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Quel signore molisano che voleva andare in Ungheria a salvare Mindszenty

La storia è stata rivelata alla presentazione del libro “Il processo del Cardinale Mindszenty nella prospettiva di settanta anni”, curato dallo storico ungherese Andras Fejerdy

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Dopo la rivolta di Budapest del 1956, il Cardinale Jozsef Mindszenty, primate di Ungheria, si rifugiò nella Legazione diplomatica degli Stati Uniti e l’intervento dei carri armati sovietici in Ungheria. E fu in quel periodo che Mindszenty divenne un eroe della Chiesa del silenzio. Non solo un eroe nazionale, ma una personalità internazionale. Eppure, già prima di tutto questo, quando Mindszenty era incarcerato, la sua storia era conosciuta. Tanto da suscitare l’interesse, nemmeno troppo passivo, di un signore molisano.

A raccontare la storia di Bruno Lallo, così si chiamava l’uomo, è stato il professor Matteo Luigi Napolitano, che insegna relazioni internazionali all’Università del Molise ed è membro della Pontificia Accademia di Scienze Storiche. L’occasione era la presentazione del libro “Il processo del Cardinale Mindszenty nella prospettiva di settanta anni”, curato dagli storici András Fejérdy e da Bernadett Wirthné Diera, pubblicato in lingua inglese della Libreria Editrice Vaticana.

Napolitano ha trovato la storia spulciando negli Archivi Vaticani, dove a un certo punto si è imbattuto nelle lettere di Bruno Lallo. Proveniente da Casacalenda, un paesino del basso Molise che oggi conta circa poco più di 2 mila abitanti, Lallo il 17 gennaio scrive a Papa Pio XII, chiedendogli di andare in Ungheria per liberare Mindszenty, che al tempo era in carcere. Lallo addirittura arriva ad offrirsi come prigioniero al posto del cardinale, facendo sapere di voler “abbracciare quei degeneri” (i comunisti) e provare a convertirli.

La lettera arrivò sul tavolo di monsignor Giovambattista Montini, al tempo sostituto della Segreteria di Stato (sarà in futuro Paolo VI) e venne valutata dalla Santa Sede. Si decise, infine, di scrivere al vescovo di Larino chiedendogli di contattare Bruno Lallo, e di distoglierlo dal suo intento, pur ringraziandolo per il suo interesse.

“L'offerta dell'autore della lettera – ha detto il professor Napolitano - sembra essere stata fatta senza alcuna conoscenza politica, ma mostra che anche i ‘cittadini comuni’ che vivevano in luoghi molto appartati erano preoccupati per le sorti del Cardinale”.

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È una storia che testimonia l’importanza del Cardinale Mindszenty, dichiarato venerabile da Papa Francesco nel 2019. Un martire della Chiesa del silenzio, che rimase a malincuore esiliato dalla sua patria dopo aver lasciato la legazione americana dove si era rifugiato a seguito della soppressione della rivolta di Ungheria.

Papa Pio XII, quando lo creò cardinale, gli disse: “Tu sarai il primo dei trentadue a dover sopportare il martirio simboleggiato da questo colore”.

Fu profetico: il Cardinale, che era già stato imprigionato dai comunisti di Bela Kun nel 1918 fu arrestato il 26 dicembre 1948, e l’8 febbraio 1949, dopo essere stato rasato ripulito, vestito delle insegne episcopali, fu condannato all’ergastolo in un processo farsa.

Il 14 febbraio 1949, quando arrivò la notizia della condanna, Pio XII convocò persino un concistoro straordinario. Anche la confessione del Cardinale fu estorta dopo giorni di sevizie, al termine delle quali ebbe la prontezza d’animo di firmare aggiungendo la sigla “C.F.” (coactus feci, l’ho fatto perché sono costretto).

La storia del molisano che voleva salvare il cardinale non deve sorprendere. Perché da sempre Mindsznety si rivelò figura carismatica, ed è un carisma che si sente anche oggi, tanto che sono un milione e mezzo al giorno le preghiere elevate per la sua beatificazione.

Durante la presentazione, padre Bernard Ardura, presidente del Pontificio Comitato di Scienze Storiche, ha ricordato che Mindszenty, dopo la liberazione, avrebbe dovuto impegnarsi a non criticare il governo ungherese all’estero, ma il Cardinale si rifiutò di farlo.

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Il professor Andrea Ciampani, della LUMSA, ha sottolineato che il volume ha notevolmente contribuito al rapporto tra i Paesi dell’Europa centrale e il Vaticano durante la Guerra Fredda, facendo un tentativo “riuscito” di ricostruire la concezione della storia ungherese e dell’Europa centrale, avvalendosi di contributi di scienziati di ogni Paese e di una grande varietà di fonti.

I 25 studi del volume pagine presentano anche la sofferenza e la persecuzione dei contemporanei del sommo sacerdote in Ungheria e nell'Europa centrale e orientale: Tódor Romzsa, greco-cattolico della Transcarpazia, Alojzije Stepinac, croato, il monaco francescano Carlo Prennuschi (Karl Prenuši) Beran e Stefan Wyszyński dalla Polonia. Oltre ai leader della Chiesa cattolica ungherese, József Grősz e Lajos Shvoy, presenta anche il processo al luterano Lajos Ordass e la persecuzione dei Riformati.

Tra questi, Beran cerca il dialogo, pur senza volere collaborare. Anche Wyszyński, apparentemente da una posizione completamente diversa nel contesto del cattolicesimo polacco, cerca un'opportunità di dialogo. József Grősz firmerà l'accordo, ma il suo destino sarà lo stesso in un anno o due. Indipendentemente dalla strategia che ha scelto contro la dittatura comunista, ha cercato di fare gesti o guadagnare tempo, vedendo destini personali, tutte le strategie hanno portato allo stesso risultato.

È anche chiaro dal volume che la politica ecclesiastica sovietica negli anni Quaranta del secolo scorso , quando Stalin accettò in una certa misura con l'ortodossia, come si vede in alcune concessioni fatte a Chiese che operavano in ambito nazionale e che non potevano applicarsi alla Chiesa cattolica, che lavora piuttosto in ambito transnazionale.

Ci sono vari documenti che notano come la nomina di un vescovo da parte del Vaticano era vista dai comunisti come un'ingerenza negli affari interni. In Albania, ad esempio, ai sommi sacerdoti fu offerto di fondare una chiesa nazionale. Ai greco-cattolici in Romania fu anche promesso che, se fossero tornati all'Ortodossia, i loro sacerdoti avrebbero potuto essere rilasciati dalle carceri. Una tendenza simile si verificò in Croazia, Ucraina e Cecoslovacchia in connessione con Hussita.

C’è molto da leggere, in quel libro. Ma c’è soprattutto da ricordare quel pacifista del Molise, convinto di poter prendere il posto del Cardinale in carcere e di convertire i comunisti.