L’1 dicembre, è stato finalmente sentito il direttore generale dello IOR Gianfranco Mammì. È stata sua la segnalazione che ha dato il via al processo. La Segreteria di Stato aveva chiesto all’Istituto di Opere di Religione di rilevare il mutuo acceso presso Cheyne Capital con un altro prestito, che sarebbe servito a entrare in pieno possesso del palazzo di Londra e avrebbe anche permesso allo IOR un piccolo profitto.
Dopo vari studi, lo IOR aveva acconsentito al prestito, salvo poi fare marcia indietro tre giorni dopo. Nel mezzo, lo stesso Pena Parra aveva fatto pedinare il direttore dello IOR Mammì.
Nell’interrogatorio, Mammì ha detto che lo IOR poteva fare prestiti solo in casi specifici, e che aveva persino avvertito una pressione a fare il prestito, anzi, che l’Autorità di Informazione Finanziaria non si era comportata in maniera terza, ma come parte in causa, facendo pressioni perché lo IOR accettasse di fare una operazione che a suo dire non aveva adeguate coperture.
Poi però a Mammì è stato letto un documento che dimostrava come lo IOR fosse autorizzato a fare prestiti, sempre in determinate condizioni, e lui ha sottolineato che era vero, ma che le condizioni non si erano verificate.
Quindi, è stato letto dalle difese un altro documento che dava parere positivo sul prestito alla Segreteria di Stato, pur facendo emergere qualche criticità. “Voi potete dire che quel parere tecnico è positivo, ma per me è negativo”, è stata la risposta, secca, di Mammì.
Quindi, Mammì ha detto di aver partecipato ad una riunione in Segreteria di Stato dopo aver fatto la denuncia per l’operazione del palazzo di Londra, e di non aver detto niente per riservatezza. Quando però gli è stato chiesto se avesse detto prima della denuncia, ha negato di averlo detto.
È stata una testimonianza a tratti precisa, a tratti aggressiva, con diverse contraddizioni e anche opinioni personali. Resta da comprendere perché, se tuti i pareri erano a favore, Mammì aveva deciso piuttosto di denunciare. Tanto più che lo IOR ha dei precedenti di prestito più ingenti, come quello per il monastero di Dalia in Croazia, e dunque non ha un pregiudizio storico nei confronti del sostegno.
Resta anche da comprendere se, dati i bilanci sempre più in discesa nonostante una narrativa che punta a mostrarne la positività, lo IOR avesse la liquidità necessaria per il prestito. Altrimenti, l’intera operazione potrebbe definirsi come un depistaggio delle autorità vaticane nel raccogliere prove per le indagini.
Resta che l’interrogatorio di Mammì ha lasciato più dubbi che risposte. Sono dubbi che ci limitiamo a fornire al lettore.
Le altre testimonianze
In questi giorni sono stati anche sentiti Di Iorio, officiale e notaro della Camera Apostolica, e Luca Dal Fabbro, manager molto noto. Il primo, cui era stato chiesto di apporre una firma, ha detto di aver semplicemente apposto la firma, senza nemmeno conoscere il contenuto dei fogli. Il secondo ha spiegato che era stato chiamato dalla Segreteria di Stato prima a valutare la situazione di Londra, tanto che fu lui a far sapere che le azioni del broker Gianluigi Torzi, che aveva rilevato la gestione, erano le uniche con diritto di voto. Poi, aveva anche consigliato la Segreteria di Stato per altri immobili che aveva a Londra, e infine aveva rinegoziato i prestiti.
E poi c’è stato Fabio Perugia, consulente, che aveva presentato un cliente alla Segreteria di Stato, Valeur, che voleva rilevare il palazzo di Londra e che lamentava che ogni offerta venisse rimbalzata. Era lo stesso cliente di Perugia, che per circa sei mesi era stato socio di Torzi, a lasciare intendere che questo avvenisse per del malaffare in Segreteria di Stato, con un gioco che portava alcune persone coinvolte a prendere delle percentuali.
Da segnalare, infine, la testimonianza del Cardinale Oscar Cantoni sulla presunta subornazione di Becciu nei confronti di Perlasca. Cantoni ha testimoniato che Becciu gli ha chiesto di parlare a Perlasca, ma senza minacciare alcunché.
Alcune conclusioni
Come visto, sono molte le domande che restano aperte. La prima: quale è la credibilità del testimone Perlasca? Che ne porta con sé un’altra: quale è il peso, e soprattutto con chi parla, Francesca Immacolata Chaouqui in Vaticano? Chi passa a lei le informazioni (ad esempio) degli accessi, che sono in mano quasi esclusivamente alla Gendarmeria?
Poi: quale è il ruolo dello IOR nella vicenda? Se l’AIF ha forse peccato di eccesso di istituzionalità nella volontà di aiutare un ente sovrano, perché lo IOR non ha avuto la stessa preoccupazione e perché ha mostrato una preoccupazione che i pareri tecnici non avevano dato?
E infine: c’è un rischio di mettere in questione la terzietà dello stesso promotore di Giustizia proprio perché soggetto a ricevere messaggi da parti vicine alle parti in causa? Lo stesso promotore ha reso nota la situazione riguardante Chaoqui solo prima del secondo interrogatorio di Perlasca, mentre prima dell’inizio dell’altro interrogatorio, con tempistica che potrebbe essere soggetta a domande, aveva portato le carte del processo di Sassari e fatto sentire la telefonata di Becciu al Papa, anche se queste erano parte di un altro procedimento in Italia e non parte del processo vaticano.
Sono domande che restano lì, mentre il procedimento continua. Non si quando questo finirà. Si sa, però, che se non darà risposte a queste domande, sarà un processo tendenzialmente nullo.