L’investimento sulle quote dell’immobile di Londra era nato dopo che la Segreteria di Stato aveva valutato e scartato la possibilità di investire nelle quote di una compagnia di estrazione petrolifera in Angola. Becciu non era già più sostituto quando la Segreteria di Stato aveva deciso di spostare la gestione delle quote dal broker Raffaele Mincione al broker Gianluigi Torzi. Quest’ultimo aveva tenuto per se le uniche mille azioni con diritto di voto, avendo così il controllo totale dell’immobile.
La Segreteria di Stato aveva dunque deciso di acquisire l’immobile, e per questo aveva pagato l’acquisto delle quote a Torzi, per un prezzo che i magistrati considerano frutto di estorsione, e aveva poi cercato di rinegoziare il mutuo che gravava sull’immobile con l’aiuto dell’Istituto delle Opere di Religione.
Questo aveva prima accettato di aiutare la Segreteria di Stato e poi si era tirato indietro, lamentando delle opacità nell’affare e facendo scattare l’indagine del Revisore Generale della Santa Sede che ha portato al processo in corso.
Per quanto riguarda la cosiddetta “vicenda Sardegna”, Becciu è accusato di aver favorito una cooperativa legata alla Caritas della diocesi di Ozieri, e diretta dal fratello, cui ha fatto avere una donazione di 100 mila euro dalla Segreteria di Stato. Quei fondi erano destinati alla ricostruzione di un panificio, che era una delle opere della cooperativa, e sono, a quanto si è appurato, ancora vincolati nel conto della Caritas.
Infine, c’è la questione di Cecilia Marogna, che era stata ingaggiata dalla Segreteria di Stato come consulente e utilizzata in alcune operazioni per la liberazione di religiosi presi in ostaggio. In particolare, Marogna avrebbe fatto da intermediario per la liberazione di Suor Cecilia Narvaez, la suora colombiana che era stata rapita in Mali nel 2017 e liberata nel 2021. In realtà, il ruolo di Marogna è incerto in questa liberazione, mentre è reale il trasferimento di denaro della Segreteria di Stato per pagare il riscatto.
Becciu, su questa vicenda, ha sempre cercato di frapporre il segreto pontificio, considerando che l’operazione era stata autorizzata dal Papa e anche che la notizia della disponibilità a pagare un riscatto avrebbe potuto essere utilizzata a svantaggio della Santa Sede.
Sono tutti dati che servono a comprendere nel dettaglio la corrispondenza prodotta durante il processo.
Le lettere tra Becciu e il Papa
Il promotore di Giustizia Alessandro Diddi ha ottenuto le lettere direttamente dalla “sovrana autorità”, cioè Papa Francesco. Il promotore aveva appreso della corrispondenza leggendo gli atti di una indagine della procura di Sassari in Italia sulla cooperativa Spes, ottenuti tramite rogatoria internazionale.
La prima lettera è di Papa Francesco ed è del 21 luglio 2021, e risponde ad una lettera del 20 luglio di quello stesso anno di Becciu. Non era ancora cominciato il processo vaticano, e il Cardinale chiedeva al Papa di confermare sia di aver dato l’ok all’investimento nell’immobile di Londra e in particolare alla proposta di acquisto dell’onorevole Giancarlo Innocenti Botti (offerta che avrebbe permesso alla Santa Sede di vendere l’immobile su cui gravava un mutuo) sia di confermare il segreto pontificio sulla vicenda Marogna.
In uno stile che sembra più legale che di Papa Francesco, il Papa scrive che la lettera di Becciu lo ha sorpreso, che non vuole entrare nel merito né delle affermazioni del cardinale che delle strategie processuali, ma che ci teneva a sottolineare che la proposta di acquisto dell’immobile di Londra “mi parve subito strana per i contenuti, le forme ed i tempi scelti; al punto che, non disponendo di altri elementi di valutazione, suggerii che si procedesse ad una previa consultazione del Segretario di Stato, cardinale Pietro Parolin, e di padre Juan Antonio Guerrero Alves, prefetto della SPE, per gli approfondimenti di rispettiva competenza”.
Il Papa scriveva poi che la sua iniziale perplessità si rafforzò ulteriormente “quando compresi che l’iniziativa in questione era, tra l'altro, indirizzata ad interferire, con effetti ostativi, con le indagini dell'Ufficio del Promotore di Giustizia”. Da qui il pronunciamento “in senso negativo”.
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Papa Francesco scrive anche che non esiste segreto pontificio sulla vicenda della Marogna, vicenda – scrive – caratterizzata da due situazioni. “La prima – si legge nella lettera - concerne attività istituzionali svolte da persone competenti e di indubbia professionalità nell’ambito dei rispettivi ruoli; la seconda, come Lei sa bene, caratterizzata da estemporanei ed incauti affidamenti di risorse finanziarie distratte dalle finalità tipiche e destinate, secondo le tesi accusatorie, a soddisfare personali inclinazioni voluttuarie”.
Per questo, conclude il Papa, non ci può essere segreto pontificio.
La telefonata al Papa e la nuova lettera
Il 24 luglio, il Cardinale Becciu telefona a Papa Francesco. La registrazione delle telefonata è anche questa finita negli atti delle indagini italiane. Nella telefonata, Becciu lamenta che la lettera del 21 luglio è come una condanna, chiede di annullarla, sottolinea che quella lettera prende in pratica la linea delle tesi dell’accusa. Becciu addirittura dice al Papa che è “mancato il padre”, che il tono della lettera era “tutto giuridico.
Becciu chiede al Papa se ricorda di avergli dao “l’autorizzazione per liberare la suora” e poi dice al Papa che gli basterebbe che lui dichiarasse di averlo autorizzato a fare certe operazioni. Il Papa risponde chiedendo di inviare per iscritto “delle spiegazioni e cosa vorrebbe che io scrivessi”.
Da qui la lettera del Cardinale del 24 luglio, in cui ringrazia il Papa per la telefonata, e dice di aver sentito Francesco “come un vero Padre disposto ad ascoltare la pena di un figlio”.