E poi c’erano i problemi interni. La Francia considerava le missioni cattoliche in Cina sotto la sua diretta protezione, e questo nonostante la sua recente costituzione separasse in maniera molto rigida Chiesa e Stato, tanto che Pio XI nel 1926 dovette inviare alla Chiesa in Cina la lettera Ab Ipsia, in cui enfatizzò che i missionari non servono gli interessi di una nazione straniera, e annunciò che presto sarebbero stati ordinati vescovi locali.
Ma questo è già un passaggio successivo, che arriva dopo quattro anni di lavoro dell’arcivescovo Costantini in Cina. Il suo compito era anche quello di riaffermare l’indipendenza della Santa Sede e della sua sovranità, sganciare il mondo missionario da quello politico, ma anche cambiare la mentalità.
Una missione che gli veniva anche dalla Maximum Illud, l’enciclica missionaria di Benedetto XV che cambiò per sempre l’idea delle missioni cattoliche chiedendo che queste fossero ancorate alla formazione del clero locale, sottolineando che a missione non riguardava un posto o una religione da conquistare, ma un luogo da cui pronunciare il Vangelo. Di questa enciclica si celebrerà il centenario con un mese missionario giù annunciato dalla Congregazione per l’Evangelizzazione dei Popoli.
Fu questa enciclica a fornire le linee guida della missione del Cardinale Costantini. Che, fedele all’impegno di creare un clero locale, convocò il primo Consiglio Nazionale Cinese, che si tenne nella Cattedrale di Xuijaui a Shanghai dal 14 maggio al 12 giugno 1924, riunendo 44 vescovi ordinari da ogni parte dell Cina e tenendo accuratamente fuori dalla discussione le questioni politiche.
Il Consiglio approvò un documento finale di 861 canoni, in cui veniva affermata l’esigenza di formare una Chiesa locale con clero locale, auspicava in breve la nomina dei primi vescovi nati in Cina, riconobbe che il lavoro dei missionari era solo di passaggio, e chiese anche ai missionari di imparare la lingua cinese e di rispettarne la tradizione.
I primi sei vescovi cinesi furono ordinati da Pio XI nella basilica di San Pietro il 28 ottobre 1926, una decisione che creò reazioni miste in Cina, perché alcune missioni religiose, cui erano affidate direttamente delle diocesi, lo videro come una “perdita di influenza”.
Ma la nomina dei vescovi cinesi era un risultato diretto dell’impegno del Cardinale Costantini, che aprì la strada per una rinnovata organizzazione della Chiesa in Cina. Secondo i postulatori della causa di canonizzazione del Cardinale Costantini, fu proprio grazie al suo impegno che la Chiesa riuscì a diventare “sotterranea” dopo la rivoluzione comunista, ed è resistita fino ad oggi.
Ed è questa la straordinaria eredità di un sacerdote nato nel 1876 e ordinato nel 1899, che è stato semplicemente un parroco per 14 anni prima di essere mandato a Fiume come delegato apostolico quando la città passò alla Yugoslavia dopo la Prima Guerra Mondiale, e da lì fu inviato in Cina nel 1922.
Il Cardinale Costantini tornò in Italia nel 1933, fu nominato segretario della Congregazione di Propaganda Fide, supportò la trduzione del Messale in Cinese. E il suo lavoro ebbe ulteriori frutti nel 1941 e 1942, quando due decreti dell’allora Sant’Uffizio approvarono l’uso del linguaggio locale per celebrare i sacramenti in Nuova Guinea, Giappone, Indocina, India ed Africa, nel 1946 la Santa Sede stabilì la gerarchia ordinaria ecclesiale in Cina, e nel 1949 il Santo uffizio approvò l’uso del cinese per la celebrazione della Messa.
C’è tutto questo dietro l’udienza che Papa Francesco ha concesso ad una delle Congregazioni religiose che il Cardinale Costantini fondò in Cina. E c'è tutta questa storia dietro una causa di beatificazione che mette in luce lo straordinario lavoro di un missionario e artista che fece dell'annuncio del Vangelo la sua ragione di vita.
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