Città del Vaticano , mercoledì, 28. giugno, 2023 16:00 (ACI Stampa).
“Il figlio dell’uomo troverà la fede sulla nostra terra?” È la domanda che fa da sfondo alla Ecclesia in Europa, l’esortazione post-sinodale di San Giovanni Paolo II che concludeva il Sinodo sull’Europa del 1999. Era l’ultimo dei sinodi continentali che volevano preparare al Giubileo del Millennio guardando a speranze ed attese di ciascun continente. Ma era, soprattutto, il secondo Sinodo sul continente europeo in un decennio, dopo il primo nel 1991 che serviva ad analizzare, per la prima volta, la situazione del continente europeo dopo il crollo del Muro di Berlino e l’apertura alla fede di un mondo nuovo, quello degli Stati di là della Cortina di Ferro, dove la fede era stata conservata nonostante l’oppressione, o forse solo per quello.
In un decennio, però, il panorama era cambiato, e sembravano essere esauriti quei segni di speranza che avevano caratterizzato il primo Sinodo sull’Europa. Dall’entusiasmo per la possibilità di esprimere la propria fede al rischio di essere irrilevanti, dal riconoscimento dell’apertura del mondo nuovo alla paura che questo mondo si sia già chiuso alla fede, in un processo quasi inesorabile che si era chiuso in meno di dieci anni.
San Giovanni Paolo II percepisce tutto questo, e non potrebbe essere altrimenti. Lui, che ha voluto già a Santiago di Compostela un “Atto europeistico” nel 1982, sa che l’Europa ha bisogno di respirare con i due polmoni di oriente e occidente. Ma, soprattutto, sa che in questo gioco di organi che fanno il corpo vivo del continente europeo, il cuore è il cristianesimo, e in particolare l’annuncio di una persona, Gesù Cristo. È Gesù Cristo la speranza dell’Europa, e questo è già nelle linee guida del Sinodo sull’Europa. Con l’esortazione post-sinodale, San Giovanni Paolo II non fa che certificarlo, che gridarlo ai quattro venti, cercando di riportare l’Europa a Cristo in uno sforzo di evangelizzazione che, visto venti anni dopo, appare quasi commovente.
Giovanni Paolo II rileggeva la situazione della Chiesa in Europa alla luce dell’Apocalisse. Come tra le sette Chiese dell’Apocalisse ve ne furono alcune povere di fede, anche tra le Chiese di Europa ce ne sono alcune povere di fede. “´Il Figlio dell’uomo – si chiedeva San Giovanni Paolo II - quando verrà, troverà la fede sulla terra?´ (Lc 18, 8). La troverà su queste terre della nostra Europa di antica tradizione cristiana? È un interrogativo aperto che indica con lucidità la profondità e drammaticità di una delle sfide più serie che le nostre Chiese sono chiamate ad affrontare”.
Rileggere l’esortazione è importante per comprendere che la fotografia fatta in quel tempo dai padri sinodali vale ancora oggi. Tra le sfide, quelle della vita, dall’aborto all’eutanasia, ma anche quella sulla pastorale dei divorziati risposati, fino a quella del dialogo ecumenico e interreligioso. E c’è poi il tema, grandissimo, della libertà religiosa. Perché la Chiesa – scriveva Giovanni Paolo II - chiede libertà religiosa, e ribadisce “che la reciprocità nel garantire la libertà religiosa sia osservata anche in Paesi di diversa tradizione religiosa, nei quali i cristiani sono minoranza”. E per questo “si comprende la sorpresa e il sentimento di frustrazione dei cristiani che accolgono, per esempio in Europa, dei credenti di altre religioni dando loro la possibilità di esercitare il loro culto, e che si vedono interdire l’esercizio del culto cristiano nei Paesi in cui questi credenti maggioritari hanno fatto della loro religione l’unica ammessa e promossa”.