La Santa Sede segue con attenzione le tensioni nel Caucaso, e questa settimana due ambasciatori della Regione (di Georgia e Armenia) hanno rilasciato dichiarazioni sulle situazioni nei loro rispettivi Paesi. Il territorio, infatti, è colpita da diversi conflitti regionali, complessi da spiegare e che pure hanno un forte impatto anche sull’Europa. La Santa Sede ha mostrato più volte la sua presenza.
L’1 agosto 1975, ad Helsinki, veniva firmata la Dichiarazione per la Cooperazione per lo Sviluppo che diede poi il via a quella che sarebbe diventata l’Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo in Europa. A rappresentare la Santa Sede ai negoziati c’era monsignor Achille Silvestrini, che sarebbe poi diventato cardinale, e che è morto esattamente un anno fa. E fu lui a presentare la proposta della Santa Sede di includere la libertà religiosa tra i principi della dichiarazione. Una proposta che fu accolta come “una bomba”, e che sarebbe stata destinata a giocare un ruolo fondamentale nella disgregazione del sistema sovietico.
Santa Sofia è tornata moschea, e la prima preghiera si è tenuta il 24 luglio, simbolicamente giorno in cui il Trattato di Losanna sancì la fine dell’Impero Ottomano. Papa Francesco si è detto “molto addolorato” per la scelta del governo turco all’Angelus del 12 luglio. Dopo la decisione, è proseguito il forcing diplomatico da parte di vari Paesi, in particolare la Grecia il cui presidente ha chiamato Papa Francesco.
Dopo l’istituzione della Commissione Vaticana anti-Covid 19, si è rianimato il dialogo tra Santa Sede e Unione Europea con una serie di incontri con alcuni commissari europei.
È stato annunciato il primo viaggio del Cardinale Pietro Parolin all’estero dallo scoppio dell’emergenza coronavirus: sarà in Francia, sulle orme del curato di Ars e delle apparizioni di Lourdes.
È con una intervista al periodico serbo Politika che l’arcivescovo Luciano Suriani, nunzio apostolico in Serbia, ha rilanciato l’idea di un viaggio papale in Serbia. Sarebbe il primo per il Papa nel Paese, e non è mai avvenuto soprattutto per i rapporti con gli ortodossi serbi. Papa Francesco, però, non ha mancato di mostrare apprezzamento verso il patriarca Irenej, e il Cardinale Pietro Parolin è stato in visita nel Paese nel 2018. Chissà…
In quello che è stato il primo grande incontro dopo la crisi da coronavirus, il Cardinale Pietro Parolin, segretario di Stato vaticano, ha potuto incontrare gli ambasciatori di Europa presso la Santa Sede ad un pranzo organizzato dall’ambasciata di Francia in Vaticano. La conversazione ha toccato moltissimi temi, e rappresenta la summa del lavoro diplomatico della Santa Sede in questo ultimo anno.
La nomina del nuovo ambasciatore dell’Unione Europea presso la Santa Sede è arrivata nella stessa settimana in cui la Commissione Europea ha deciso di chiudere l’ufficio dell’Inviato Speciale per la Libertà Religiosa fuori dall’Unione, raccogliendo le proteste di molti.
La Santa Sede e Cuba hanno celebrato lo scorso 7 giugno 85 anni di relazioni diplomatiche ininterrotte. La Santa Sede non ha mai lasciato Cuba, nemmeno quando il regime si accaniva contro i cristiani, e questa presenza ha portato poi a una straordinaria presenza dei Papi en la isla (Giovanni Paolo II, Benedetto XVI, due volte Papa Francesco) e anche alla mediazione per il ripristino delle relazioni diplomatiche tra Stati Uniti e Cuba.
Papa Francesco ha ricevuto, ancora una volta, l’invito a visitare l’Ucraina da parte del presidente Zelensky, durante un colloquio telefonico intercorso tra i due. In questo tempo di pandemia, sono stati molti gli scambi telefonici del Papa, per quella che può essere considerata una vera e propria diplomazia al telefono.
Nei consessi internazionali si parla già del mondo dopo il coronavirus, e in particolare la Santa Sede è intervenuta con il peso del suo segretario di Stato in un incontro sul tema alle Nazioni Unite. La Santa Sede ha anche diffuso quattro interventi all’OSCE, mentre proseguono i problemi sulla libertà di culto dovuta alle restrizioni di coronavirus. Papa Francesco continua la sua “diplomazia al telefono”. Il 29 maggio, ha avuto una conversazione telefonica con il presidente della Macedonia del Nord.
Sono i segni di una ripresa dell’attività diplomatica dopo il coronavirus. In questa settimana: l’arcivescovo Paul Richard Gallagher, ministro degli Esteri vaticano, ha avuto una telefonata con il capo negoziatore palestinese. La Santa Sede è intervenuta all’Organizzazione Mondiale della Sanità a Ginevra. Il Papa ha nominato un nuovo nunzio in Bielorussia.
C’è molta Polonia e molta Chiesa, nel pensiero diplomatico di San Giovanni Paolo II. Molta Polonia, perché la nazione da cui proveniva il Papa non era una nazione che poteva lasciare un giovane indifferente, con la sua storia e quel periodo storico travagliato. E c’è molta Chiesa perché, al di là di tutto, Giovanni Paolo II non fu mai un Papa solamente polacco. Fu il Papa della Chiesa universale. Fu il Papa che non voleva vedere in nessun altro posto la religione calpestata perché lo aveva visto in Polonia e in generale negli Stati sotto la dominazione sovietica.
Ancora non si sa quando Papa Francesco riprenderà a ricevere visite che non siano le consuete visite di tabella degli officiali vaticani. Ci sono alcuni incontri previsti per il prossimo giugno, ma ancora non confermati, né smentiti. Intanto, Papa Francesco continua la sua “diplomazia al telefono”, e dopo aver sentito il Cancelliere di Germania Angela Merkel, il presidente francese Emmanuel Macron, il presidente cipriota Nikos Anasiades e il Primo Ministro armeno Nikol Pashinyan, la scorsa settimana ha ricevuto una telefonata dalla presidente di Georgia Salome Zourabchivili.
Una telefonata con la Cancelliera tedesca Angela Merkel e una con il presidente di Cipro Nicos Anastiades, ma anche una conversazione telefonica con il premier armeno Pashinyan: in attesa di riprendere gli incontri ufficiali, Papa Francesco porta avanti la sua rete diplomatica al telefono, con una particolare enfasi sulla solidarietà internazionale in tempo di coronavirus.
La telefonata del presidente polacco Duda a Papa Francesco arriva durante una settimana in cui si continua a discutere delle misure sul coronavirus. Il tema della libertà di culto è stata sollevata più volte quando si è discusso delle misure governative contro il coronavirus, e la COMECE ha sollevato il punto ancora una volta. Prosegue, invece, la campagna di aiuti di Taiwan.
Mentre ci si avvicina alla “fase 2” della risposta alla pandemia del COVID 19 in molte nazioni, due casi in Italia e Francia rischiano di diventare casi diplomatici. In entrambi i casi, la polizia ha interrotto una Messa. Nel primo caso, la Conferenza Episcopale italiana ha rimproverato il sacerdote, ma nel secondo la Conferenza Episcopale Francese ha sottolineato l’illiceità dell’irruzione della polizia. Sia in Italia che in Francia, c’è un concordato che regola i rapporti con la Chiesa cattolica e che stabilisce la libertà di culto. Si tratta di precedenti da non sottovalutare?
Le misure prese per contrastare la diffusione della pandemia del COVID-19 hanno portato anche ad una limitazione dell’accesso ai luoghi di culto per i fedeli, nonché all’impossibilità di partecipare alle Messe, visto il divieto di assembramenti anche per funzioni religiose. Per ora, l’urgenza della risposta della pandemia ha messo da parte il problema, che si riproporrà. Vale a dire: fino a che punto misure straordinarie dello Stato possono limitare la libertà di culto? In molti casi, la questione può diventare diplomatica, perché andrà richiesto che nelle misure sia inserita, almeno formalmente, la libertà di culto. Per ora, la Santa Sede non ha preso una posizione in merito, lasciando l’iniziativa ai vescovi locali. Il tema sarà di nuovo discusso in futuro.
Per la prima volta, Papa Francesco non pronuncerà il messaggio di Pasqua Urbi et Orbi dalla Loggia delle benedizioni, con affaccio sulla Basilica di San Pietro decorata con fiori olandesi. Resterà un messaggio primato, dai cancelli dell’altare della confessione, come sarà ristrettissima la Messa di Pasqua, come lo sono state le celebrazioni di Pasqua.
Non solo la diplomazia. In tempi di coronavirus, con le attività necessariamente rallentate, le ambasciate continuano a promuovere iniziative. L’ambasciata di Taiwan presso la Santa Sede, per esempio, ha messo in campo una serie di donazioni ad opere caritative per far fronte all’emergenza.