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Venezuela, perché i vescovi hanno chiesto di incontrare il Papa?

Papa Francesco e il presidente Maduro | Papa Francesco e il presidente Maduro in un incontro ufficiale in Vaticano, 17 giugno 2013 | L'Osservatore Romano / ACI Group Papa Francesco e il presidente Maduro | Papa Francesco e il presidente Maduro in un incontro ufficiale in Vaticano, 17 giugno 2013 | L'Osservatore Romano / ACI Group

Un incontro con Papa Francesco, per spiegargli la situazione del Paese. Lo hanno chiesto e ottenuto i vescovi del Venezuela. Il Consiglio di Presidenza della Conferenza episcopale del Paese potrà incontrare Papa Francesco il prossimo 8 giugno. Un incontro che arriva in un momento particolarmente delicato del Paese.

L’annuncio dell’incontro arriva a tarda serata del 5 giugno, con una breve dichiarazione della Sala Stampa vaticana in cui si spiega, appunto, che “l’incontro è stato richiesto dalla medesima Conferenza Episcopale che desidera parlare con il Papa della situazione in Venezuela”.

Il consiglio di presidenza della Conferenza Episcopale è composto dall'arcivescovo Diego Padròn, presidente; dai vescovi José Luis Azuaje e Mario Moronta, primo e secondo vicepresidente; da Victor Hugo Basabe, segretario generale; e dai cardinali Jorge Urosa Savino e Baltazar Porras, presidenti onorari. 

Lo scorso 18 maggio, la Conferenza Episcopale Venezuelana ha chiesto di portare a compimento la Costituzione e sottolineato che le libere elezioni sono l'unica soluzione alla crisi. In più, ha messo in luce che la popolazione venezuelana spera che si compiano le condizioni accettate e incompiute: apertura di un canale umanitario, elezioni, liberà dei prigionieri politici e rispetto dall'Assemblea Nazionale.

L'incontro avviene dopo che il presidente Nicolas Maduro ha annunciato che il 30 luglio si terranno le elezioni dell’assemblea che avrà il compito di scrivere la nuova costituzione del Paese. La situazione nel Paese è degenerata dal 29 marzo scorso, quando la Corte suprema legata al regime ha tentato di privare il Parlamento del potere giudiziario. L’annunciata volontà di cambiare la Costituzione ha poi fatto precipitare le cose. Si contano, ad oggi, almeno 60 morti e circa mille feriti, mentre sarebbero più di 2 mila le persone arrestate.

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Una escalation che non ha lasciato indifferente la Chiesa venezuelana, che subito si è schierata contro ogni possibilità di cambiare la costituzione. L’arcivescovo di Cumanà Diego Padròn, numero 1 dei vescovi venezuelani, ha ribadito con forza negli scorsi giorni che “i cittadini non hanno bisogno di una nuova Costituzione”, ma che piuttosto si dia compimento alla Costituzione in vigore, e si distribuiscano – soprattutto – “alimenti, medicine, sicurezza ed elezioni”. Da tempo, il Paese vive infatti in emergenza, stretta in una lotta tra Maduro e l’opposizione che sembra non aver fine.

Lo scorso 1 giugno, Julio Borges, presidente della Assemblea Nazionale, e Stalin Rodriguez, deputato e capogruppo di Unidad democratica, sono stati in visita in Vaticano dal Cardinale Pietro Parolin, segretario di Stato vaticano. I due esponenti dell’opposizione ne hanno parlato per sensibilizzare la Santa Sede sulla situazione del Paese. In particolare, hanno fatto sapere che Papa Francesco “non vuole essere manipolato o usato politicamente”. 

La Santa Sede ha sempre seguito attentamente la situazione del Venezuela. Lo scorso aprile, Maduro aveva potuto incontrare Papa Francesco nel corso di una tappa a Roma non in agenda, dopo che nel 2015 l’incontro fu annullato dallo stesso Maduro – che però era stato in Vaticano nel 2013.

Nel 2016 Papa Francesco aveva nominato l’arcivescovo Claudio Maria Celli come suo inviato speciale al tavolo delle trattative.

Ma l’arcivescovo Celli aveva rinunciato a prendere parte agli incontri tra governo e opposizione già a gennaio di quest’anno, sebbene la Santa Sede non si fosse ritirata dal suo impegno. L’assenza di un inviato speciale, sostituito nel suo compito dal nunzio del Paese, l’arcivescovo Aldo Giordano, aveva comunque un significato simbolico molto forte. Lo stesso Papa Francesco, durante il volo di ritorno dall’Egitto, aveva affrontato il tema della negoziazione, mettendo in luce non senza amarezza che qualunque proposta era stata rifiutata.

Il 30 aprile, Papa Francesco aveva fatto dal Regina Coeli un appello per il Venezuela affinché venisse “evitata ogni forma di violenza”, si rispettassero i diritti umani e si cercassero “soluzioni negoziate alla grave crisi umanitaria, sociale, politica ed economica che sta stremando la popolazione”. Il 5 maggio, in una lettera inviata all’episcopato venezuelano, Papa Francesco aveva invitato a “costruire ponti” per risolvere la crisi.

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Una crisi che – ormai è stato chiaramente detto dalla diplomazia pontificia – si può risolvere solo con le elezioni. Intanto, l’occhio vaticano è costantemente sul Venezuela. L’altro ieri, L’Osservatore Romano ha dedicato un lungo articolo all’emergenza di rifugiati venezuelani in Brasile. Caritas Brasile – si leggeva sul quotidiano del Papa - ha riferito che le richieste di asilo nei primi mesi del 2017, stando ai dati ufficiali forniti dal ministero della giustizia brasiliano, hanno già superato il dato complessivo dei precedenti sei anni. Fino al maggio 2017 sono state registrate 8231 richieste contro le 3375 di tutto il 2016.”

A questo, si aggiunge il dramma delle popolazioni indigene. Sono 2 mila i membri del popolo wrao, la gente delle canoe, che sono giunti in Brasile. Il punto è che i Venezuelani si muovono senza voler tornare indietro, e chiedono di regolarizzare in particolare la loro situazione. Dopo la crisi, l’emorragia dei giovani rischia di mettere definitivamente il Paese in ginocchio.