Tre i risultati dell’accordo, secondo il Cardinale Parolin: che “tutti i vescovi della Chiesa cattolica in Cina sono in piena comunione con il Successore di Pietro e non ci sono più state ordinazioni episcopali illegittime”; che ci sono state “le prime 6 ordinazioni episcopali avvenute nello spirito dell’Accordo e in conformità alla procedura stabilita che lascia al Papa l’ultima e decisiva parola”, e che “in questo tempo anche i primi 6 vescovi ‘clandestini’ hanno ottenuto di essere registrati e dunque di ufficializzare la loro posizione, venendo riconosciuti come vescovi dalle istituzioni pubbliche”.
Il Cardinale Luis Antonio Tagle, pro-prefetto del Dicastero per l’Evangelizzazione, sottotlinea che “dal settembre 2018 sono stati ordinati 6 vescovi nominati secondo le procedure previste dall’Accordo. I canali e gli spazi di dialogo rimangono aperti, e questo è già di per sé rilevante, nella situazione data”.
Sottolinea il Cardinale: “Fin da quando questo processo è iniziato, nessuno ha mai manifestato ingenui trionfalismi. La Santa Sede non ha mai parlato dell’accordo come della soluzione di tutti i problemi. Si è sempre percepito e affermato che il cammino è lungo, può essere faticoso, e che l’accordo stesso poteva suscitare incomprensioni e disorientamenti. La Santa Sede non ignora e non minimizza nemmeno la difformità di reazioni tra i cattolici cinesi davanti all’accordo, dove la gioia di tanti si intreccia con le perplessità di altri. Fa parte del processo. Ma occorre sempre “sporcarsi le mani” con la realtà delle cose così come sono. Tanti segnali attestano che tanti cattolici cinesi hanno colto l’ispirazione seguita dalla Santa Sede nel processo in atto. Sono grati e confortati per un processo che conferma davanti a tutti la loro piena comunione con il Papa e la Chiesa universale”.
La strada verso l’accordo
Tra volontà di modifiche per meglio definire il ruolo del Papa e la sua autonomia nello scegliere i vescovi, tensioni date dalle persecuzioni e dai problemi di libertà religiosa in alcune zone, mentre il presidente Xi Jinping ha lanciato un processo di sinizzazione ancora più marcato che riguarda anche Hong Kong, e soprattutto in attesa del processo al Cardinale Joseph Zen, che di Hong Kong fu arcivescovo emerito, la Santa Sede continua la strada del dialogo con Pechino.
L’accordo è pastorale, ha più volte detto il Cardinale Parolin, mentre da parte vaticana si è sempre sottolineato che l’accordo ha fatto rientrare dalla scomunica anche i vescovi illegittimi e ora tuto l’episcopato in Cina è in comunione con Roma.
Parolin però ha anche auspicato una elevazione delle relazioni bilaterali, magari spostando la missione di studio sulla Cina, legata alla nunziatura delle Filippine, dalla sede di Hong Kong ad una sede a Pechino. Ma ci sono altre ipotesi: lo stabilimento di un comitato bilaterale per incontri regolari, da tenersi alternativamente a Roma e Pechino; o persino un rappresentante non residente della Santa Sede, senza però interrompere i rapporti con Taiwan, che ha appena festeggiato gli 80 anni di relazioni diplomatiche con la Santa Sede alla presenza dell’arcivescovo Paul Richard Gallagher e di diversi diplomatici e officiali vaticani.
Se non c’è stata modifica, la Santa Sede ha comunque voluto un gesto di buona volontà dalla Cina. E così l’ultimo round di negoziati, dopo la lunga pausa dovuta alla pandemia, si è tenuto nella città di Tianjing dal 28 agosto al 2 settembre.
Il luogo era simbolicamente importante, considerando che è una delle diocesi vacanti in Cina, dal 2005 senza un vescovo riconosciuto. La delegazione vaticana ha anche visitato il vescovo sotterraneo Melchiorre Shi Hongzhen, che ha 92 anni. In un mondo in cui tutto va letto in simboli, si trattava di un segnale forte da parte della Santa Sede, a dimostrare che nonostante la volontà di portare avanti un dialogo, la situazione dei cattolici in Cina non era stata dimenticata.
Secondo la blogger cattolica di Hong Kong Lucia Cheung padre Yang Wangwan, un sacerdote locale, era stato designato dalla Santa Sede come successore dell’arcivescovo Shi già nel 2018. Eppure, il suo nome non figura tra i delegati della diocesi di Tianjin alla decima Assemblea nazionale dei rappresentanti cattolici cinesi, tenutasi ad agosto a Wuhan.
Segnali di distensione?
All’ultimo congresso del Partito Comunista, che si conclude oggi, il presidente Xi Jinping ha rafforzato il processo di sinizzazione e ha aumentato le pressioni sui cattolici locali perché si iscrivano all’Associazione Patriottica.
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L’Associazione, fondata nel 1957, è l’organismo governativo cui i sacerdoti devono essere iscritti, per mostrare buona volontà e appunto patriottismo.
Al termine della X Assembla Nazionale dei rappresentanti cattolici cinesi, che si è tenuta nella ormai nota città di Wuhan, dunque, monsignor Giuseppe Li Shan, arcivescovo di Pechino, è stato eletto presidente dell’Associazione Patriottica, mentre monsignor Shen Bin, vescovo di Haimen, guiderà il Consiglio dei vescovi cinesi, l’organismo collegiale non riconosciuto dalla Santa Sede.
La nomina di Li Shan sembra un segno di distensione, perché questi fu consacrato vescovo nel 2007, con il consenso della Santa Sede, secondo una procedura in vigore prima dell’accordo sino-vaticano del 2018 che segnò, di fatto, una distensione di rapporti delineata dalla lettera di Benedetto XVI ai cattolici di Cina.
Una relazione rivelatrice
Insieme a Li Shan, comunque, è stato nominato il vescovo Shen Bin di Haimen alla guida del Consiglio dei vescovi, che è l’organismo non riconosciuto dalla Santa Sede che affianca l’associazione patriottica. Nel discorso, Shen presenta le nomine dei vescovi avvenute negli ultimi sei anni come un processo del tutto autonomo, guidato dall’Associazione patriottica.
Al momento è trascorso oltre un anno dalla più recente nomina di un vescovo in Cina – monsignor Cui Qingqi, ordinato a Wuhan-Hankou l’8 settembre del 2021 – e per capire se qualcosa sia cambiato occorrerebbe aspettare nuove nomine. In tutto, sono stati sei i vescovi nominati con le nuove procedure, ma due di loro erano già in lista da prima dell’accordo.