Viene inaugurata solennemente oggi in Egitto nel villaggio di Al Our, a circa 250 km a sud del Cairo, la chiesa copta dedicata ai 21 martiri uccisi dai fondamentalisti islamici dell’ISIS nel 2015 in Libia.
“Cari fratelli e sorelle, esprimo la mia vicinanza ai fratelli Copti Ortodossi d’Egitto, colpiti due giorni fa da due attentati a una chiesa e a un negozio nella periferia del Cairo. Il Signore accolga le anime dei defunti, sostenga i feriti, i familiari e l’intera comunità, e converta i cuori dei violenti”.
Una corona di fiori e un cero accesso, lì dove si ricordano i martiri dell’attentato dell’11 dicembre. E la consapevolezza che questo “misterioso e attuale” legame dell’ecumenismo del sangue ha aiutato anche a maturare il cammino ecumenico.
La notizia è di pochi giorni fa, ancora uomini armati che attaccano vicino alle chiese. Stavolta il sedicente stato islamico ha attaccato un checkpoint vicino al Monastero di Santa Caterina nel Sinai.
C’è anche l’invito formale, e quando vuole il Papa può staccare un biglietto per l’Egitto. L’invito lo hanno presentato per iscritto i vescovi della Chiesa Patriarcale di Alessandria dei Copti, arrivati in visita ad limina. Il Papa li ha incontrati la scorsa settimana. Tra loro Emmanuel Bishay, vescovo di Luxor, una delle diocesi più grandi in Egitto. Ha preso il nome di “Emmanuel” (i copti cambiano nome quando hanno dignità episcopale) perché “c’è bisogno dell’aiuto di Dio, e Emmanuel significa Dio con noi”. E ad ACI Stampa racconta i temi della conversazione aperta – di almeno ore – avuta con Papa Francesco lo scorso 6 febbraio.
C’è il martirio del sangue. Ma c’è anche il martirio silenzioso. C’è il martirio di coloro che vengono uccisi per la fede. E c’è il martirio di coloro che vengono messi ai margini perché cristiani. Tutti accomunati da un dato: “Sono tutte vittime di eresie dell’amore”. Prova a spiegarlo ad ACI Stampa don Paolo Asolan, docente di Teologia pastorale fondamentale presso la Pontificia Università Lateranense. Di ritorno da un viaggio in Egitto, don Asolan porta con sé l’esperienza dell’incontro con la famiglia di uno dei 21 egiziani copti decapitati da membri dell’autoproclamato Stato islamico su una spiaggia di Libia lo scorso febbraio.