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Shoah, il caso degli ebrei ungheresi alla luce degli archivi vaticani

Lo scorso 19 novembre, una giornata di studi promossa dall’Ambasciata di Ungheria presso la Santa Sede ha riposto al centro dell’attenzione il caso del salvataggio degli Ebrei ungheresi

Shoah Ungheria | I partecipanti al convegno del 19 novembre 2024 alla Accademia di Ungheria a Roma | Magyar Kurir Shoah Ungheria | I partecipanti al convegno del 19 novembre 2024 alla Accademia di Ungheria a Roma | Magyar Kurir

C’è un task force di studiosi che, dall’apertura degli archivi riguardanti il pontificato di Pio XII, sta lavorando per comprendere a fondo il lavoro della Santa Sede nel salvataggio degli Ebrei Ungheresi. E questa task force ha già una prima pubblicazione, Le Finestre del Tempo, nonché una serie di temi che sono stati sviluppati in una giornta di studio presso l’Accademia Ungherese organizzata dalla Ambasciata di Ungheria presso la Santa Sede lo scorso 19 novembre.

Il tema è importante e serio. In Ungheria, la persecuzione degli ebrei fu portata avanti direttamente da Eichmann dopo l’invasione del Paese da parte della Germania. Ed Eichmann, temendo una fuga degli ebrei come era successo in Danimarca e di situazioni come la rivolta del ghetto di Varsavia, prese le sue contromisure, dividendo il Paese in cinque zone, dedicandosi alla deportazione degli ebrei della capitale solo alla fine, convincendo le autorità locali. Se oggi l’Ungheria è uno dei Paesi con la massima concentrazione ebraica di Europa, come testimonia la grande sinagoga di Budapest, resta sempre la macchia della storia, del collaborazionismo delle autorità in tempo di guerra. Questi studi servono, insomma, a guarire le ferite della storia.

Ed è interessante che questi studi siano svolti al massimo livello. L’Ungheria ha stabilito nell’Ambasciata di Ungheria presso la Santa Sede un delegato per la cooperazione archivistica, Krisztina Tóth, un caso più unico che raro e che porta le relazioni diplomatiche su un livello superiore. Gli archivi come fonte di diplomazia e come mezzo per una guarigione dalle ferite della storia.

In questo, gli archivi vaticani sono fonte eccezionale. La giornata di studio del 19 novembre scorso aveva come tema “A 80 anni dall’Olocausto. La diplomazia della Santa Sede in favore degli ebrei: il caso degli ungheresi”, e guardava proprio all’impegno diplomatico della Santa Sede nel salvataggio degli ebrei, dipanato nella serie “Ebrei” dell’archivio della seconda sezione di Segreteria di Stato dedicato al pontificato di Pio XII.

L'evento è stato aperto dal cardinale Péter Erdő, primate, arcivescovo di Esztergom-Budapest, dal rabbino capo della Congregazione israelita ungherese ungherese (EMIH) Slomó Köves e dall'ambasciatore presso la Santa Sede Eduárd Habsburg-Lorena, dal rabbino Jonatán Megyeri, e da Krisztina Lantos, direttore del Collegium Hungaricum.

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Nella sua introduzione, il Cardinale ha affermato che “l'onestà scientifica e l'autocritica professionale devono tutelarci dalle unilateralità e dalle ingiustizie dell'approccio ideologico, e da ogni altra schematica semplificazione. Soprattutto dall’idea inaccettabile della responsabilità morale collettiva, che fu una delle idee che causò la persecuzione degli ebrei”.

E ha aggiunto: “Molte tensioni sociali, molti antecedenti ideologici hanno avuto un ruolo nella creazione della costellazione dell'orrore. Sarebbe un errore metodologico incolpare il cristianesimo in quanto tale per quanto accaduto in un'epoca in cui la funzione di controllo dell'insegnamento del cristianesimo sull'amore umano e sulla fede in Dio difficilmente poteva prevalere in una società neopagana. D'altronde anche gli ambienti cristiani e le tradizioni popolari cristiane portarono avanti idee che certamente contribuirono agli avvenimenti che oggi tristemente ricordiamo. L’obiettivo non è quindi quello di ricercare la responsabilità morale del gruppo, soprattutto allo scopo di sostenere ideologicamente situazioni non sociali. La vera scienza cerca le cause piuttosto che la responsabilità collettiva. Naturalmente c'è sempre il motivo della responsabilità umana tra i colpevoli e gli inattivi per paura. Questo però è personale, non può essere trasferito o esteso a nessuna comunità”.
Nelle sue parole introduttive della giornata di studio, Kristzina Tóth ha ricordato che “gli storici lavorano per dare un volto e un nome” a quanti furono deportati nella Shoah e a quanti sono stati costretti a lasciare le abitazioni, e allo stesso tempo ricordano “come la Chiesa cattolica ha cercato di soccorrerli e cosa ha fatto in concreto per loro”.

La conferenza prendeva spunto dalla persecuzione degli Ebrei ungheresi e dall’azione della Santa Sede per salvarli, oggetto del lavoro del gruppo di ricerca coordinato proprio da Tóth. Ma guardava anche più in là, all’opera di soccorso della Chiesa agli Ebrei sia nell’Europa Centrale e Orientale, che in quella Occidentale e nel resto del mondo.

“Il gruppo di ricerca – ha raccontato Tóth - è stato costituito con la partecipazione dell’Archivio Nazionale Ungherese, del Centro Memoriale  dell'Olocausto, di HUN-REN Centro di ricerca delle scienze umane, Istituto delle Scienze Storiche, e di HUN-REN Centro di Ricerca delle Scienze Sociali, Istituto per gli studi sulle minoranze, ciascuno con un ricercatore”.

Ognuno di questi istituti ha uno straordinario archivio, così come lo ha la Santa Sede, e per ora sono stati esplorati a fondo l’Archivio Storico della Segreteria di Stato, l’Archivio Apostolico Vaticano e l’Archivio Centrale della Compagnia di Gesù, ma l’obiettivo è di scandagliare anche altri archivi religiosi che si trovano a Roma, dove si trovano ulteriori testimonianze del lavoro della Chiesa per aiutare gli Ebrei durante la Shoah.

Quindi, Tóth ha spiegato che “l'Archivio Storico della Segreteria di Stato conserva il fondo Ebrei, alla cui esplorazione degli aspetti ungheresi hanno partecipato tutti i ricercatori delegati delle istituzioni sopra citate, me compresa. Si tratta di un gruppo di fonti che elenca, in ordine alfabetico, i nomi di coloro che chiesero aiuto alla Santa Sede. La loro nazionalità emerge solo dopo un attento studio dei documenti. Il gruppo di ricerca ha raccolto tutto il materiale ungherese - alla base anche delle mie osservazioni - e lo presenterà presto al pubblico interessato sotto forma di raccolta di fonti con note a margine e regesti. Nei 170 fascicoli del fondo Ebrei, ci sono 186 riferimenti ungheresi, il che potrebbe significare che la persona che chiese aiuto era ungherese o che la richiesta era in qualche modo legata all'Ungheria”.

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I casi però sono più numerosi: un nome solo può riguardare l’intera famiglia, un singolo caso può coprire fino a 20-30 fogli. Interessante notare che la maggior parte di coloro che hanno cercato aiuto dalla Santa Sede sono cattolici convertiti o battezzati subito dopo la nascita. Solo in 33 casi, il 17 per cento, persone di religione ebrea si sono rivolte alla Santa Sede per chiedere aiuto.

“Il materiale di Ebrei – ha continuato Tóth - si concentra sugli anni 1938-1941, quando in diversi Paesi vennero approvate leggi antiebraiche e le persone interessate cercarono di sfuggire dalle leggi razziali facendosi dichiarare cristiane ariane o emigrando. Molti chiedevano visti per i Paesi del Sud America, soprattutto per il Brasile, per il quale speravano nell'aiuto della Sede Apostolica, non invano. Il Brasile, infatti, attraverso l'ambasciata della Santa Sede, offrì annualmente 3.000 visti a coloro che erano stati battezzati da almeno tre anni; questa possibilità fu però sospesa nel dicembre 1941”.

C’è poi il grande gruppo dei deportati e internati per i quali si è chiesta intercessione. “Ad esempio – ha ricordato Tóth - nel maggio 1943, il delegato apostolico belga-congolese chiese notizie di Deak Italo Francesco Clemente, deportato da Vágújhely in Polonia. L'11 giugno 1943, l’incaricato d'affari della Santa Sede in Slovacchia rispose che non c'erano notizie dei 50.000 ebrei deportati dalla Slovacchia”.

Si conosce, in sintesi, l’esito di un numero limitato di casi. Tuttavia – ha sottolineato la delegata per la cooperazione archivistica – si può constatare che “la Santa Sede ha affrontato seriamente le richieste ricevute e ha cercato di aiutare sia i richiedenti cattolici che i richiedenti ebrei”, mentre “i perseguitati si nascondevano spesso nei monasteri”, e nelle operazioni di salvataggio venivano coinvolti “sia i nunzi sia i dignitari ecclesiastici, sia le missioni diplomatiche e religiose”.

Di cosa hanno parlato le relazioni al convegn?

László Karsai (Università di Szeged, HUN-REN Centro di ricerca sulle scienze sociali, Istituto per gli studi sulle minoranze) ha parlato dei risultati delle sue ricerche di due mesi tra l’Archivio Storico della Segreteria di Stato e l’Archivio dei Gesuiti. Nel prossimo futuro, pubblicherà almeno i documenti – che sono circa venticinque – che non sono pubblicati dagli editori degli Actes et Documents du Saint Siege, e non sono stati inclusi da  Ádám Somorjai nella sua selezione di rapporti politici di Monsignor Angelo Rotta, nunzio a Budapest.

Karsai ha spiegato che la non pubblicazione è dovuta a vari fattori: dal fatto che si mette in luce come c’erano informazioni riguardo le deportazioni di massa di ebrei europei già nel 1941-42, al fatto che si mostrano i vari argomenti utilizzati dai consiglieri di Pio XII per dissuadere il Papa dal parlare pubblicamente per gli Ebrei perseguitati, e infine perché si nota che Rotta aveva potuto combattere con poco successo i nazisti e i loro collaboratori ungheresi e croati.

Laura Csonka (Archivio Nazionale Ungherese) ha relazionato dei documenti riguardanti il salvataggio diplomatico degli Ebrei ungheresi che si trovano nella collezione degli Archivi Nazionali Ungheresi. Ha sottolineato che i diplomatici di nazioni neutrali in Ungheria e la pressione diplomatica internazionale portarono alla decisione del reggente di Ungheria Miklós Horthy di sospendere le deportazioni nel luglio 1944, cui fece seguito una campagna orchestrata da nazioni neutrali (tra le quali la Santa Sede) e il Comitato Internazionale della Croce Rossa che si rivelò essere “l’operazione di salvataggio più grande e organizzata nella storia della Seconda Guerra Mondiale”.

Matteo Luigi Napolitano (Università degli Studi del Molise) ha parlato de “La diplomazia della salvezza e il ruolo della Nunziatura Apostolica a Budapest”, concentrandosi sulla “piccola storia di Giusti” – dichiarati come tali dallo Yad Vashem, ma anche impliciti, ovvero considerati tali da coloro che li misero in salvo – che ebbe luogo in Ungheria, tra i quali anche diplomatici, e tra i quali due diplomatici della Santa Sede, il già menzionato Angelo Rotta e monsignor Gennaro Verolino, che fu uditore nella nunziatura a Budapest dal 1942 al 1945.

Attila Jakab (Centro Memoriale dell’Olocausto in Ungheria) si è soffermato sulla figura di un altro ecclesiastico Andrea Cassulo, nunzio apostolico a Bucarest, che fu uno degli architetti della diplomazia dietro le quinte della Santa Sede in periodo di guerra. Jakab ha affermato che “i documenti mostrano che la rete diplomatica della Santa Sede, attraverso le nunziature, ha gestito e conservato un gran numero di informazioni”, e che Cassulo “fece tutto ciò che era in suo potere per aiutare gli Ebrei perseguitati”, protestando con le autorità romene e prendendo iniziative, mantenendo tra l’altro una eccellente relazione con il rabbino capo di Romania Alexander Safran e anche gli altri leader ebrei, e “grazie soprattutto a lui, gli ebrei che erano rimasti in Romania non vennero deportati in Transnistria nel 1943”.

Jakab sottolinea che l’attività di Cassulo fu di successo grazie agli ottimi rapporti con gli officiali governativi in Romania, e questa è la differenza con Rotta che “non aveva queste relazioni”.

Peter Slepčan (Università Comenio di Bratislava) ha relazionato sulla persecuzione e deportazione degli ebrei della Slovacchia fra la pressione del Terzo Reich e la resistenza dell’episcopato (1939–1945). Questi ha sottolineato che il “Sillabo contro il razzismo” inviato dalla Santa Sede alle università cattoliche nel 1938 fu “di una grande utilità per le successive proteste dei vescovi”. “In particolare – ha sottolineato - segnaliamo otto proteste dei vescovi negli anni 1941–1944. Di essi, quattro erano rivolte all’attività di governo (7 ottobre 1941, 12 marzo e 13 agosto 1942 e 16 febbraio 1943); uno era un pubblico proclama ai cattolici (26 aprile 1942); uno era una lettera pastorale (8 marzo 1943) e due erano lettere al Presidente della Repubblica (15 aprile e 13 ottobre 1943)”.

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Slepčan ha notato poi che, a partire dal 1944, “la Chiesa, consapevole della inutilità della opposizione alle deportazioni, si concentrò nell’opera di assistenza e di salvataggio”, e ha sottolineato che “in Slovacchia il magistero del papa venne inteso, e interpretato, nel seguente modo: ‘Il Santo Padre ne parla in una forma mediata. Noi dobbiamo parlare senza mezzi termini’ (Mons. Buzalka)”.

Yagil Limore (Università Sorbonne) ha parlato di “Pio XII, I vescovi e il salvataggio degli Ebrei 1940 – 1944”, soffermandosi in particolare sull’esperienza francese, che è una delle nazioni occupata dai nazisti dove la comunità giudea ha sopravvissuto meglio all’Olocausto, e questo perché “ i vescovi cattolici francesi, le congregazioni, e sacerdoti e suore contribuirono a questa situazione in grande misura”, tanto che si conta che più di 60 vescovi hanno salvato ebrei e molti di loro hanno conosciuto Eugenio Pacelli, il futuro Pio XII, dal 1926.

Inoltre, “durante la Seconda Guerra Mondiale, il Vaticano ha inviato grandi somme di denaro per salvare ebrei ed altri fuggitivi internati in Francia, incluse donne e bambini”, mentre “le encicliche e le dichiarazioni di Pio XI e Pio XII erano state ampiamente distribuite in Francia, e incoraggiarono i cattolici ad aiutare gli ebrei egli altri fuggitivi”, con il supporto di Pio XII, che era “molto vicino ai cattolici di Francia.

Sergio Favretto (Fondazione Giovanni Goria) ha affrontato il tema “Cattolici ed ebrei, Resistenza lungo il confine svizzero nell’Italia del nord”,  mettendo in luce come i riscontri documentali “affermano il ruolo propulsore della Santa Sede e di Pio XII nel contrasto alla violenza nazifascista contro gli ebrei”, e che “perde sempre più terreno e credibilità la ricostruzione artefatta di una Chiesa cattolica attendista e colpevole di omissioni, di mancati interventi a difesa del popolo ebreo sparso in Europa”.

Insomma, “Pio XII, i cardinali e nunzi apostolici, i vescovi e il mondo cattolico nelle varie sfumature organizzate sul territorio, crearono una rete coraggiosa e efficace di soccorso agli ebrei”, operando “una vera e propria resistenza cattolica all’antisemitismo nazifascista”.

Oltre alle fonti classiche, Favretto sottolinea che documenti che confermano l’impegno dela Santa Sede si trovano anche negli archivi personali del cardinal Boetto a Genova, del cardinal Fossati a Torino, del cardinal Schuster a Milano, e anche nella documentazione e memorialistica di molti esponenti dell’Azione Cattolica, della Resistenza e del CLN, del volontariato cattolico, dei parroci di periferia; agli archivi di Ordini Religiosi, come i Cappuccini di padre Benoit o gli Orionini e Salesiani; agli archivi dell’OSS e del SOE; negli archivi storici della Federazione Elvetica, di alcuni organi di stampa antifascisti e liberali; negli archivi degli Istituti Storici della Resistenza italiani e delle Comunità ebraiche italiane, nella  corrispondenza fra Santa Sede e il nunzio apostolico Bernardini a Berna.

Per quanto riguarda la Svizzera, “l’emergenza costituita dalla persecuzione e discriminazione razziale contro gli ebrei fu affrontata dalla Chiesa e dal mondo cattolico non solo come attestato di solidarietà umana, ma come quota parte della battaglia per il riscatto più ampio della libertà per tutti”, e così “a sostegno degli ebrei perseguitati e nascosti e poi trasferiti in Svizzera, furono subito la DELASEM e la Chiesa Cattolica unite ad intervenire, poi le formazioni politiche e partigiane, poi le missioni alleate”, tanto che si ebbero “molti episodi di coraggio, di sostegno e soccorso agli ebrei perseguitati” nelle aree a ridosso del confine italo-francese o italo-svizzero.

Una parola sull’Archivio Storico della Segreteria di Stato è stata infine data dal suo direttore, Johan Ickx. Questi ha sottolineato che lì si conservano “moltissimi documenti che testimoniano l’aiuto con il quale la Santa Sede tentò, e talvolta riuscì, a salvare degli ebrei, dietro istruzioni di Pio XII”, e che la rete di aiuto era a tre livelli: quello locale di Roma e Lazio, quello nazionale italiana, quello internazionale nel quale rientra anche quella Ungherese.