Ickx analizza anche le carte conservate nella Curia Generalizia dei Gesuiti, non ancora consultabili ma portate all’attenzione da uno studio di Margit Balogh sul Cardinale Jozef Mindszenty. Sono 25 relazioni, redatti soprattutto da tre gesuiti ungheresi, Sandor Tohotom Nagy, Josef Janosi e Istvan Borbely. Ed è proprio dal primo che si anno le informazioni.
Padre Nagy fu impegnato nel Kalot, il Segretariato nazionale della Gioventù Agraria Cattolica, ma dal 1948 va esule in Uruguay e quindi in Argentina. Lì, lasciata la tonaca, si sposa, diventa massone e scrive nel 1963 le memorie Jesuitas y Masones insieme ad una Lettera Aperta a Sua Santità Paolo VI.
È proprio il libro ad essere di straordinario interesse, perché riporta di cinque viaggi a Roma dello stesso Nagy tra il 1945 e il 1946 e il suo ruolo di mediazione con i sovietici ungheresi. Un ruolo che non si può non considera.
Durante primo viaggio (aprile 1945 – metà agosto 1945), Nagy scrive un rapporto per il vicario generale della compagnia di Gesù, padre Norbert de Boynes, che viene poi inviato a Pio XII. Il rapporto viene dunque discusso con padre Leiber, segretario particolare del Papa, che dà la disponibilità della Santa Sede a finanziare il movimento Kalot, e rendendo dunque inutile il successivo programmato viaggio negli Stati Uniti. Quindi, Nagy incontra il nunzio Angelo Rotta, ultimo rappresentante della Santa Sede in Ungheria prima dell’espulsione, e poi monsignor Silvio Sericano, che sostituiva il pro-segretario di Stato e che gli parlò delle nomine episcopali in Ungheria, e in particolare del primate di Ungheria. A seguito di questo incontro, Nagy scrisse un lungo rapporto su Mindszenty e altri 15 candidati.
Il 4 agosto 1945, Nagy viene ricevuto in una udienza privata di un’ora da Pio XII, con il quale discute dei problemi dei rapporti tra Soviet e Vaticano. Secondo Nagy, Pio XII avrebbe risposto che “la Chiesa sarebbe disposta a fare concessioni, se anche i russi avessero fatto passi positivi”.
È la via del modus vivendi, che è sarà poi perseguita da Casaroli nei suoi frequenti viaggi oltre-Cortina, e che poi viene ribattezzata in maniera molto efficace come modus non moriendi.
Tornato in Ungheria, Nagy si mette all'opera. Tra i suoi vari incontri, va segnalato anche uno di una ora e mezza con il vescovo Mindszenty, dal quale Nagy ha la falsa impressione che il cardinale sia per la soluzione del modus vivendi. Mai idea poté essere più errata, anche perché Mindszenty interpretava il suo ruolo di primate non solo in senso spirituale, ma anche in senso “costituzionale”.
Più volte, nelle relazioni di Nagy, si trova nota della “imprudenza” di Mindszenty, parole che Nagy attribuisce anche a Pio XII o all’allora sostituto Giovanbattista Montini. Una lettura dei fatti che si trova anche nel libro “Tra Est e Ovest. Agostino Casaroli diplomatico vaticano” di Roberto Morozzo Della Rocca, che notava come il Cardinale Mindszenty interpretasse il suo ruolo non solo come quello del Primate di Ungheria, ma anche come quello di un principe.
Nagy torna a Roma tra l’ottobre e il novembre 1945. Incontra monsignor Domenico Tardini, segretario della Sacra Congregazione per gli Affari Ecclesiastici straordinari, e con lui parla della questione dei latifondi ecclesiastici in Ungheria. La posizione della Santa Sede è chiara: nella situazione storica in atto, i latifondi ecclesiastici non sono più del tutto difendibili, e Mindszenty segue “una strada antica quando oggi cerca l’appoggio delle forze aristrocratiche e non del popolo”. Soprattutto, Tardini sottolinea che la Santa Sede sa che gli slavi resteranno la maggioranza anche in territorio ungherese, e afferma che la Russia è considerata il prossimo, più grande territorio di missione.
In un successivo colloquio con padre Leiber, Nagy apprende che in Vaticano non si ha “fiducia in prima linea ad una conversione del bolscevismo, ma piuttosto ad una conversione del popolo sovietico”. E Leiber, in un altro colloquio, fa sapere che “non Mosca ha fatto dei passi, invece noi abbiamo fatto sapere a Mosca che siamo disposti a intraprendere rapporti”.
I messaggi vaticani sono passati attraverso Ankara e poi attraverso gli Stati Uniti, ovvero attraverso la missione di Edward J. Flynn.
Nagy incontra anche per tre volte Giovambattista Montini, dal quale è rassicurato dell’intenzione del Vaticano di avere rapporti diplomatici con l’Unione Sovietica. Per questo, una volta tornato, i sovietici promettono a Nagy – racconta Ickx – che “qualora egli fosse riuscito a tornare da Roma con una dichiarazione positiva del Vaticano, l’ambasciatore Puskin avrebbe fatto in modo che il successivo colloquio confidenziale avesse luogo a Mosca”.
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E si arriva al terzo viaggio, tra il febbraio e il marzo 1946. Il viaggio nasce per partecipare al concistoro che creava Mindszenty cardinale. Nagy arriva tardi, ma riesce comunque ad avere udienza con Pio XII, che – secondo Nagy – definì Mindsznety imprudente, e poi diede a Nagy una procura scritta per avviare le trattative con i russi.
“Padre Nagy – si leggeva nella procura – può presentare ai suoi ‘incaricatori’ la certezza che la Santa Sede è disposta a mettersi in piena consultazione con il governo di Mosca, se da parte sua lo desidera, come era già disposto durante gli anni della guerra”.
E così Nagy, con un passaporto diplomatico, torna a Budapest, e incontra Ostjukin, capo sezione e responsabile dell'Europa Centrale del NKVD, vale a dire i servizi segreti sovietici.
A lui, Nagy parla della disponibilità della Santa Sede ad allacciare relazioni diplomatiche. E Ostjukin ribadisce che la Santa Sede mostra ostilità, e in particolare lo fa il Cardinale Mindszenty, che “sta in tutto in termini di inimicizia con noi”. Nagy spiega che la Santa Sede non determina l’opinione politica del Cardinale, e poi sostiene la riapertura della nunziatura di Budapest, proprio a testimonianza della nuova indole dell’Unione Sovietica nei confronti della religione. Ostjukin, però, rimanda la questione agli organi competenti a Mosca.
Questo dialogo porta Nagy ad una maggiore prudenza in patria, anche per bilanciare le posizioni del Cardinale Mindszenty. Nagy invia anche un documento al Cardinale in cui spiega il modello di modus vivendi il 24 giugno 1946: niente di più lontano dalla visione del Cardinale.
Dal luglio 1946 all’agosto 1946, Nagy è per la quarta volta a Roma, per parlare di modus vivendi, la posizione movimento Kalot e il ruolo del Cardinale Mindszenty. In un suo Rapporto sulle lotte interne del cattolicesimo ungherese (sino al 10 luglio 1946 incluso), Nagy mette anche in luce una serie di caratteristiche di Mindsznety che avrebbero ostacolato o addirittura messo in pericolo la vita di fedeli e sacerdoti, e in particolare mette in luce come la riapertura della nunziatura non sia avvenuta a causa della contrapposizione creata dalle dure posizioni del cardinale Mindszenty.