Per tutta la sua vita, finita così presto, aveva cantato il grano che quando matura si trasforma in un mare d’oro ondeggiante, aveva cantato l’odore della buona terra arata di fresco e del pane appena sfornato, dei frutti maturi che pendono dai rami degli alberi, del dolore che feconda l’esistenza.
Tra San Gregorio di Narek e Daniel Varujan si apre il varco di quasi mille anni. Il primo, proclamato dottore della Chiesa, da papa Francesco, è nato infatti nel 950 circa ad Andzevatsik in Armenia, e morto intorno al 1005. Il secondo è nato nel 1884 in Anatolia ed è morto nel 1915, lungo le strade polverose in cui si è consumato lo sterminio del popolo armeno perpetrato dal governo dei Giovani Turchi. Un lungo filo rosso unisce queste due esistenze, accomunate dalla passione per la propria terra, per la potenza della parola che diventa poesia e infine preghiera. E dalla sofferenza. Gregorio è un santo, un mistico, Daniel è più genuinamente un poeta, sorretto dal sogno di una patria che non potrà più essere perduta e dalla fede in Dio che mai abbandona il suo popolo, anche quando sembra che solo la distruzione, la rovina e il sangue sparso siano l'esito finale della sua storia.