Ad un anno dal colpo di stato in Myanmar il prossimo 1° febbraio l’uica strada per la pacificazione sembra la preghiera.
Il vostro paese “è segnato dalla violenza, dal conflitto, dalla repressione, ci domandiamo: cosa siamo chiamati a custodire?” La domanda di Papa Francesco apre la sua omelia nella messa celebrata presso l’Altare della Cattedra, nella Basilica Vaticana, per la comunità dei fedeli del Myanmar residenti a Roma.
A fine marzo, secondo il canale televisivo Myawaddy, che appartiene all’esercito ed ha diramato la notizia nelle scorse settimane, 19 oppositori della giunta militare sono stati condannati a morte per l’uccisione di un soldato durante scontri fra la popolazione e le forze di sicurezza. Molte fonti affermano che sono state uccise 710 persone di cui 50 bambini, mentre i prigionieri sono saliti ad oltre 3000.
Il Cardinale Charles Maung Bo, arcivescovo di Yangoon, lo ha detto a chiare lettere: “Quanti non combattono il male, diventano essi stessi il male”. I vescovi cattolici hanno ribadito: “Pace e riconciliazione si raggiungono attraverso il dialogo”. In occasione della Quaresima, la Chiesa in Myanmar fa sentire la sua voce dopo il colpo di Stato militare che ha portato in carcere i membri del governo eletto e dato il potere tutto in mano ai militari, che hanno fatto sapere che ritorneranno alla democrazia con libere elezioni, ma che ora dovevano intervenire per superare le irregolarità dei brogli.
Un appello alla riconciliazione, a guarire le ferite, a chiudere per sempre con i disorsi di incitamento all’odio: il Cardinal Charles Maung Bo, arcivescovo di Yangon, il primo cardinale del Myanmar della storia, scrive una lettera ai suoi concittadini alla vigilia del viaggio di Papa Francesco.