South Bend, Indiana , mercoledì, 27. gennaio, 2016 9:00 (ACI Stampa).
Lo hanno chiamato Vatileaks 2, e dovrebbe riprendere a febbraio. Ma, mentre si fanno le perizie richieste dagli avvocati, c’è un altro processo, mediatico, che ha luogo ad opera di quanti sono imputati. Si parla spesso di “un processo farsa”, un “processo politico”, un processo “in uno Stato con un codice che risale a prima del re”, un processo “che non avrebbe luogo in nessun altro Stato del mondo”. Ma è davvero così? ACI Stampa lo ha chiesto a Paolo G. Carozza, esperto di diritto internazionale, direttore Helen Kellogg Institute for International Studies dell’Università di Notre Dame.
Il processo che si svolge in Vaticano è un processo farsa? Come è percepito il sistema legale vaticano nella legislazione internazionale?
Non sono un esperto, non conosco nei dettagli il codice penale dello Stato di Città del Vaticano e le sue procedure penali. Ma per quello che ho potuto osservare del processo dall’esterno, non ho visto cose che mi abbiano portato a concludere che la procedura penale in uso per questo processo è in qualche modo deficitaria dal punto di vista della protezione dei diritti di quanti sono sul banco degli imputati. Non posso dire che le procedure penali siano particolarmente arcaiche o non chiare, e ancora meno che si tratti di un processo farsa.
Si sottolinea spesso che si tratta di un processo contro il diritto dell’informazione. Ma questo è inesatto, perché si tratta in realtà di un processo sulla diffusione di documenti riservati. Potrebbe questo processo avere luogo in altri posti del mondo? Ci sono limiti alla libertà di stampa?
Certamente ci sono dei limiti, com in ogni società democratica. La libertà di stampa non è un assoluto. Il problema non è se le limitazioni e restrizioni si possano permettere in linea astratta, ma piuttosto se queste restrizioni e limitazioni siano ragionevoli nel contesto specifico. Per esempio, si può fare un paragone tra le restrizini e le accuse ad esse associate nei confronti dei giornalisti, in questo caso, e il tipo di restrizioni e persecuzioni che si possono trovare in una dittatura. I regimi autoritari, tipicamente, cercano di usare il loro codice penale per mettere a tacere il lavoro dei giornalisti – le restrizioni sull’accesso di documenti e l’uso di leggi penali per rafforzare le restrizioni hanno appunto lo scopo di perseguitare e mettere la stampa in un ruolo di sudditanza. Ma in altre nazioni dove i diritti umani sono ampiamente rispettati e protetti, ci sono comunque inevitabilmente leggi che limitano la dffusione e pubblicazione di alcune informazioni sensibili, e per questo vengono imposte pene sulle persone, anche sui giornalisti, che ottengono o rivelano illegalmente l’informazione. Ogni Stato ha legittime restrizioni per proteggere i documenti confidenziali. Non si può perciò delineare la legittimità dellle accuse per se stesse, astraendole dalla natura e dallo scopo delle restrizioni legali che si accusa siano state violate. La prima domanda, dunque, è: queste restrizioni sono o no ragionevoli? Abbiamo ragioni di concludere che le restrizioni in gioco in questo caso non sono appropriate all’interno della prerogative della sovranità vaticana?