Santa Sede e governo non avevano dunque i contatti?
I rappresentanti comunisti in Cecoslovacchia rifiutarono una qualsiasi trattativa con la Santa Sede. Rimanevano come unici partner per dialogare sul futuro della Chiesa cattolica nel paese i vescovi. La Santa Sede permise a loro di tentare una trattativa accompagnando il suo consenso, però, con le istruzioni di come reagire con la massima cautela. La Santa Sede infatti era consapevole del fatto che il governo comunista cercava di rompere l’unità della Conferenza episcopale con un progetto segreto di creare in Cecoslovacchia una “Chiesa nazionale” indipendente dal Vaticano.
Quale era la situazione dei cattolici in Repubblica Ceca?
In seguito agli interventi anticlericali avviati dal regime comunista in tutto il paese nel giugno del 1949 e proseguiti anche negli anni successivi, la Cecoslovacchia ottenne la triste reputazione di essere uno dei più crudeli persecutori della Chiesa cattolica oltre la cortina di ferro. Ai fedeli in Cecoslovacchia fu praticamente proibito di avere contatti con la sede centrale della Chiesa, i quali potevano avvenire soltanto in segreto rappresentando così per loro un grande rischio di essere scoperti. Il contatto degli ecclesiastici e dei fedeli con il Vaticano fu considerato come una collaborazione con la potenza nemica e perciò punito.
Come si comportò, dunque, la Santa Sede?
La Santa Sede cercò ovviamente ogni possibile via d’accesso, tramite la quale si potessero mantenere i contatti con la Chiesa locale in Cecoslovacchia. A questo scopo utilizzò i colli diplomatici e i servizi dei diplomatici occidentali – italiani, francesi e soprattutto austriaci – che grazie alla vicinanza geografica e storica disponevano di buoni contatti e anche nel loro interesse osservarono con attenzione gli avvenimenti nel paese vicino. Le informazioni sulla situazione in Cecoslovacchia forniva anche l’Ambasciata d’Italia presso la Santa Sede dopo averle ricevute dall’Ambasciata d’Italia in Cecoslovacchia. Un altro canale d’informazioni fu la linea gesuita tra il Generale dei Gesuiti di Roma e il Provinciale della Compagnia di Gesù locale. Tuttavia la maggior parte delle informazioni sulla Chiesa in Cecoslovacchia arrivava in Vaticano dai sacerdoti cecoslovacchi in esilio.
Quali sono stati i principali obiettivi della diplomazia della Santa Sede durante quegli anni? E come si sono sviluppate le relazioni successivamente?
Considerando che i materiali negli archivi vaticani risalenti al periodo del pontificato di Pio XII si potranno analizzare soltanto dal mese di marzo 2020, non è per il momento possibile ricostruire esattamente i procedimenti esecutivi nella Curia romana. Tuttavia, anche in mancanza di queste fonti si può affermare che la diplomazia pontificia cercò, nonostante lo spazio di manovre sempre più ristretto, di utilizzare al massimo ogni possibilità per non chiudere la porta alle trattative e per non esporre la Chiesa al rischio dello scontro diretto con il regime comunista prima del necessario oppure prima che fossero pronte le strutture per la sua sopravvivenza.
Quali sono stati i casi di scontro diretto con il regime comunista?
Tipico caso fu quando nel novembre del 1948 arrivarono i tre vescovi cecoslovacchi (Arcivescovo di Praga Beran, amministratore apostolico di Košice Čársky e il Vescovo di Litoměřice Trochta) a Roma in visita “ad limina apostolorum” e gli fu consigliato da papa Pio XII e dal Segretario di Stato cardinal Tardini di protrarre le trattative con il governo e di non creare le occasioni per una celere liquidazione programmata della Chiesa.
Cosa successe dopo i primi anni di realzione con il governo comunista?
Dall’anno 1949 possiamo parlare della fine della prima fase della “Ostpolitik sui generis” vaticana nei confronti della Cecoslovacchia. Da quel momento si intensificarono le posizioni di papa Pio XII in conseguenza della radicalizzazione dei provvedimenti anticattolici nei paesi del blocco sovietico sotto il comando di Mosca. In quel momento fu evidente che non ci si potesse aspettare dal regime comunista in Cecoslovacchia nessun gesto positivo, che non avrebbe voluto mantenere in vita i rapporti diplomatici con il Vaticano e che sarebbe proseguita la persecuzione sistematica del clero e dei fedeli inflessibili, l’espropriazione dei beni della Chiesa, la chiusura degli ordini monastici ecc.
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Quale fu la posizione di Pio XII?
Pio XII si sentì il custode della civiltà cristiana occidentale di fronte alla pressione del bolscevismo e alla secolarizzazione marxista. Il comunismo lo considerava un male, con il quale non è possibile scendere a compromessi, è sostanzialmente perverso e contro il quale bisogna lottare con le “armi spirituali” – pregando, testimoniando la fede, con il martirio e la forza della parola. Il Papa cercò contemporaneamente i modi pratici per garantire la sopravvivenza della Chiesa oltre la cortina di ferro ma dopo la chiusura ermetica dei confini cecoslovacchi fu molto complicato. I comunisti furono molto alterati soprattutto dal decreto di scomunica emesso da Pio XII nel giugno del 1949 che scomunicava dalla Chiesa tutti i membri del Partito comunista.
Quali reazioni ci furono al decreto di scomunica?
La sua emissione provocò un’ondata di provvedimenti da parte dei governi comunisti e Pio XII divenne il nemico principale per l’intero blocco dell’Est. Tuttavia ci furono alcuni prudenti tentativi prudenti del Vaticano di riconciliazione negli anni cinquanta, per es. l’espressione di solidarietà e l’offerta di aiuto materiale dopo le alluvioni in Slovacchia meridionale nel 1954 ma respinti grazie al silenzio ostinato del governo comunista in Cecoslovacchia.
Quale fu la linea dei Papi succeduti a Pio XI?
I successori di Pio XII, i papi Giovanni XXIII e Paolo VI arrivarono alla conclusione, visto che i regimi comunisti si verificarono più resistenti e la divisione del continente più duratura del previsto, che un qualsiasi tentativo di cambiamento radicale della situazione provocherebbe un conflitto nucleare e che soltanto il dialogo e la riduzione della tensione potessero garantire la pace mondiale e la sopravvivenza della Chiesa duramente perseguitata oltre la cortina di ferro. I passi compiuti dalla Santa Sede nella ricerca di sostituire il confronto con il comunismo con un dialogo, descritto come “Ostpolitik” sono indissolubilmente collegati al personaggio del rinomato diplomatico vaticano Agostino Casaroli.