Città del Vaticano , giovedì, 4. giugno, 2020 14:00 (ACI Stampa).
Per il 75esimo anniversario della liberazione di Roma, lo scorso anno, la Hugh O’Flaherty Memorial Association organizzò un piccolo raduno a Roma. E certo, a 75 anni dalla fine della Seconda Guerra Mondiale, nell’anno in cui si aprono gli archivi vaticani relativi al pontificato di Pio XII, la figura di questo sacerdote irlandese nel servizio diplomatico della Santa Sede che a Roma mise in salvo circa 6500 prigionieri di guerra è ancora poco conosciuta.
“Faccio solo il mio dovere”, diceva padre O’Flaherty, quando gli chiedevano il perché di tanti sforzi. Certo, era un dovere pericoloso, che metteva a rischio la propria vita. Uno dei suoi collaboratori, l’agostiniano Anselmus Munster, fu imprigionato e brutalmente torturato dalla Gestapo, ma non tradì mai i membri di quella che era chiamata la Roman Escape Line.
La Roman Escape Line fu attiva tra l’8 settembre 1943 e la liberazione di Roma il 4 giugno 1944, e poi lentamente si dissolse, perché non ce n’era più bisogno. La linea, guidata appunto da padre O’Flaherty, procurava a prigionieri di guerra, ebrei e antifascisti documenti falsi e riparti in conventi, monasteri e appartamenti a Roma e intorno a Roma, senza nessuna distinzione di passaporto o religione.
Padre O’Flaherty era nato a Cahersiveen in Irlanda nel 1898, fu ordinato a Roma nel 1925 e nominato vice rettore del Collegio di Propaganda Fide. Poi, entrò nel servizio diplomatico della Santa Sede, servendo nelle rappresentanze pontificie di Palestina, Haiti, Santo Domingo e Cecoslovacchia, fino ad essere chiamato al Sant’Uffizio nel 1938.
Abitava al Collegio Teutonico, proprio all’interno dello Stato di Città del Vaticano, e questo fu decisivo per la costruzione della Roman Escape Line, una rete straordinariamente efficiente che aiutava i prigionieri di guerra a fuggire. Lo scambio di documenti e di informazioni avvenivano spesso nella Basilica Vaticana, sotto la Pietà di Michelangelo o nei pressi dell’Altare della Cattedra. Venivano stampati passaporti vaticani, e molti erano nascosti proprio nella Città Leonina. Pio XII era certamente informato, e l’apertura degli archivi vaticani sul suo pontificato faranno luce su come il Papa avallasse queste operazioni, nella prudenza resa necessaria dalla guerra.