Dopo 31 anni, cambia la guida dell’arcidiocesi di Sarajevo. Il Cardinale Vinko Puljic, l’arcivescovo che non aveva mai abbandonato la città nemmeno sotto le bombe della guerra, va in pensione, chiudendo di fatto un’era. Successione morbida, annunciata da tempo: sarà Tomo Vukšić a prendere il suo posto, come era già predisposto da più di un anno, da quando era stato nominato vescovo coadiutore della diocesi.
Sarajevo è una città ancora con le ferite della guerra, sospesa tra il ponte romano, il luogo dove fu assassinato Francesco Ferdinando dando il via alla Prima Guerra Mondiale, le moschee vecchie e nuove. Ed è la città simbolo di quello che è accaduto in Bosnia Erzegovina dopo la guerra e gli accordi di Dayton di 25 anni fa, accordi che tuttora sono la costituzione di una nazione che divide la presidenza in tre, e che ancora deve lavorare per una vera riconciliazione. Lo sa bene il Cardinale Puljic, che ha denunciato la scorsa settimana: “Questo accordo sta legalizzando la pulizia etnica”.
A 20 chilometri da Zagabria, si erge il santuario di Marija Bistrica, che era già noto nel XVI secolo. Lì c’è una statua della Madonna Nera con il Bambino che ha protetto nei secoli i croati dalle invasioni dei turchi e ha sostenuto lo spirito di fede e di identità nazionale durante il comunismo. Ed è lì che, ogni ottobre da 15 anni, vanno in pellegrinaggio i credenti dell’arcidiocesi di Sarajevo e della diocesi Banja Luka. Il pellegrinaggio è stata l’occasione, per il cardinale Vinko Puljic, di chiedere con forza di rimettere Dio al centro della vita pubblica.
I cristiani vanno via dalla Bosnia, dove vivono una persecuzione silenziosa e dove vedono la situazione incerta. E il Cardinale Vinko Puljic, arcivescovo di Sarajevo, non manca di denunciare la situazione, a margine della Plenaria del Consiglio delle Conferenze Episcopali Europee che si è tenuto a Poznan dal 13 al 16 settembre.