Città del Vaticano , sabato, 25. giugno, 2022 14:00 (ACI Stampa).
San Josemaría Escrivá de Balaguer, il fondatore dell’Opus Dei, parla ancora oggi. Le sue parole, a distanza di anni dalla morte avvenuta il 26 giugno 1975 a Roma, hanno quella forza profetica che solo i santi hanno. Sono trascorsi, infatti, ventisette anni da quel giorno e venti da quando San Giovanni Paolo II lo proclama santo. Era il 6 ottobre 2002. La sua vita, immersa completamente in Dio, senza dimenticare mai il rapporto con la società civile, si potrebbe definire un “caleidoscopio di santità”. Figura ricca e complessa, dalle linee diverse e poliedriche; difficile, sinceramente, da descrivere appieno per via della sua luminosità composta da diversi colori e tinte. AciStampa ha chiesto a Don Francesco Russo, Professore Ordinario di Antropologia della cultura e della società alla Pontificia Università Santa Croce, e Direttore dell'Ufficio per le cause dei santi dell'Opus Dei, di poter delineare un profilo, un ritratto, di questo grande santo.
Don Francesco Russo, se dovesse sintetizzare, in una sola parola, la santità di Escrivá quale le verrebbe in mente?
Per rispondere a questa sua domanda, non posso che prendere in prestito le parole che il Cardinal Julián Herranz Casado, con il quale ho avuto il privilegio di collaborare per vari anni, ha deposto durante il processo di canonizzazione di Escrivá. A fine del processo, il giudice delegato, dopo la deposizione del cardinale, gli chiese - in fondo - ciò che mi sta chiedendo lei ora, e il cardinal Herranz - gliel’ho sentito raccontare più volte - rispose: “Mi basterebbe una sola parola; una che incarna la vita di Escrivá ed è questa: innamorato”. E’ proprio vero! La sua vita ci spiega bene questo termine: innamorato. Escrivá era condotto da un amore per Dio e per gli altri davvero indescrivibile. E questo si percepisce fin dalla sua adolescenza, quando come egli stesso scrive, avvertiva quelli che chiamava “presagi d’amore” nel suo cuore. Un cuore che nel corso della sua missione, si è dilatato; un amore che è cresciuto nel corso degli anni. Basterebbe vedere come parlava con grande passione, negli ultimi anni di vita, di questo amore. Ci sono dei versi che sono sintesi di tutto questo suo percorso. Li pronunciò in spagnolo. La loro traduzione dice così: “La mia vita è tutta d’amore e, se in amore sono esperto, è a forza di dolore, perché non c’è amante migliore di chi ha molto sofferto”.
Josemaría Escrivá, santo. Ma di quale santità si trattava?
San Giovanni Paolo II nell’omelia di canonizzazione, in quella piazza gremita che è nel ricordo indelebile di tutti, coniò una frase per descrivere Escrivá: il santo dell’ordinario. Cosa voleva dire e cosa vuol dire quella frase? Il significato è semplice, e - al contempo - molto profondo: possiamo unirci a Dio in un cammino di santificazione, con il nostro fedele compimento degli impegni quotidiani, nello stato di vita in cui ci troviamo. Escrivá aveva adempiuto a questi impegni nel suo stato di sacerdote. Nel centenario della nascita, quando ancora non si sapeva della canonizzazione, nel gennaio 2002, l’allora Prelato dell’Opus Dei, Monsignor Echevarría in occasione di un congresso internazionale - che vedeva coinvolti prelati e uomini di cultura - sulla figura del fondatore dell’Opus Dei, scelse come tema: la grandezza della vita ordinaria. Era un titolo che ben identificava la santità di Escrivá. Il Signore ci chiama alla santità - chiamata rivolta a tutti - in quel compimento dei nostri doveri quotidiani. Non ci può essere esercizio di quelle che definiamo “virtù eroiche” senza adempiere all’ordinario. In Escrivá le due cose andavano di pari passo.