale alla cura.
Papa Francesco ha menzionato anche nel consueto atto di omaggio all’Immacolata dell’8 dicembre la situazione in Terrasanta, chiedendo intercessione per il popolo palestinese e il popolo israeliano. La situazione è comunque complessa, la diplomazia della Santa Sede viaggia su un equilibrio difficile, cercando di non cadere – come ha sottolineato il Cardinale Pierbattista Pizzaballa, vicario latino di Gerusalemme, in un incontro online con la plenaria del Consiglio delle Conferenze Episcopali di Europa – vittima delle “opposte narrative”, condannando Hamas, ma guardando anche alla popolazione di Gaza che soffre.
Sei nuovi ambasciatori non residenti, provenienti dal Golfo, dall’Africa, dalla Scandinavia, dall’Oceania. E, quando gli ambasciatori non sono residenti, il Papa li riceve in gruppo, e non in udienza privata, e proferisce un discorso che segnala anche le linee diplomatiche della Santa Sede. Così ha fatto stamattina, incontrando per la presentazione delle credenziali gli Ambasciatori di Kuwait, Nuova Zelanda, Malawi, Guinea, Svezia e Ciad presso la Santa Sede, in occasione della presentazione delle Lettere Credenziali.
Proprio all’inizio del conflitto contro Hamas, Papa Francesco avrebbe avuto una conversazione telefonica con il presidente di Israele Isaac Herzog, e i torni non sarebbero stati piuttosto distensivi. Lo ha rivelato il Washington Post in un servizio, non incorrendo ancora in una smentita vaticana.
È stato prima in Corea del Sud, per festeggiare i 60 anni di relazioni diplomatiche, e poi è andato direttamente a Vienna, ad una due giorni dove ha tenuto un discorso all’incontro dei segretari generali delle Conferenze Episcopali dell’Europa Centrale: settimana piena di impegni per l’arcivescovo Paul Richard Gallagher, segretario vaticano per i rapporti con gli Stati.
Il presidente di Cipro, eletto lo scorso febbraio, visiterà Papa Francesco il prossimo 24 novembre, in quello che si preannuncia un incontro molto importante per discutere la situazione nel Mediterraneo e per riportare sotto i riflettori la situazione di Cipro, unico Paese europeo attualmente diviso e visitato da Papa Francesco nel 2021.
Proseguono i contatti di alto livello tra Iran e Santa Sede. Il 5 novembre, su richiesta di Teheran, Papa Francesco ha avuto una conversazione telefonica con il presidente iraniano al Raisi. La Santa Sede punta ad evitare una escalation nella regione, mentre continua senza sosta la guerra di Israele contro Hamas.
Dopo le visite del Cardinale Pietro Parolin nell’ambasciata di Israele presso la Santa Sede il 13 ottobre e nell’ambasciata di Palestina presso la Santa Sede il 17 ottobre, Papa Francesco ha avuto una conversazione telefonica con il presidente palestinese Mahmoud Abbas, conosciuto anche con il nome di battaglia di Abu Mazen, che tra l’altro era stato alla preghiera per la pace nei giardini vaticani del giugno 2014 insieme a Shimon Peres. Papa Francesco ha chiesto al presidente di puntare ad un cessate il fuoco.
La Santa Sede continua a guardare con attenzione quanto succede in Terrasanta. Papa Francesco ha indetto una giornata di preghiera e digiuno per la pace il 27 ottobre, al termine della quale, dopo un Rosario nella Basilica Vaticana insieme a tutti i padri sinodali, ha affidato il mondo alla Vergine Maria. Nel frattempo, tornava a parlare il Cardinale Parolin, ribadendo la preoccupazione per la situazione in Terrasanta e mettendo in luce come la Santa Sede sia disposta a mettere in campo ogni tipo di sforzo per evitare una escalation militare nella regione.
In una recente intervista, Papa Francesco ha lasciato palesare l’idea di poter andare in Papua Nuova Guinea, un viaggio che era progettato per il 2020e che poi non si poté fare per via della pandemia. In un’altra occasione, il Papa aveva detto che pensava di andare in Kosovo a novembre, anche se niente era deciso. Ma il prossimo viaggio potrebbe anche essere negli Emirati Arabi Uniti. Un ritorno, per il Papa, che dopo la Laudate Deum potrebbe voler partecipare di persona alla COP28. L’invito c’è.
La diplomazia della Santa Sede si trova ad affrontare un momento difficile, alla ricerca di una posizione di equilibrio su quanto sta succedendo in Israele. L’intervista che il Cardinale Parolin ha concesso ai media vaticani il 13 ottobre va in questo senso. Gli attacchi di Hamas, la carneficina efferata che non ha risparmiato bambini, hanno fatto sembrare vani tutti gli sforzi della diplomazia vaticana, che in questi anni ha sempre sostenuto che la soluzione dei “due popoli, due Stati” avrebbe potuto assorbire le tensioni, e avrebbe permesso al popolo palestinese di trovare un modo di convivenza. Per questo, la Santa Sede ha sostenuto il riconoscimento dello Stato palestinese all’UNESCO, il primo passo che ha portato poi la Palestina ad essere riconosciuto come Stato osservatore alle Nazioni Unite nel 2012.