Una conferenza sul disarmo, con una particolare enfasi sul disarmo nucleare, si terrà in Vaticano il prossimo 10 e 11 novembre.
Le parole che il Papa ha pronunciato di fronte alla delegazione della diocesi di Ahiara sono state rese note dall’agenzia Fides il 9 giugno, e poi dalla Sala Stampa della Santa Sede. Ed è una presa di posizione durissima contro clero e fedeli che hanno rifiutato il vescovo nominato nella diocesi perché di etnia diversa a quella della regione.
L’intervento della Santa Sede alla 70esima assemblea mondiale della Sanità si è concluso con l’invito alle autorità presenti a partecipare alla Conferenza Internazionale “Affrontare le disparità globali in materia di salute” che si svolgerà in Vaticano dal 16 al 18 novembre.
La lotta al terrorismo, con una particolare sensibilità per la persecuzione dei cristiani, ma con lo sguardo ben puntato sulla situazione generale. Il lavoro diplomatico, necessario per aiutare le missioni sul territorio. Lo sforzo umanitario. Sono questi i tre poli sui quali si concentra la diplomazia pontificia, secondo la sintesi che l’arcivescovo Paul Richard Gallagher, segretario vaticano per i rapporti con gli Stati, ha fatto di fronte ai membri della Fondazione Centesimus Annus Pro Pontifice lo scorso 20 maggio.
A cosa serviranno le nuove relazioni diplomatiche? Sicuramente, a migliorare lo status giuridico della Chiesa birmana, con l’apertura di un tavolo per riottenere le scuole nazionalizzate e confiscate nel 1962, una cinquantina di istituti in tutto.
Si può quantificare l’impegno della Chiesa nel conflitto siriano? Non si può in termini di sostegno alla popolazione, ma si può quantificare quanto è stato investito in aiuti. E le cifre le ha date il “ministro degli esteri” vaticano Gallagher, parlando alla conferenza su “Sostenere il futuro della Siria e della Regione”.
Il primo obiettivo è quello di “ricostruire il clima di fiducia” per permettere ai rifugiati di ritornare a casa. Lo racconta ad ACI Stampa l'arcivescovo Silvano Tomasi, segretario delegato del Dicastero per la Promozione dello Sviluppo Umano Integrale, che è stato in un “pellegrinaggio” di 10 giorni in Libano, Giordania, Iraq, Grecia.
Nell’ambito di un dibattito al Consiglio di Sicurezza delle nazioni Unite sulla “Protezione delle Infrastrutture critiche contro gli attacchi terroristici”, la Santa Sede ha chiesto ha gran voce l’intervento della comunità internazionale per proteggere le infrastrutture civili dagli attacchi terroristici.
Ripercorrendo punto per punto il discorso di inizio anno di Papa Francesco al corpo diplomatico accreditato, la missone della Santa Sede alle Nazioni Unite rimarca l’importanza delle religioni nella promozione della pace nel mondo.
Tra Africa ed Oriente, i ranghi diplomatici della Santa Sede sono in viaggio con uno scopo: promuovere la pace. È stato questo il centro della “lezione” sulla diplomazia vaticana che il Cardinale Pietro Parolin, Segretario di Stato vaticano, ha dato un Madagascar, dove è in visita fino a domani prima di recarsi in Congo. Ed è stato questo il senso del messaggio che l’arcivescovo Paul Richard Gallagher, “ministro degli Esteri” vaticano, ha lanciato durante la sua visita ad Hiroshima, dove fu sganciata la prima bomba atomica.
Fa il ritratto di una diplomazia vaticana “più attiva”, che ha assunto il ruolo di leader, che punta a “lottare contro la povertà, costruire ponti, lavorare per la pace”. Sottolinea la necessità di “ridare un’anima all’Europa”. E mette in luce la necessità di difendere la libertà religiosa. A Davos per il World Economic Forum, il Cardinale Pietro Parolin, Segretario di Stato vaticano, partecipa ad una conversazione, riportata da Radio Vaticana.
Nel suo discorso di inizio anno al corpo diplomatico accreditato presso la Santa Sede, Papa Francesco ha anche plaudito ad una iniziativa del Consiglio d’Europa sulla dimensione religiosa del dialogo interculturale. Questa iniziativa – che ha luogo ogni anno – si chiama Exchanges, e la Santa Sede vi prende parte da sempre. Lo scorso anno, l’incontro si è tenuto a Sarajevo, mentre questo anno ha avuto luogo a Strasburgo, sede del Consiglio d’Europa, dal 9 al 10 novembre. Ma cosa ha detto la Santa Sede durante l’incontro?
L’ultima arrivata è la Repubblica Islamica di Mauritania, che ha stretto relazioni bilaterali con la Santa Sede lo scorso 9 dicembre. E sono così 182 i Paesi nel mondo con cui la Santa Sede ha piene relazioni diplomatiche, cui si aggiungono l’Unione Europea e il Sovrano Ordine di Malta. C'è tutto il mondo di una diplomazia nata per servire il bene comune e la dignità dell'essere umano dietro il discorso del Papa al corpo degli ambasciatori accreditati presso la Santa Sede, per tradizione il primo dell'anno.
Da cinque anni, la Santa Sede è membro dell’International Organization for Migrations, rappresentata attualmente nell’organismo dall’arcivescovo Ivan Jurkovic, Osservatore permanente della Santa Sede presso l’ufficio ONU di Ginevra. Dopo aver delineato l’impegno della Santa Sede nell’organizzazione, il diplomatico vaticano racconta quali sono le attuali priorità sul tema delle migrazioni. E spiega quale sarà l’ipegno della Santa Sede.
Un miliardo di persone in movimento, 250 milioni di migranti. Le cifre del fenomeno migratorio sono incredibili, e sempre in crescita. Da sempre, la Santa Sede ha una sollecitudine particolare per le popolazioni migranti. E dal 2011 è diventata membro dell’International Organization for Migration, un osservatorio privilegiato per comprendere ed affrontare il fenomeno migratorio. Rappresentante della Santa Sede allo IOM è l’arcivescovo Ivan Jurkovic, Osservatore Permanente della Santa Sede presso l’ufficio ONU di Ginevra e altri organismi particolari. In una intervista esclusiva con ACI Stampa, il diplomatico vaticano racconta il lavoro che la Santa Sede porta avanti allo IOM. E delinea qualche sfida futura.
Da Ginevra a Vienna, la Santa Sede fa sentire la sua voce sul tema delle armi, dei trattati internazionali del commercio che impediscono l’accessibilità dei farmaci, ma soprattutto tiene il discorso di apertura alla conferenza dell’OSCE sulla lotta all’intolleranza nei confronti dei cristiani. Un incontro di alto livello, quest’ultimo, che si è tenuto a Vienna, nella sede OSCE, il 14 dicembre. Il discorso è stato pronunciato da monsignor Antoine Camilleri, vice ministro degli Esteri vaticano, e rappresenta un punto fermo del modo in cui la Santa Sede vuole sia trattata la libertà religiosa. Una posizione portata avanti non solo per interesse personale – dice monsignor Camilleri – ma anche per tutte le altre minoranze, partendo dal presupposto che la libertà religiosa è la cartina di tornasole da cui si comprende come gli altri diritti fondamentali vengano rispettati.
Non sono più quindici le nazioni con le quali la Santa Sede non ha rapporti diplomatici. La Santa Sede ha infatti annunciato oggi che stabilirà un nunzio apostolico in Mauritania, stabilendo così relazioni diplomatiche con la Repubblica islamica del continente africano.
La pace che passa attraverso delle risorse comuni, come l’acqua. Ma anche l’accesso alle medicine per tutti, difeso con forza in sede di trattato internazionale. E il lavoro fatto per la tutela delle minoranze. Gli osservatori della Santa Sede presso le Nazioni Unite di New York e Ginevra, nonché quello presso l’OSCE a Vienna, hanno messo questi temi sul tavolo nelle sessioni che si sono tenute dall’7 al 22 novembre.
L’idea di un piano strategico rivolto all’Africa per regolare i flussi di immigrazione e l’idea di una intera giornata di incontri sulla situazione degli Stati del continente africano. La situazione in Medio Oriente, con la difficile situazione siriana. L’impegno delle minoranze cristiane nella costruzione di una società per il bene comune. Sono i temi dell’incontro tra Santa Sede e Italia, un bilaterale che ha luogo periodicamente, anche se per la prima volta viene raccontato in una conferenza stampa. Italia e Santa Sede, vicine geograficamente e anche sullo scacchiere internazionale.
Papa Francesco ha celebrato con loro a Santa Marta al mattino, e poi ha cenato con loro, lo scorso 18 novembre. E si è trattato di un particolare segno di attenzione verso il lavoro diplomatico della Santa Sede. Perché gli addetti di nunziatura giunti a Roma da ogni parte del mondo per celebrare il loro Giubileo sono un po’ il motore di ogni ambasciata pontificia nel mondo.