La nomina di tre nuovi nunzi apostolici rappresenta anche un cambio di volto importante per la Segreteria di Stato vaticana, che perde due protagonisti degli ultimi anni. Ci sono, al momento, 13 nunziature vacanti, ma ancora i nuovi incarichi non sono stati assegnati. Di certo, quando tutte le nomine saranno completate, ci si troverà di fronte ad una Segreteria di Stato dal volto nuovo.
Ci sarà un ufficio della Santa Sede completamente dedicato all’Organizzazione degli Stati Americani. Il nuovo ufficio ha un grande significato, perché dimostra l’impegno della Santa Sede nel multilaterale. Un approccio certificato da Papa Francesco nel discorso di inizio anno al Corpo diplomatico accreditato presso la Santa Sede e che troverà una applicazione concreta con la nomina in Segreteria di Stato di un sottosegretario per i rapporti con gli Stati dedicato solo alle relazioni multilaterali, previsto dalla riforma della Curia.
Oltre il progetto europeo, sono molti i poli di attenzione della Santa Sede questa settimana: proseguono gli incontri tra Vietnam e Santa Sede, che porteranno ad una prossima visita del Cardinale Parolin nel Paese ma anche allo stabilimento di un rappresentante permanente della Santa Sede ad Hanoi, sebbene non ancora un nunzio; il nuovo nunzio di Cuba è l’attuale presidente della Pontificia Accademia Ecclesiastica, che viene inviato in uno scenario cruciale per la Chiesa; gli Emirati Arabi Uniti stabiliscono un comitato per implementare la dichiarazione di Abu Dhabi.
Alla vigilia del viaggio di Papa Francesco in Mozambico, sono stati conclusi gli accordi di pace che chiudono tensioni che si sono protratte per oltre 40 anni. Nel frattempo, le Chiese cristiane di Damasco si incontrano per parlare della situazione in Medio Oriente, i vescovi del Costa Rica affrontano i problemi sociali del Paese, in Spagna si discute una revisione del Concordato con la Chiesa cattolica e il Cardinale Turkson è inviato da Papa Francesco in Nord Kivu, per affrontare l’emergenza Ebola.
La beatificazione di sette vescovi greco-cattolici celebrata in Romania da Papa Francesco lo scorso 2 giugno era molto più di una Messa. Era il riscatto di un popolo, di una Chiesa che era rimasta ai margini e che doveva essere annientata. E proprio la Chiesa Greco-Cattolica era la prima vittima designata. Piccola, legata a Roma, simile alla Chiesa ortodossa per il rito, ma non legata allo Stato totalitario.
Trenta anni fa, il regime comunista nell’allora Cecoslovacchia viene smantellato da una settimana di crescenti proteste che porteranno all’emendamento della Costituzione e al primo leader non comunista del Paese dal 1948. È la rivoluzione di Velluto, ed è un evento che può essere paragonato, per la Repubblica Ceca, alla caduta del Muro di Berlino.
Vengono dal Baltico e dalla Turchia le principali notizie della diplomazia pontificia della settimana. I vescovi delle confessioni cristiane di Lettonia si sono incontrati con il nuovo presidente, mentre arriva finalmente la nomina del nunzio in Lettonia ed Estonia. In Turchia, da segnalare la costruzione di una chiesa assira, la prima chiesa cristiana costruita nella Turchia moderna.
Non si può comprendere l’Ucraina di oggi senza comprendere la lotta per l’indipendenza della nazione che si è tenuta dal 1917 al 1921. Si è trattato – ha detto Tetiana Izehvska, per più di dieci anni ambasciatore di Ucraina presso la Santa Sede – di “uno dei più complessi e drammatici periodi della moderna storia ucraina”, che ha “messo insieme diversi processi, incluso il consolidamento della nazione ucraina, del senso di uno Stato ucrain e della dichiarazione di indipendenza ucraina”.
Dalla “terra delle croci” alla “terra di Maria”, dalle vie commerciali che arrivavano fino a San Pietroburgo al commonwealth polacco, le tre repubbliche baltiche di Lituania, Lettonia ed Estonia vivono insieme i grandi mutamenti che fanno seguito alla Prima Guerra Mondiale, trovano insieme l’indipendenza, sono più o meno gemelle. Eppure sono differenti, e differente è stato l’approccio della Santa Sede sul loro territorio, sebbene da sempre ci sia stato un solo rappresentante che le univa. E tuttora, c’è un nunzio, con sede a Vilnius, che rappresenta la Santa Sede in Lituania, Lettonia ed Estonia.
Per i cento anni della restaurazione delle relazioni diplomatiche tra Santa Sede e Polonia, una statua di Pio XI è stata svelata nel cortile della nunziatura di Varsavia. Prima di essere eletto Papa, Pio XI fu infatti il primo inviato papale nella ricostituita Polonia. Dovette avere a che fare con una difficile situazione, nuovi nazionalismi e conflitti e una nazione che faceva del cattolicesimo vanto nazionale. Una nazione che era riuscita appena a riconquistare una indipendenza dopo anni che era stata cancellata dalla mappa geografica.
La diplomazia pontificia al di là della Cortina di Ferro non nasce dopo la Seconda Guerra Mondiale. È, piuttosto, il frutto di un lavoro costante che la Santa Sede ha cominciato a fare dopo la Prima Guerra Mondiale, con la formazione dei nuovi Stati scaturiti dal disfacimento degli Imperi.
Da settembre 2018 a maggio 2019, Papa Francesco ha visitato sei Paesi che erano dall’altra parte della Cortina di Ferro: prima Lituania, Lettonia ed Estonia, quindi, Bulgaria, Macedonia del Nord e Romania. Ognuna di queste nazioni aveva vissuto il giogo comunista. Ognuna di queste nazioni aveva sperimentato l’ateismo di Stato. In ognuna di queste nazioni la Santa Sede aveva operato per salvare ed aiutare il gregge cattolico.
In occasione della festa del Trono del Marocco, Papa Francesco ha inviato un breve messaggio di auguri al Re Mohammad VI, che incontrato durante il suo viaggio nel Paese africano. Il Cardinale Parolin ha invece lanciato la necessità di formare una nuova classe dirigente cattolica durante la “summer school” di formazione socio-politica organizzata dal vicariato di Roma.
Non un fallimento diplomatico, ma l’inizio di una nuova era diplomatica, con la creazione della Corte Internazionale di Arbitrato. La Santa Sede, alla fine, non ricevette l’invito a partecipare alla Conferenza per la Pace dell’Aja nel 1899. Ma tutte le trattative che precedettero la conferenza mostrarono piuttosto la vera importanza del Vaticano e l’autorità morale del Papa. Perché, al di là delle questioni politiche, tutti guardavano alla sua autorità morale.
La lettera inviata da Papa Francesco al presidente siriano Assad per tramite del Cardinale Peter Turkson ha causato reazioni miste. Da una parte c’è l’apprezzamento per l’apertura di un canale politico-diplomatico, dall’altra c’è la necessità di meglio definire la magmatica situazione siriana, e in particolare quello che sta succedendo ad Idlib. Il Cardinale Parolin, segretario di Stato vaticano, ha chiarito alcuni aspetti della posizione della Santa Sede.
Si è tenuto dal 16 al 18 luglio a Wasghinton il secondo ministeriale degli Stati Uniti sulla libertà religiosa. Ha partecipato l’arcivescovo Paul Richard Gallagher, “ministro degli Esteri” vaticano, con l’arcivescovo Christophe Pierre, nunzio apostolico negli Stati Uniti.
Nel suo discorso di inizio anno al corpo diplomatico, Papa Francesco ha enfatizzato l’importanza della diplomazia multilaterale. E, nella bozza della riforma della Curia Praedicate Evangelium, la Segreteria di Stato è arricchita con un sottosegretario ad hoc proprio per le relazioni multilaterali, che si affianca all’attuale sottosegretario per le relazioni con gli Stati. Ma quella verso l’approccio multilaterale è davvero un qualcosa di nuovo?
C’era stata persino l’idea di abolire i nunzi e di trasferirne le attività alle Conferenze Episcopali nazionali. Si trattava di un dibattito che nasceva con il Concilio Vaticano II, e con l’idea di valorizzare il ministero episcopale, equilibrando il Concilio Vaticano I che aveva esaltato il primato petrino e creare un nuovo bilanciamento di poteri. Paolo VI, però, non la vedeva così. Non si trattava di un mero incarico amministrativo. E lo spiegò nel motu proprio Sollicitudo Omnium Ecclesiarum, che quest’anno fa cinquanta anni.
In un intervento all’UNESCO, la Santa Sede ha ribadito l’importanza spirituale, prima che culturale, della Cattedrale di Notre Dame a Parigi. La situazione in Medio Oriente è invece oggetto di attenzione sia per un recente pronunciamento di un tribunale israeliano riguardo alcune proprietà sulla porta di Giaffa, sia per l’appello del Consiglio Ecumenico delle Chiese sullo status di Gerusalemme. Intanto, gli Stati Uniti si preparano ad ospitare il secondo ministeriale sulla libertà religiosa nel mondo.
Lo scorso 3 luglio, il Cardinale Joseph Zen, arcivescovo emerito di Hong Kong, era a Roma, C’era rimasto qualche giorno, cercando di parlare con Papa Francesco per spiegare perché, secondo lui, l’accordo con la Cina sulla nomina dei vescovi non può funzionare. Il Cardinale non ha mai nascosto le sue perplessità. La scorsa settimana ha anche pubblicato i suoi dubia sulla lettera sulla registrazione civile del clero in Cina.