Città del Vaticano , venerdì, 14. maggio, 2021 11:00 (ACI Stampa).
Il vero progresso non è dato dalle meraviglie della tecnica, che rischiano di sfociare in una tecnocrazia, né nel sempre maggiore accesso alle ricchezze, che creano sempre più squilibri tra ricchi e poveri. Il vero progresso – dice Paolo VI – è “lo sviluppo della coscienza morale che condurrà l’uomo ad assumersi solidarietà allargate e ad aprirsi liberamente agli altri e a Dio”.
Cinquanta anni fa, Paolo VI promulgava la Lettera Apostolica “Octogesima Adveniens”, per l’ottantesimo anniversario della Rerum Novarum di Leone XIII. Da una enciclica a una lettera apostolica, una forma di documento che Paolo VI ha sempre preferito dalle controversie della Humanae Vitae. Per quanto lettera apostolica, però, l’Octogesima Adveniens, ha il peso di una enciclica, ed è una fotografia della dottrina sociale secondo Paolo VI, il naturale sviluppo della sua Populorum Progressio. Ma è anche, come quasi sempre negli scritti del Papa santo, profetica, perché fotografa una realtà di allora che in realtà dice molto dell’oggi.
A partire da un tema principale. L’impegno dei cristiani nel mondo sociale. Sì, l’impegno sociale, l’urgenza di aiutare i poveri, la necessità di costruire un mondo giusto. Ma, prima di tutto, “i cristiani dovranno rinnovare la loro fiducia nella forza e nell’originalità delle esigenze evangeliche”, perché “l’evangelo non è sorpassato per il fatto che è s tato annunciato, scritto e vissuto in un contesto socio-culturale differente”, ma piuttosto “la sua ispirazione, arricchita dall’esperienza vivente della tradizione cristiana lungo i secoli, resta sempre nuova per la conversione degli uomini e per il progresso della vita associata, senza che per questo si giunga ad utilizzarla a vantaggio di scelte temporali particolari, dimenticando il suo messaggio universale ed eterno”.
Il testo di Paolo VI è un documento tutto da leggere. C’è l’intuizione dei nuovi squilibri causati dai processi di urbanizzazione, e la richiesta di costruire città a misura d’uomo. C’è la volontà di andare oltre gli squilibri, in nome “della necessità di una maggiore giustizia, di una pace meglio assicurata, in un mutuo rispetto tra gli uomini e tra i popoli”. Ma c’è, soprattutto, una fotografia precisa della situazione dei cristiani nel mondo.
Paolo VI si riferisce alla “Chiesa del silenzio”, dove i cristiani sono “inquadrati senza libertà in un sistema totalitario”, guarda ai luoghi in cui i cristiani “sono debole minoranza”; ma non manca di notare che anche dove la Chiesa “ha una situazione riconosciuta e talvolta in maniera ufficiale”, si trova comunque “esposta ai contraccolpi della crisi che scuote la società”. E questo porta a due reazioni: o la tentazione di impegnarsi “in soluzioni radicali e violente”, o di “prolungare la situazione esistente. È la critica alla secolarizzazione, alle ideologie della lotta armata presenti al tempo in America Latina, alla volontà di mantenere le proprie strutture nella spenta Chiesa occidentale.