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Riapre la Cappella della Sindone. Per tornare a “salire verso la morte”

Cappella della Sindone | La cupola della Cappella della Sindone, che riaprirà il prossimo 27 settembre | Wikimedia Commons Cappella della Sindone | La cupola della Cappella della Sindone, che riaprirà il prossimo 27 settembre | Wikimedia Commons

La Sindone è lì dal 2000, completamente distesa nella teca lunga oltre cinque metri nella cappella del transetto sinistro del Duomo di Torino ristrutturata per permettere le adeguate conservazioni ambientali per la conservazione. E rimarrà lì anche a partire dal 27 settembre, quando sarà finalmente riaperta la Cappella della Sindone, l’architettura barocca concepita nel 1667 per “salire dentro la morte”.

La Cappella della Sindone era chiusa per restauri dal 1990, e nel 1997 un pauroso incendio rischiò di intaccare anche il Sacro Lino. I restauri che sono stati compiuti hanno implicato alcune delle tecniche più complesse al mondo, e ci sono voluti più di dieci anni per completarlo. Ora, è partito il conto alla rovescia per la sua riapertura. Che presenterà sorprese, ma anche novità.

Perché per accedere alla Cappella non si passerà più dalle scale del Duomo ai lati dell’altare maggiore, ma direttamente dai Musei Reali, e sarà parte integrante del futuro percorso di visita. Una scelta che viene giustificata anche come un ritorno filologico alle origini sabaude, perché la cappella della Sindone si trovava alla stessa altezza del primo piano del Palazzo Reale, dove c’erano gli appartamenti del re, e la corte vi accedeva attraverso la cosiddetta “Galleria della Sindone”. C’era, sì, un accesso dal Duomo, ma vescovo e clero dovevano comunque salire le scale per venerare il Sacro Lino.

Ai Savoia, il lungo lenzuolo era stato ceduto nel 1453 dall’ultimo discendente di Geoffroy de Charmy, il nobile che aveva portato il lenzuolo in Europa, depositandolo nel 1356 a Lirey, in Francia, in una Chiesa da lui stesso fondata. La Sindone rimase proprietà dei Savoia fino al 1983, quando Umberto di Savoia la destinò per testamento alla Santa Sede.

Nel XVII secolo, i Savoia vollero realizzare una cappella per custodire il Sacro Lino. Affidarono l’incarico al frate teatino Guarino Guarini, uno dei maggiori architetti del barocco piemontese. Il lavoro cominciò nel 1667 e si concluse solo nel 1690.

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L’idea di Guarini era quella di rendere, attraverso l’architettura, l’esperienza per salire dentro la morte fino alla luce della gloria divina. Il tutto centrato sulla Sindone come testimonianza estrema del mistero della redenzione, la morte e la resurrezione di Gesù Cristo.

Per questo, l’accesso alla cappella avveniva attraverso due scaloni scuri come i rivestimenti, posti al fondo delle due navate laterali del Duomo e con l’idea di “andar salendo entro la terra”, fino ad arrivare a due stanze circolari da cui si vede il vano centrale. Questo è un cerchio perfetto, immerso nell’oscurità totale se non fosse per le stelle di bronzo sul pavimento che riflettono la luce proveniente dall’alto, e che fanno sì che lo sguardo vada verso l’alto. Dalla penombra della base alla luce della cupola, con una idea di maggiore slancio dato dal fatto che il marmo è nero lucido alla base e diventa grigio della cupola traforata.

E nella cupola, che ancora è sottoposta a lavori di restauro costruttivo per cancellare i danni dell’incendio del 1997, è concepita sulla base dei multipli del numero tre, che rappresentano la trinità, e sulle figure perfette del cerchio, del triangolo e della stella, che stanno a chiamare proprio il cosmo che si muove verso la luce del sole, il Cristo Trionfante che porta l’uomo alla salvezza.

Un capolavoro di architettura e teologia, insomma, che faceva degna cornice alla sindone. Un telo che ancora non ha ricevuto riconoscimento ufficiale da parte della Chiesa, eppure venerato dai Papi, tanto che Paolo VI, in occasione dell’ostensione televisiva della Sindone la sera del 23 novembre 1973, disse: “Io guardo quel volto e tutte le volte che lo guardo il cuore mi dice: è Lui. E' il Signore”. Giovanni Paolo II, visitandola nel 1980, la definì una reliquia “insolita e misteriosa”, mentre Benedetto XVI ricordò che “ogni traccia di sangue” del Sacro Lino “ci parla di amore e vita”, e Papa Francesco, in occasione dell’ostensione televisiva del 2013, disse che “questa immagine – impressa nel telo – parla al nostro cuore e ci spinge a salire il Monte del Calvario, a guardare al legno della Croce, a immergerci nel silenzio eloquente dell’amore” .