Molte le storie, alcune terribili. “C’era una donna – racconta don Portella - che è stata rapita da Boko Haram tre anni fa allo scopo di farne la loro schiava sessuale. Stuprata da quattro uomini, era rimasta incinta. Ha dato il bambino alla luce, sebbene questo fosse considerato impuro. Ma lei ha trovato un modo di portare avanti il tutto, anche con l’aiuto del vescovo”.
La situazione in Nigeria è molto dura. Boko Haram è basato nella zona Nord Est del Paese, nella zona economicamente più vantaggiosa. “Sono molto attivi – sottolinea don Portella – continuano ad uccidere Si parla di loro perché sono musulmani, ma non si parla dei cristiani che vengono perseguitati”.
Don Portella ricorda che la persecuzione dei cristiani in Nigeria risale già al XIX secolo, sotto il califfato di Sokoto, mentre la Shari’a (la legge islamica) è stata ufficialmente stabilita nella regione nel 1999, e la violenza islamista è cresciuta da quando Muhammadu Buhari è stato eletto presidente nel 2015.
Tra gli episodi di violenza dimenticati, don Portella ricorda “l’uccisione, lo scorso 1 agosto, di Padre Paul Offu nella Nigeria del Sud, per mano del gruppo islamico Fulani che Buhari ancora deve condannare come terroristi”.
Una situazione che ha fatto paventare all’ex presidente nigeriano Olusegun Obasanjo la possibilità di un “genocidio in stile ruandese”.
Don Portella ricorda anche il tempo che ha trascorso con “una donna il cui marito, Yohanna, è stato rapito da Boko Haram e poi ucciso. Anche questa, una storia di cui pochi parlano”.
Per don Portella, il problema sta proprio nella “shari’a”, che va ad indottrinare anche gli “Almajiri” ovvero gli emigranti che sono chiamati ad emigrare per causa di Allah e portare il suo messaggio. Per molti, questo sistema è “una attraente alternativa a mandare i propri figli nelle scuole statali, che costano soldi e buona parte delle scuole religiose in Nigeria forniscono istruzione gratuita. Ma gli Alamjiri devono prendersi cura dei loro bisogni quotidiani, in molti vanno a chiedere l’elemosina quando non studiano, e circa 7 milioni di Almajiri (sono dati del Consiglio per il Welfare di Nigeria) popolano le strade della Nigeria del nord, esposti a violenza, traffico di esseri umani, fame, mentre quelli che sopravvivono prendono lavori di basso livello. È un grande serbatoio per l’estremismo islamico”.
Don Portella non nega che ci siano anche musulmani tra le vittime di Boko Haram e dei Fulani, ma in quel caso il governo ha lavorato per aiutarli e ricostruire le case, mentre “i cristiani sono lasciati fuori al freddo” e viene anche loro “negato di costruire una chiesa, considerando che l’ultimo Certificato di Occupazione per una chiesa a Maiduguri risale al 1979”. Gli studenti cristiani poi non possono avere “curricula religiosi cristiani alle elementari e medie, e sono forzati a studiare l’Islam. Vengono anche loro negati lavori e promozioni in agenzie parastatali del governo”.
Questa discriminazione si unisce alle violenze, che hanno portato ad un vero e proprio eccidio: nel solo 2018, ci sono state almeno 1200 persone uccise e 200 mila sfollate a causa della violenza islamica.
Per questo, il massacro di Natale non è una sorpresa per don Portella. Piuttosto, sarebbe bene che i riflettori si accendessero anche sull’Africa, lì dove la persecuzione anti-cristiana è comunque fortissima. E non viene raccontata.
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