Quale è l’agenda della diplomazia pontificia? La ha delineata il Cardinale Pietro Parolin, segretario di Stato vaticano, in un intervento lo scorso sabato nell’ultima sessione della conferenza internazionale organizzata dalla fondazione Centesimus Annus pro Pontifice. Dalla famiglia alla pace nel mondo, il Cardinale ha parlato degli obiettivi fondamentali della diplomazia del Papa. Nel frattempo, si parla di un possibile viaggio del Papa in Iraq (poi smentito) e il Santa Marta Group, che si occupa di traffico di esseri umani, viene onorato ad una serata di gala organizzata dalla Missione della Santa Sede presso l’ONU di New York.
La nomina del nuovo nunzio a Singapore conclude in qualche modo il giro di nomine degli “ambasciatori del Papa” in sedi particolarmente importanti. La sede di Singapore ha un peso diplomatico perché è anche quella da cui si curano le relazioni con il Vietnam, che non ha rapporti diplomatici con la Santa Sede, ma che sta trattando per aprirli.
L’appello di Papa Francesco per la situazione che si è creata al confine della striscia di Gaza è stato seguito da una dichiarazione della Santa Sede presso il Consiglio dei Diritti Umani di Ginevra.
La recente visita del premier romeno Viorica Dancila ha lanciato l’idea di “uno strumento pattizio” tra Santa Sede e Romania per quanto riguarda il mutuo riconoscimento dei titoli di studio. Ma c’è un altro concordato in vista: è quello con l’Angola.
Due rapporti usciti nella scorsa settimana rappresentano una necessaria lettura per la diplomazia pontifica, per comprendere sia la situazione che vivono i cristiani in Europa, sia la persecuzione religiosa nel mondo. Sono questi i dati da cui partono le contromisure. Nella settimana, anche due interventi alle Nazioni Unite, uno a New York e uno a Ginevra, sui temi dei rifugiati e della Non Proliferazione delle Armi Nucleari.
Si è parlato di questione palestinese e di costruzione della pace alle Nazioni Unite di New York; di disarmo nucleare e sviluppo alle Nazioni Unite di Ginevra; ma è arrivata anche una richiesta di mediazione arrivata direttamente dal Camerun. Questi i temi della settimana della diplomazia pontificia.
Il viaggio in Arabia Saudita del Cardinale Jean Louis Tauran, presidente del Pontificio Consiglio per il Dialogo Interreligioso, è il culmine di una settimana che la diplomazia della Santa Sede ha dedicato per buona parte al Medio Oriente e agli Stati del Golfo. Nel corso della settimana, anche tre interventi alle Nazioni Unite e un dibattito in Canada che tocca, in qualche modo, anche il tema della diplomazia.
Grande attività, questa settimana, nelle missioni della Santa Sede alle Nazioni Unite di Ginevra e New York. A Ginevra, si è discusso il global compact sui rifugiati, ma si è tenuta anche una sessione speciale sulla Repubblica Democratica del Congo, un tema che la Santa Sede ha molto a cuore. A New York, sono terminate le riunioni della Commissione sullo Sviluppo Sociale, che da tempo si distingue per una agenda che cerca di introdurre il diritto all’aborto (mascherato da diritto alla salute riproduttiva) nei documenti ONU. Ma anche la Laudato Si continua a generare discussione. Ne ha parlato anche il Cardinale Pietro Parolin, Segretario di Stato vaticano, alla Conferenza Episcopale di Oceania.
“La Pace in terra, anelito profondo degli esseri umani di tutti i tempi, può venire instaurata e consolidata solo nel pieno rispetto dell’ordine stabilito da Dio”. San Giovanni XXIII cominciava così, 55 anni fa, l’enciclica Pacem in Terris. Ancora oggi, quell’enciclica continua a rappresentare il cardine dell’attività diplomatica della Santa Sede.
Non ci sono stati preamboli, all’incontro preparatorio dei negoziati sul global compact per Migrazioni Ordinate, Regolari e Sicure. Quando i leader delle nazioni si sono riunite a Puerto Vallarta, in Mexico, per discutere il grande documento intergovernativo, nessuno ha dato il via al dibattito. C’è stato solo un video di Papa Francesco, che riprendeva un suo intervento sulle migrazioni e che ha dato il tono all’incontro.
Non ci sono stati interventi della Santa Sede nel multilaterale, in quest’ultima settimana, sebbene il lavoro continui costantemente nelle missioni presso le Nazioni Unite e altri organismi internazionali. Ci sono stati, però, eventi significativi per la diplomazia pontificia, soprattutto dal punto di vista bilaterale. E c’è un anniversario da celebrare: quello dei 54 anni della Missione della Santa Sede alle Nazioni Unite come Osservatore Permanente.
Alla vigilia di Pasqua, c’è molta attesa per quello che dirà Papa Francesco nel tradizionale urbi et orbi. Migrazioni, traffico di esseri umani e attenzione agli emarginati furono i temi dello scorso anno, con speciali focus sulle situazioni in Ucraina, Repubblica Centrafricana, Terra Santa. Alcuni dei temi che saranno affrontati dal Papa domani si possono cominciare a intravedere dalle attività della diplomazia pontificia in quest’ultima settimana.
Un intervento dell’arcivescovo Paul Richard Gallagher, “ministro degli Esteri” vaticano ad un convegno sulla Cina ha dato il tono al dibattito sui dialoghi in corso tra Cina e Santa Sede, sebbene un possibile accordo sulle nomine episcopali non sia stato nemmeno nominato. In generale, la diplomazia pontificia questa settimana ha guardato ai continenti meno conosciuti: è stato annunciato il viaggio del Cardinale Pietro Parolin, Segretario di Stato vaticano in Oceania, mentre un rappresentante della Conferenza Episcopale del Congo ha parlato al Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite. E prosegue, all’ONU, l’impegno della Santa Sede alla Conferenza sullo status della donna.
È cominciato un periodo impegnativo alle Nazioni Unite per la Missione della Santa Sede: dal 12 al 23 marzo si riunisce la 62esima sessione della Commissione sullo status delle donne, un incontro annuale che si focalizza su come far progredire la situazione delle donne nel mondo. È quel tipo di incontri dalla cui finestra sono stati fatti entrare il diritto all’aborto o l’obbligatorietà a fornire contraccezione, e per questo la Santa Sede è molto impegnata sul tema: questa settimana, ci sono già stati tre interventi e due eventi organizzati dalla Missione.
La dignità dei bambini è “a rischio” e il migliore interesse del bambino “dovrebbe essere una priorità in ogni situazione umanitaria”. La Santa Sede parla a Ginevra di Diritti del Bambino, ed espone la sua denuncia della situazione internazionale. Sempre a Ginevra, in questa settimana, c’è stato un evento sulla persecuzione dei cristiani, tema forse un po’ dimenticato, eppure sempre attuale.
Settimana di celebrazioni a Ginevra, dove si è festeggiato per i settanta anni della Dichiarazione Universale dei Diritti Umani. Anche la Santa Sede ha partecipato alle celebrazioni, con un denso intervento in cui si sottolineava che la libertà di religione o di fede è la cartina di tornasole dei diritti umani: se manca questo, rischiano di mancare tutti.
È cominciato un periodo intenso per la diplomazia pontificia, impegnata in prima linea nei negoziati per il Global Compact. All’attenta osservazione dei negoziati, la Santa Sede aggiunge anche, da tradizione, dei cosiddetti “Side events”, eventi collaterali, che servono a mettere in luce con il mondo diplomatico alcuni dei temi che le stanno particolarmente a cuore. È successo questo, lo scorso 21 febbraio, con l’evento “Porre fine alla detenzione di minori migranti e rifugiati: determinazione del superiore interesse e alternative alla detenzione”.
È chiaro che il tema delle migrazioni sarà cruciale per la diplomazia pontificia durante l’anno. E questo non è dato solo dal fatto che Papa Francesco ha dedicato a “Migranti e rifugiati, uomini e donne in cerca di pace” il suo messaggio per la Giornata Mondiale della Pace. Ci sono due Global Compacts da discutere, e il draft 0 sull’accordo per i rifugiati è stato oggetto di discussion a Ginevra. È stato il principale impegno della diplomazia pontificia nella settimana.
È stato prima a colloquio con il Cardinale Pietro Parolin, Segretario di Stato vaticano, e poi con l’arcivescovo Paul Richard Gallagher, “ministro degli Esteri” della Santa Sede. Ryadh al Maliki, ministro degli Esteri dello Stato di Palestina, è arrivato appositamente a Roma per parlare della questione palestinese. Con una richiesta specifica: che la Santa Sede organizzi una conferenza, riunisca varie confessioni religiose, per riaffermare che Gerusalemme deve essere prima di tutto una città aperta per tutte le religioni. ACI Stampa lo incontra con pochi altri giornalisti nella sede dell’Ambasciata di Palestina presso la Santa Sede, aperta lo scorso giugno.
Dopo che è stato emesso il “draft 0” del “Global Compact” per Migrazioni “Sicure, Ordinate e Regolari”, la Santa Sede ha partecipato ad una discussione informale presso l’ufficio ONU di New York che ha dato di fatto il via ai negoziati. È il primo passo di un impegno che sarà costante nel corso dell’anno. Intanto, l’arcivescovo Gallagher, “ministro degli Esteri” vaticano, è in Azerbaijan per presiedere la messa di ordinazione episcopale del vicario apostolico, Vladimir Fekete, e approfitta per una serie di incontri con le autorità che rafforzano le relazioni tra Santa Sede e Azerbaijan dopo il viaggio di Papa Francesco nel 2016.