Come sarà la riforma della Curia? La bozza è stata redatta, inviata per una consultazione mondiale, ha ricevuto emendamenti ed è stata riletta all’ultima riunione del Consiglio dei Cardinali. Molti gli emendamenti, sebbene ci siano state anche particolari lamentele perché non tutti i vescovi che pensavano di ricevere la bozza la hanno realmente ricevuta.
La prima bozza contava 243 articoli, con un capitolo su “Norme generali”, seguito dai capitoli “Segreteria di Stato”, “Dicasteri”, poi i capitoli sulla giurisdizione e quelli sugli uffici della Santa Sede. C’erano poi due capitoli introduttivi, ovvero il Prologo e i “Criteri e principi per la Curia Romana”, che spiega come la riforma della Curia sia basata sul principio del decentramento, chieda una maggiore influenza dei laici, il carattere di servizio negli uffici e maggiore comunicazione interna.
Saltata la differenza tra Congregazioni e Pontifici Consigli, tutti nominati ora “dicastero”, ha fatto molto discutere il fatto che il “Dicastero per l’Evangelizzazione” – risultato dell’accorpamento della Congregazione per l’Evangelizzazione dei Popoli e del Pontificio Consiglio per la Promozione della Nuova Evangelizzazione – venga prima nella lista del “Dicastero della Fede”, la Congregazione della Dottrina della Fede.
Di certo, primo dicastero resta la Segreteria di Stato, che mantiene il nome, resta il centro della Curia come voluto da Paolo VI, ha già acquisito una terza sezione (ora ci sono le sezioni di Affari Generali, Rapporti con gli Stati e personale di ruolo diplomatico della Santa Sede) e dovrebbe includere un secondo sottosegretario alla seconda sezione, questa volta dedicato al multilaterale, questione cui Papa Francesco ha dato recentemente tanta enfasi.
Insomma, la Segreteria di Stato acquisisce ancora più centralità, e dovrebbe anche includere una “segreteria papale” che abbia lo scopo di coordinare i diversi organismi. Il coordinamento riguarda la convocazione di riunioni di gabinetto, che sono previste proprio per evitare dispersioni di informazioni. Così, nella bozza viene stabilito che i capi dicastero sono “ricevuti personalmente”, mentre ci sono votazioni interdicasteriali su materie che riguardano più competenze e dicasteri, si prevede anche l’istituzione di una commissione interdicasteriale per fatti di maggiore importanza e la convocazione periodidca di dicasteri.
Un primo esempio di applicazione sono state alcune riunioni di ad limina, che hanno visto anche riunioni di Papa Francesco con i vescovi e più dicasteri coinvolti, e l’ultimo incontro interdicasteriale convocato da Papa Francesco con sinodo e metropoliti della Chiesa Greco Cattolica Ucraina.
Altro tema, quello del Camerlengo. Il Camerlengo è colui che guida la Camera Apostolica, ovvero l’organismo che amministra i beni della Chiesa nel periodo di sede vacante. Risale all’XI secolo, quando il funzionario alla guida dell’ufficio era anche il responsabile finanziario della Chiesa.
Dopo la caduta dello Stato pontificio, la Camera apostolica non si riunì, fino a quando, ad inizio 1900, non fu all’organismo restituita la gestione dei beni in sede vacante.
A seguito della lettera apostolica Pontificalis Domus, che andava a riformare la Corte Pontificia e la ridefiniva come Casa Pontificia, la Camera Apostolica era stata
asciugata nei componenti. Al momento, la composizione della Camera Apostolica è di sette persone: il Camerlengo, il vice Camerlengo, l’uditore generale e alcuni prelati chierici di Camera.
Le funzioni della Camera Apostolica sono attualmente regolamentate dalla Pastor Bonus di San Giovanni Paolo II, dove si spiega al numero 171 che la Camera “svolge soprattutto le funzioni che sono ad essa assegnate dalla speciale legge relativa alla Sede Apostolica vacante. Quando è vacante la Sede Apostolica, è diritto e dovere del Cardinale camerlengo di santa romana Chiesa di richiedere, anche per mezzo di un suo delegato, da tutte le Amministrazioni dipendenti dalla Santa Sede le relazioni circa il loro stato patrimoniale ed economico, come pure le informazioni intorno agli affari straordinari, che siano eventualmente in corso, e di richiedere, altresì, dalla Prefettura degli Affari Economici della Santa Sede il bilancio generale consuntivo dell’anno precedente, nonché il bilancio preventivo per l'anno seguente”.
Attuale Camerlengo è il Cardinale Kevin J. Farrell, prefetto del Dicastero Laici Famiglia e Vita. Ma, proprio per queste sue competenze economiche, la Praedicate Evangelium prevede che a prendere l’ufficio di Camerlengo sarà quello che, al momento della morte o rinuncia di Papa Francesco, sarà coordinatore del Consiglio per l’Economia.
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Papa Francesco, come ha più volte detto, punta anche ad un cambio di mentalità della Curia. E così, la Praedicate Evangelium sottolinea anche che gli officiali della Curia dovranno dimostrare di avere almeno quattro anni di esperienza, e che è desiderabile svolgano una attività pastorale mentre lavorano in Curia, mentre spetta ai dicasteri curare una formazione personale permanente del loro personale.
In questo senso, la recente nomina di padre Juan Antonio Guerrero Alves come prefetto della Segreteria per l’Economia risponde a questi criteri. Padre Guerrero avrebbe chiesto di non ricevere ordinazione episcopale, per poter tornare ai suoi incarichi nella Compagnia di Gesù al termine del mandato di cinque anni. Si pensa, infatti, a una maggiore mobilità dei membri di Curia, con incarichi a cinque anni non rinnovabili più di una volta.
Oppure, c’è un’altra soluzione, anche questa anticipata dalle decisioni di Papa Francesco: quella di tenere incarichi in Curia e allo stesso tempo una competenza pastorale. Questo è testimoniato dalla nomina dell’arcivescovo Charles J. Scicluna a segretario aggiunto della Congregazione della Dottrina della Fede, lasciandolo però nella sua sede di La Valletta.
Secondo il vescovo Marcello Semeraro, segretario del Consiglio dei Cardinali, tutte queste decisioni si spiegano con il “criterio pastorale”. È attraverso quelle lenti che si devono leggere alcune delle decisioni del Papa: dalla Terza Sezione della Segreteria di Stato, destinata alla cura specifica del personale diplomatico della Santa Sede, fino al Magnum Principium, il motu proprio di Papa Francesco con cui si è data maggiore responsabilità alle conferenze episcopali nella traduzione dei testi sacri; ma anche il lavoro della Pontificia Commissione per la Protezione dei Minori, teso proprio a migliorare la cura pastorale delle vittime.
Questa è una chiave di lettura delle riforme di Papa Francesco, che può portare a varie conclusioni. Ci si aspetta una sempre maggiore responsabilizzazione delle diocesi, perché alla fine è proprio nel lavoro diocesano che si sperimenta la preoccupazione pastorale e la vicinanza con i fedeli. Ci si aspetta una Curia più leggera, non nel senso di strutture, ma nel senso delle responsabilità e anche del peso politico: la Curia serve a far funzionare la macchina, ma è chiamata soprattutto ad avere una cura pastorale delle persone che lavorano in Vaticano e ad aiutare quelli che hanno questo tipo di cura. E ci si aspetta una sempre maggiore pratica della mediazione in campo diplomatico, tra l’altro auspicata dallo stesso Segretario di Stato in tempi non sospetti, quando propose l’apertura di un ufficio delle mediazioni pontificie.
Erano rimaste fuori dal primo dibattito della Curia alcune questioni normative irrisolte, come quella del Papa emerito, mentre colpiva il riferimento nella bozza all’attuazione degli Obiettivi di Sviluppo Umano Sostenibile: in pratica, il linguaggio delle Nazioni Unite era entrato nella bozza di riforma, mettendo da parte la Dottrina Sociale e il principio dello sviluppo umano integrale.