Le questioni in gioco
La decisione del Papa era dunque quella di liberarsi da ogni tipo di gestione precedente, senza considerare se questa fosse stata positiva o meno. E qui si nota come il Papa intervenga profondamente nel processo. Non solo i quattro rescritti, di cui si è abbondantemente parlato, che hanno anche dato nuovi poteri investigativi agli inquirenti. Se le testimonianze fossero confermate, il Papa avrebbe partecipato a due incontri riguardo la gestione dell’immobile di Londra, e la sua presenza accrediterebbe il fatto che Papa Francesco era stato informato di ogni mossa. Nell’interrogatorio di Genoveffa Ciferri, poi, è stato sostenuto che monsignor Alberto Perlasca avrebbe consegnato il suo memoriale a Papa Francesco, prima di consegnarlo agli inquirenti, e che avrebbe ricevuto l’ok del Papa. E poi, infine, c’è il caso del baciamano concesso a Francesca Immacolata Chaouqui nell’estate del 2022. La donna, che era stata imputata nel secondo processo Vatileaks ed era stata condannata a dieci mesi (pena sospesa con la condizionale) per il concorso nella diffusione di documenti riservati con monsignor Vallejo Balda. Chaouqui si era resa protagonista di diverse intemerate contro il Cardinale Angelo Becciu, e lo stesso cardinale aveva fatto notare al Papa in una email che concedere il baciamano significava anche, indirettamente, sostenere le tesi della donna, considerando che il Papa è anche il primo magistrato dello Stato di Città del Vaticano.
Il Papa rispose che aveva dimenticato la questione, che non voleva entrare nel processo, e che aveva deciso lui di concedere il baciamano, perché magari poteva fare bene. Durante l’interrogatorio, Chaouqui ha detto che informa costantemente il Santo Padre di ogni cosa, senza però entrare nei dettagli.
Le udienze
Le domande sulla presenza e l’intervento del Papa nel processo sono, alla fine, un tema centrale da molte udienze. Il processo, in realtà, ha tre filoni di indagine: quello sull’investimento della Segreteria di Stato in un immobile di lusso a Londra, dato in gestione prima al broker Raffaele Mincione, poi al broker Gianluigi Torzi e poi ripreso in mano dalla Segreteria di Stato quando è stato appurato che Torzi aveva il pieno controllo del Palazzo, avendo tenuto per sé le uniche mille quote con diritto di voto; quindi, il peculato nei confronti del Cardinale Angelo Becciu per aver, nella sua posizione di sostituto, aver inviato fondi della Segreteria di Stato alla Caritas di Ozieri, sua diocesi di origine, secondo l’accusa favorendo la famiglia e in particolare il fratello che ne era presidente; e infine, la vicenda di Cecilia Marogna, la sedicente esperta di intelligence che è stata “contrattata” dalla Segreteria di Stato per aiutare in alcune operazioni in luoghi caldi, e in particolare per la liberazione di alcuni ostaggi, ma che invece avrebbe usato il denaro ricevuto per i suoi fini.
Sono tre storie molto diverse, che però sono confluite in un unico processo, e i cui dettagli rischiano di far perdere il nodo centrale della vicenda. La domanda è se, nella gestione di questi fondi, ci sia stato reato. Ma interrogatori e testimonianze spesso divagano, perdendosi in dettagli che a volte sanno di depistaggio, facendo perdere il nodo centrale della vicenda.
È successo, e spesso, in queste udienze. Sia in quella di Intendente e Giovannini, con in particolare quest’ultimo che si è trincerato dietro tanti non ricordo; sia in quella di Ciferri e Chaouqui, una udienza che a volte ha assunto toni drammatici per il modo aggressivo di rispondere e le costanti divagazioni, che hanno portato più volte il presidente del Tribunale Giuseppe Pignatone a intervenire per ristabilire l’ordine.
Ciferri
Vale la pena soffermarsi più a lungo sulle testimonianze di Ciferri e Chaouqui, che, come detto, non erano nella lista dei testimoni e sono state chiamate dopo che la stessa Ciferri aveva mandato un messaggio al promotore di Giustizia Alessandro Diddi, da lui prontamente riferito al tribunale, spiegando il ruolo che aveva avuto a fianco di monsignor Perlasca.
Ciferri era amica della famiglia di Perlasca, aveva conosciuto poi il monsignore in anni recenti, gli dava del lei ma lo chiamava anche confidenzialmente “volpetto” e aveva deciso anche di cedergli la sua casa e le sue proprietà a Greccio (“una montagna che fu calpestata da San Francesco”) in nuda proprietà. La donna ha un precedente penale per estorsione di 53 anni fa, ha collaborato come analista per il DIS, ha un appoggio a Londra.
È stata lei a contattare (sotto falso nome) la giornalista Maria Giovanna Maglie, che aveva scritto un articolo in difesa di Perlasca, per esporle i rischi che correva il monsignore, a suo dire quasi vittima di un omicidio. In realtà, il cardinale Becciu aveva inviato un medico per accertarsi delle sue condizioni, che gli aveva somministrato del valium. La stessa Ciferri ha poi detto di aver esagerato.
Maglie mette in contatto Ciferri con Chaouqui, e Chaouqui, denuncia Ciferri, mostra di avere una conoscenza approfondita non solo delle indagini, ma anche della vita dei giudici, sottolinea sempre che si deve proteggere il promotore di Giustizia Diddi, la guida nell’aiutare Perlasca a testimoniare, addirittura organizza la famosa cena al ristorante “Scarpone” di Perlasca con il Cardinale Becciu, dove Perlasca sembra addirittura convinto ci sarà una registrazione da parte della Gendarmeria.
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E ancora, Ciferri sottolinea che Chaouqui mostra di vantare vari contatti nella Gendarmeria Vaticana, si riferisce sempre ad un certo Gianluca (presumibilmente Gauzzi Broccoletti, attuale comandante della Gendarmeria Vaticana), parla molto bene di Stefano De Santis, che è poi il gendarme che ha condotto le indagini sulla vicenda del Palazzo di Londra.
Infine, Ciferri sottolinea di aver voluto parlare con il Cardinale Becciu proprio per cercare di aiutare monsignor Perlasca, e che, dopo un colloquio particolarmente acceso nel suo appartamento, sarebbe uscita dicendo: “Io sarò sempre una sua nemica schierata”, sottolineando che di lì ad una settimana il cardinale avrebbe potuto perdere il cardinalato. Alla domanda del presidente del Tribunale del perché avesse definito un lasso di tempo così preciso, considerando che poi il cardinale verrà privato delle sue prerogative cardinalizie da Papa Francesco proprio una settimana dopo, Ciferri si limita a dire che lei “sapeva che in una settimana Perlasca avrebbe ceduto e avrebbe inviato il memoriale”. Ciferri, infatti, lamentava che Perlasca fosse completamente succube del Cardinale Becciu e che avesse operato per permettergli di liberarsi da quella oppressione e di poter finalmente dire la verità, senza pagare in prima persona.
Chaouqui
Che Perlasca dovesse parlare è l’unico punto in cui Chaouqui e Ciferri concordano. Chaouqui, appena saputo delle perquisizioni in Segreteria di Stato – lo racconta lei – contatta Perlasca, cerca di spingerlo a parlare, a dire la verità, perché lei vuole che il Santo Padre sappia. Per Chaouqui, l’ingresso della Gendarmeria nel Palazzo Apostolico è finalmente la vittoria sulla Segreteria di Stato, perché il Papa aveva provato una prima volta con la COSEA (Commissione sulla Struttura Economico Amministrativa della Santa Sede) di cui era membro nel 2014, poi aveva provato con la Segreteria per l’Economia e infine era riuscito con la Gendarmeria.
Chaouqui lamenta che, da membro della COSEA, faticava ad avere i dati di cui necessitava dalla Segreteria di Stato, che addirittura Perlasca avesse mandato di non parlarle, e che la Segreteria di Stato facesse resistenza alle necessarie riforme economiche.
Proprio per questo, lei spinge Perlasca a parlare, anche con parole forti (“io non minaccio, io uso parole dure perché spesso sono l’unica donna e ho visto che ottengo di più così che usando per favore”) e con reazioni spropositate, negando però di aver mai avuto un tono intimidatorio, anche se i messaggi agli atti sembrerebbero dire il contrario.