Blaj , mercoledì, 14. agosto, 2019 10:00 (ACI Stampa).
La beatificazione di sette vescovi greco-cattolici celebrata in Romania da Papa Francesco lo scorso 2 giugno era molto più di una Messa. Era il riscatto di un popolo, di una Chiesa che era rimasta ai margini e che doveva essere annientata. E proprio la Chiesa Greco-Cattolica era la prima vittima designata. Piccola, legata a Roma, simile alla Chiesa ortodossa per il rito, ma non legata allo Stato totalitario.
In realtà, la Chiesa cattolica in Romania aveva avuto il suo impatto, nonostante la popolazione fosse a maggioranza ortodossa, e questo già dal XIX secolo, quando lo Stato cominciava ad emergere. Quando poi, dopo la Prima Guerra Mondiale, si giunse alla Grande Romania, con territorio ingrandito di un terzo, la Santa Sede cercò subito un concordato con il nuovo Stato, e lo andò a stabilire nel 1927.
Dopo la Seconda Guerra Mondiale, comincia la persecuzione. E colpisce soprattutto il mondo greco-cattolico. Il Concordato viene spesso disatteso dal governo di Petru Groza, con la scusa che la Santa Sede volesse convertire la popolazione ortodossa.
Nel 1946, il governo Groza dichiarò il nunzio Andrea Cassulo persona non grata, con l’accusa di aver collaborato con Ion Antonescu, dittatore romeno durante la guerra. La Santa Sede sostituì il nunzio Casulo con il nunzio Gerald O’Hara, statunitense, Anche lui fu accusato di spiare per gli Alleati. O’Hara continuò a ordinare vescovi e amministratori, mantenendo vivo il clero.
Il 17 luglio 1948, il governo romeno denunciò unilateralmente il concordato del 1927, e già a dicembre la Chiesa Greco Cattolica fu smembrata e il suo patrimonio trasferito alla Chiesa ortodossa. Furono definite nuove leggi statali per abolire l’autorità papale sui cattolici in Romania, mentre il Dipartimento dei Culti non approvò l’organigramma della Chiesa Cattolica, rendendola di fatto priva di qualunque “ombrello giuridico”.