“Non dico più che siamo vicini alla conclusione, perché lo abbiamo detto così tante volte che rischiamo di non essere credibili. Di certo, c’è una atmosfera positiva, e di certo questo Accordo può spianare la strada anche ad altri accordi sui Luoghi Santi dello Stato di Israele con le confessioni cristiane”, sottolinea l’Arcivescovo Pizzaballa.
Lo status quo tocca in particolare Gerusalemme. Ed è lì che si concentrano da sempre tutte le tensioni, ora più forti che mai dopo la decisione del presidente USA Donald Trump di spostarvi l’ambasciata USA in Israele. Anche Papa Francesco ha più volte fatto appelli sul tema.
Certo, ora è importante lavorare sul territorio. Sottolinea l’arcivescovo Pizzaballa: “Le esperienze di questi ultimi anni, (dagli accordi di Camp David quelli di Oslo, tutti falliti) ci danno l’indicazione chiara che la politica non è capace da sola di risolvere la complessità dei problemi. Bisogna creare una formazione di pace e di accoglienza, andando oltre l’idea che la storia dell’altro minaccia la propria storia personale, coem succede adesso nel conflitto in corso”.
Non solo. La politica è importante perché “c’è bisogno di uno sguardo più complessivo sulla Terrasanta, non si può slegare Israele dalla regione, ci vuole uno sforzo complessivo di tutti”.
La soluzione “due popoli, due Stati” “resta la soluzione ideale”, ma dal “punto di vista pratico ci sono molte domande a riguardo. È evidente che comunque la forma di negoziato stabilita a partire dagli accordi di Oslo si è esaurita e si dovranno trovare dei modi per far ripartire in maniera seria un negoziato tra le parti”. E, dal punto di vista internazionale, va segnalata l’assenza dell’Unione Europea, “forte dal punto di vista economico, ma senza una opinione condivisa sul tema, e dunque di fatto assente”.
Continua, intanto, il negoziato tra Chiesa cattolica e Israele, con l’applicazione dell’Accordo Fondamentale che ha l’obiettivo di dare alla Chiesa cattolica “piena cittadinanza nello Stato di Israele”.
“Scherzando, diciamo che lo stesso negoziato è uno status quo”, sottolinea l’amministratore del Patriarcato Latino.
Quindi, il tema della chiusura del Santo Sepolcro, per la prima volta nella storia. L’arcivescovo sottolinea che le questioni sono due, quella del negoziato tra Israele e Santa Sede, che riguarda la Chiesa Cattolica, e poi la situazione delle Chiese a Gerusalemme.
“Tutte le Chiese – racconta - anche la Chiesa cattolica, vivono in una sorta di limbo, ancora con i privilegi dell’Impero Ottomano: c’è bisogno di dare alla Chiesa piena cittadinanza, e questo richiede un accordo tra le parti”.
Per quanto riguarda la crisi del Santo Sepolcro, “non c’è nessuna legge in Israele che definisce cosa la Chiese debbano pagare o no. C’è questo privilegio che non è legge. I municipi hanno bisogno di fare cassa, e la municipalità di Gerusalemme ha applicato una tassa alle Chiese. La protesta non significa che le Chiese non vogliono pagare le tasse. Vogliono che le tasse siano parte di un accordo, non frutto di una iniziativa unilaterale di questo o quel comune, che magari invia una richiesta di pagamento retroattivo. C’è stata iniziativa unilaterale del comune di Gerusalemme davanti la quale eravamo impotenti, in cui abbiamo dovuto prendere una iniziativa forte. Dopo l’evento c’è stata da parte del governo israeliano l’iniziativa di erigere una commissione per discutere e alla fine si è arrivata al negoziato e la commissione si è già messa al lavoro. Mi auguro si possa trovare una via ragionevole”.
"Il cristianesimo non sta morendo in Terrasanta"
Ci si può chiedere perché i cristiani vogliano stare a Gerusalemme. L’arcivescovo Pizzaballa sottolinea che no, per un cristiano non c’è bisogno di stare a Gerusalemme, ma allo stesso tempo “l’identità di Gerusalemme non può essere messa in discussione, perché il cristianesimo è incarnazione e non vi è incarnazione senza luogo: senza Gerusalemme la nostra fede sarebbe solo un racconto”.
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D’altro canto, “non si devono venerare le pietre. Si deve pregare di fronte le pietre, ricordando che il cristiano vive nei conflitti. Non possiamo risolvere i conflitti. Ma il cristiano ha il dovere di testimoniare uno stile in quei conflitti”.
E il conflitto principale è quello di Gerusalemme, considerata capitale indivisibile sia da Israele che dalla Palestina, che chiama la città al Aqsa. “
“Una volta risolto il problema di Gerusalemme – sottolinea l’arcivescovo Pizzaballa - tutti gli altri problemi saranno risolti. La Chiesa non entra nel merito delle discussioni tra israeliani e palestinesi, che comunque non ci sono, su dove dovrebbero essere i confini: le questioni politiche devono essere risolte da autorità politiche. Ma Gerusalemme non è solo sovranità. È il cuore di milioni di credenti, un simbolo religioso imprescindibile”.
Curioso che Gerusalemme non sia mai stata al centro della storia, né abbia mai fatto storia nella vita della Chiesa – nota l’arcivescovo Pizzaballa – nonostante per tutti questi secoli “sia stata il cuore dei credenti”. Ma – aggiunge- questo non è casuale, perché se Gerusalemme avesse fatto scuola, qualcun altro sarebbe stato escluso”.
Ma quale è la situazione in generale del Medio Oriente, e in generali quanti sono i cattolici? L’arcivescovo Pizzaballa la tratteggia in cifre: in Giordania, ci sono 7 milioni di giordani e 3 milioni di profughi, ma i cristiani sono 17 0 mila; in Israele ci sono 7 milioni di ebrei e 1,5 milioni di arabi musulmani, e tra questi solo 140 mila arabi cristiani; in Palestina ci sono poco più di 4 milioni di musulmani, e 45 mila cristiani.
Numeri piccolissimi, che si aggiungono all’esodo dei cristiani avvenuto con gli attacchi e la violenza dello Stato Islamico, tanto che 2 terzi dei cristiani presenti in Iraq se ne è andato.