Parlava di situazioni differenti in Paesi differenti. Quale è la situazione particolare dell’Egitto?
Penso che anche la situazione politica e la situazione sociale influiscono. Ma influisce soprattutto il mondo digitale. Prima, da noi in Egitto non si sentiva niente del mondo. Fuori dal Cairo, non si sapeva niente nemmeno di quello che accadeva al Cairo. Ora basta schiacciare un pulsante per sapere tutto di tutti. Il pericolo ora è che non si trova nel mondo digitale una critica. Riceviamo informazioni e risposte, ma dobbiamo essere in grado di scegliere, e tocca alle persone farlo, fare un discernimento, decidere. E le decisioni dipendono molto anche alle nostre età. Ci vuole una maturazione.
I giovani di Egitto sono religiosi o cominciano ad essere sempre più secolarizzati?
Non c’è una vera tendenza al rigetto della religiosità. Per la prima volta, c’è un gruppo che si dichiara ateo, anche in televisione. Ma io non credo che siano profondamente, veramente atei. Però hanno un atto di rifiuto verso una falsa religiosità, verso chi fa una doppia vita. All’età dei giovani, quando si vuole essere autentici, sinceri, si rifiuta tutta questa formalità. Non si rifiuta l’autorità, ma l’autoritarismo, e quindi si rifiuta tutto ciò che viene imposto.
Dopo il martirio dei copti sulle spiagge libiche, un sacerdote tornato da lì parlava di una famiglia che viveva già con l’idea del martirio. Quanto è forte l’idea del martirio?
Non si nasce con l’idea di diventare martiri, in Egitto. Ma questa cosa è parte della mentalità. Il calendario in Egitto è il calendario dei martiri, è parte della nostra storia. Nessuno, però, cerca di morire. Di certo, se ci si trova davanti alla scelta “O Cristo o altro”, allora la formazione e la spiritualità portano a scegliere Cristo. Mi hanno chiesto una volta cosa avrei fatto in casi del genere. Ho detto che non lo sapevo, ma che in quei momenti lo Spirito agisce.
Quanto è difficile essere cristiani in Egitto?
In tutto il mondo è difficile essere cristiani. Nei Paesi dove non ci sono tanti cristiani, esserlo è una sfida e una spinta a testimoniare la fede. In Europa, in America, dove tutto è permesso, è difficile dirsi fiero di dirsi cristiano, in molti dicono di vivere una religiosità a modo loro. In Egitto non è così. Essere cristiani è una scelta. Scegliere di essere cristiani è un onore.
Dopo la visita di Papa Francesco in Egitto, come si sono sviluppati i rapporti con il mondo musulmano?
La visita di Papa Francesco, e il suo discorso all’università sunnita di al Azhar, sono stati molto ispiratori. Tanti musulmani colti, soprattutto al di fuori di al Azhar, hanno apprezzato il discorso del Papa, che era esistenziale, è entrato nel cuore e poi è pasato per il cuore e per il cervello. Si fa ancora riferimento al discorso del Papa.
In Egitto, è importante anche il dialogo con il mondo copto ortodosso. Incontrando Papa Tawadros, Papa Francesco ha firmato una dichiarazione congiunta in cui si parlava anche del problema dei ribattesimi. È ancora un problema presente?
Sì, c’è il problema dei ribattesimi. Stiamo valorizzando i gruppi che vogliono cambiare, ma il problema resta. I cattolici, a dire il vero, non ribattezzano. Nel passato si faceva, perché non c’erano i certificati di Battesimo. Allora, si ribattezzava a condizione. Dobbiamo riconoscere che anche nella storia ci sono stati tanti episodi di proselitismo.
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Quanti sono i cattolici in Egitto?
Sono circa 250 – 300 mila, tutti copti. Quelli di rito latino sono pochissimo, ora. Nel passato c’erano tanti gruppi europei ed americani, ma ora molto è cambiato. Ci sono fondazioni di congregazioni latine, ma la maggioranza è copta.