Per questo – ha aggiunto – “siete chiamati a praticare una diplomazia che sia pastorale e spirituale allo stesso tempo”.
“Per molti – afferma l’arcivescovo Gallagher - la spiritualità e la diplomazia non si mescolano, e possono anche suonare contraddittori. Alcune persone pensano alla diplomazia come l’arte di mentire cinicamente per l’interesse della propria nazione, o di partecipare a una serie di eleganti ricevimenti a caviale e champagne”.
Ma – controbatte – “specialmente per noi la diplomazia è l’arte del dialogo, dell’incontro, del trovare soluzioni insieme a problemi comuni. È questo il tipo di diplomazia che il Papa vuole”.
Una diplomazia che si sviluppa attorno a quella “cultura dell’incontro” enfatizzata dal Papa, un valore che deve essere “il percorso che mette insieme tutti gli aspetti del vostro lavoro e ispiri la vostra missione a scrutinare i segni dei tempi e analizzare le circostanze in cui oggi si trova l’umanità”.
Ma quali sono queste circostanze? La settimana delle Nazioni Unite è scivolata via tra dibattiti su situazioni regionali come quella Centrafricana e la firma e ratifica del Trattato per la Proibizioni delle Armi Nucleari, un trattato che è stato votato anche dalla Santa Sede, per la prima volta considerata alla pari di uno “Stato membro” in una negoziazione.
Durante la settimana, la Santa Sede ha lavorato ad un evento sulla protezione delle minoranze religiose, che si è tenuto lo scorso 22 settembre.
“Il bisogno di focalizzarsi nella salvaguardia delle minoranze religiose in situazioni di guerra e conflitti – ha detto l’arcivescovo Gallagher per l’occasione - viene fuori dal fatto che, come tutti abbiamo visto per numerosi anni in molte parti del mondo bagnate dal sangue, le guerre e i conflitti rappresentano le basi affinché le minoranze religiose siano bersaglio di persecuzione”.
Per questo, la Santa Sede ha chiesto che comunità locali e internazionali assistano non solo in fornire beni materiali, ma anche a trovare soluzioni alle cause alla base dei conflitti, attraverso educazione, dialogo interreligioso, sradicando l’uso delle credenze religiose per giustificare il terrorismo”.
Non si tratta solo di ricostruire le case, che è il passaggio cruciale – ha detto l’arcivescovo Gallagher – ma è anche necessario ricostruire la società nel porre le fondamenta per una coesistenza pacifica”.
L’arcivescovo ha anche notato come sia importante che i governi si prendano la responsabilità di fermare il flusso di denaro ed armi usato per attaccare le comunità religiose, perché “fermare le atrocità non coinvolge solo colpire l’odio e i cancri del cuore che diffondono violenza, ma anche rimuovere gli strumenti attraverso i quali l’odio porta effettivamente avanti quella violenza”.
Il 21 settembre, l’arcivescovo Gallagher ha invece partecipato a un incontro di alto livello sulla crisi siriana. Da sempre, la Santa Sede ha mostrato grande attenzione per la crisi in Siria, e la prima iniziativa diplomatica di Papa Francesco è stata proprio dedicata alla Siria, con la giornata di digiuno e preghiera per la pace in Medio Oriente, e il Papa ha anche creato cardinale il nunzio in Siria Zenari, per testimoniare la sua attenzione. Molte le iniziative sul campo, come “Ospedali aperti”, indirizzata a quanti sono bisognosi di cure.
Nel suo intervento alle Nazioni Unite, l’arcivescovo Gallagher ha reiterato la necessità di una soluzione politica, perché “una soluzione credibile, concordata da tutta la comunità internazionale, è essenziale per una pace duratura”. Ha anche dato i numeri dell’impegno della Santa Sede: 200 milioni di dollari di assistenza umanitaria, fornite a più di 4,6 milioni di Siria, erogati senza differenza di credo o etnia. L’arcivescovo Gallagher ha quindi chiesto che crescano gli aiuti per i rifugiati in Giordania, Libano, Iraq, Turchia ed Egitto.
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