Il primo riguarda l’investimento della Segreteria di Stato in un immobile di lusso a Londra. Inizialmente, la Santa Sede aveva acquistato quote del palazzo, date in gestione prima al broker Raffaele Mincione, e quindi rilevate e date in gestione al broker Gianluigi Torzi. Questi aveva tenuto per sé le sole quote con diritto di voto, cosa che aveva portato la Santa Sede a decidere di salvare l’investimento rilevando la proprietà del palazzo.
Il secondo filone riguarda le accuse di peculato al Cardinale Angelo Becciu, che da sostituto avrebbe favorito una cooperativa legata alla Caritas della diocesi di Ozieri, la SPES, con una donazione da parte della Segreteria di Stato e poi sostenendola di fronte alla richiesta di finanziamento dell’8 per mille.
Il terzo filone riguarda infine l’ingaggio, da parte della Segreteria di Stato, della sedicente esperta di intelligence Cecilia Marogna, che avrebbe poi usato il denaro ricevuto per fini personali e non istituzionali.
Tre processi in uno, dunque, che vanno distinti, e che hanno come punto in comune solo la questione della gestione della Segreteria di Stato.
L’interrogatorio De Franssu
Il 16 febbraio è stato il giorno dell’interrogatorio del presidente dello IOR Jean-Baptiste de Franssu. Quando la Segreteria di Stato aveva rilevato tutto il palazzo, aveva chiesto allo IOR un prestito di 150 milioni, che sarebbe stato poi restituito, per far fronte all'estinzione di un mutuo che gravava sull'immobile a un tasso di interesse oneroso. Lo IOR prima aveva accettato di erogare il prestito, poi aveva invece improvvisamente rifiutato. Era stato il direttore generale dello IOR, Gianfranco Mammì, a far partire il 2 luglio 2019 la denuncia che ha dato il via al processo odierno.
De Franssu ha detto di non aver saputo della denuncia solo a cose fatte, ma che non c’era stata “altra scelta per l’istituto”, anche per far fronte alle pressioni che ricevevano per fornire il prestito. Anzi, ha raccontato che c’era stato un incontro il 25 luglio convocato dal Cardinale Pietro Parolin, Segretario di Stato vaticano, cui hanno partecipato l’arcivescovo Edgar Pena Parra, sostituto della Segreteria di Stato, il presidente e il direttore dell’Autorità di Informazione Finanziaria René Bruelhart e Tommaso Di Ruzza, lo stesso De Franssu insieme al direttore generale dello IOR Gianfranco Mammì.
In quell’occasione, ha detto de Franssu, l’AIF era rimasta in silenzio, per prenderlo poi da parte alla fine dell’incontro chiedendogli conto della sua “ostinazione” nel non voler procedere. Mentre a parlare durante era stato Pena Parra, che aveva dato a De Franssu e al board degli “incompetenti”, cosa che il presidente dello IOR ha rimarcato stizzito più volte.
Non si sa se Mammì abbia preso parte alla conversazione, ma di certo si sa che aveva già fatto partire la denuncia. Non è stata ammessa dal tribunale la domanda che cercava di chiarire se il Papa fosse stato informato, ma nel suo memoriale Pena Parra fa notare che il Papa era stato informato, e che sarebbe stato informato dopo la riunione dallo stesso Parolin.
In quel momento, però, i rapporti erano già compromessi. Lo IOR aveva dato con una lettera massima disponibilità al prestito, ma poi aveva fatto marcia indietro. De Franssu ha spiegato al tribunale che, sì, la lettera è impostata a fornire la massima collaborazione con l’autorità, ma non significa che non si dovessero fare verifiche dopo, e che dalle verifiche con i database internazionali era risultato il rischio di riciclaggio per la presenza di Mincione e Torzi. Insomma, non era un problema di copertura finanziaria, quanto di reputazione.
E resta però l’anomalia che una richiesta della Segreteria di Stato, cioè del governo, non abbia seguito. Dall’altra parte c’è l’AIF che riceve segnalazione della Segreteria di Stato, analizza la transazione, propone una alternativa per evitare il rischio di riciclaggio, e avvia comunque una serie di indagini con le unità di informazione finanziaria coinvolte che sarebbero continuate anche dopo il termine delle operazioni.
Sarebbe da chiedersi, forse, chi ha voluto fermare l’attività di indagine dell’AIF, che comunque ha cercato di aiutare l’istituzione ad uscire da una piega difficile.
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De Franssu ha considerato ogni sollecitazione una pressione, ha collegato al suo rifiuto anche una nota su una transazione dello IOR con l’istituto finanziario INVESCO, “una cosa minima”, ha detto, che però era finita sotto i riflettori anche perché INVESCO era stato per 30 anni la casa di De Franssu. Per tutta risposta, il presidente dello IOR invia al Cardinale Parolin una nota riguardante un processo che lo IOR ha a Malta, per l'acquisto del prestigioso ex Palazzo della Borsa di Budapest. È un caso complicato, dove lo IOR viene anche accusato di aver, una volta aperto il procedimento, rifiutato ogni offerta per l'acquisizione del palazzo che avrebbe ripianato debito e contenzioso solo nella volontà di discreditare il vecchio management dell'Istituto. Saranno i giudici a stabilire la verità processuale. Si nota, però, la volontà di De Franssu di marcare una certa discontinuità con la vecchia gestione, nonostante questa avesse lasciato con un utile di 86,6 milioni di euro che non si è più verificato negli anni successivi.
Ma perché lo IOR non poteva dare il prestito? De Franssu dice che la normativa lo impediva e che qualunque attività di prestito era stata bloccata nel 2014. A parte che la normativa, letta già durante l’interrogatorio di Mammì, concedeva allo IOR – che non è una banca – di dare credito per fini istituzionali, ci sarebbero almeno altri due casi negli ultimi anni in cui l’istituto ha aiutato a ripianare debiti: il prestito di 11 milioni alla diocesi di Terni, contabilizzato nel rapporto IOR 2014 ma precedente alla gestione De Franssu, e quindi la questione che riguarda il monastero benedettino di Dalia, nella diocesi di Porec-Pula, che risolveva un contenziosotra l’abbazia e la vecchia proprietà del monastero. La vicenda era del 2011, l’aiuto IOR era stato ottenuto nel 2018-2019, quando era già arcivescovo Dražen Kutleša. Questi, tra l’altro, è stato nominato questa settimana da Papa Francesco coadiutore dell’arcidiocesi di Zagabria.
Il punto era decidere se rispondere alla Segreteria di Stato andava considerata una attività istituzionale o una attività finanziaria, e questo riguarda in senso più largo la considerazione che si ha dello Stato: lo IOR deve sostenere la Santa Sede o agire contro la Santa Sede come un qualunque istituto di credito?
Di minacce ha parlato nella sua testimonianza anche Alessandro Nardi, anche lui sentito come testimone. Nardi aveva lavorato allo IOR come responsabile dell’ufficio compliance, e aveva riferito che Fabrizio Tirabassi, officiale dell’Ufficio Amministrativo della Segreteria di Stato e anche lui imputato, gli aveva detto che “dietro l’operazione di Londra c’erano persone pericolose, capaci di commettere omicidi”. Come pubblico ufficiale, tuttavia, non presentò alcuna denuncia: “Ne parlai con De Franssu e con mia moglie”. Al termine dell’udienza, Tirabassi ha dichiarato: “Non ho mai minacciato Nardi né gli ho riferito espressioni minacciose da parte di terzi”.
La questione Sardegna
L’udienza del 17 febbraio è stata invece dedicata alla questione Sardegna. Sei ore di interrogatori, che hanno incluso il vescovo emerito e poi amministratore apostolico di Ozieri Sebastiano Sanguinetti e l’attuale vescovo Corrado Melis, ma anche sacerdoti della diocesi, il sindaco della cittadina e un officiale della Segreteria di Stato che ha riferito di come il Cardinale Becciu si sia preso cura di monsignor Alberto Perlasca, già capo dell’ufficio amministrativo della Segreteria di Stato, quando questi a luglio 2020 aveva minacciato il suicidio.