Città del Vaticano , lunedì, 25. giugno, 2018 11:54 (ACI Stampa).
“Esiste una vita umana concepita, una vita in gestazione, una vita venuta alla luce, una vita bambina, una vita adolescente, una vita adulta, una vita invecchiata e consumata ed esiste la vita eterna. Esiste una vita che è famiglia e comunità, una vita che è invocazione e speranza. Come anche esiste la vita umana fragile e malata, la vita ferita, offesa, avvilita, emarginata, scartata. È sempre vita umana. È la vita delle persone umane, che abitano la terra creata da Dio e condividono la casa comune a tutte le creature viventi”. Lo ha detto il Papa, ricevendo stamane in udienza i partecipanti alla plenaria della Pontificia Accademia per la Vita.
“Il lavoro bello della vita - ha spiegato Francesco - è la generazione di una persona nuova, l’educazione delle sue qualità spirituali e creative, l’iniziazione all’amore della famiglia e della comunità, la cura delle sue vulnerabilità e delle sue ferite; come pure l’iniziazione alla vita di figli di Dio, in Gesù Cristo”. Invece dal peccato arriva “il lavoro sporco della morte” che si verifica quando ad esempio “consegniamo i bambini alla privazione, i poveri alla fame, i perseguitati alla guerra, i vecchi all’abbandono”.
Quando - ha detto ancora il Pontefice - escludiamo “l’altro dal nostro orizzonte, la vita si ripiega su di sé e diventa bene di consumo”. Rischiamo di essere così un nuovo Narciso che “diffonde un virus spirituale assai contagioso, che ci condanna a diventare uomini-specchio e donne-specchio, che vedono soltanto sé stessi e niente altro. È come diventare ciechi alla vita e alla sua dinamica, in quanto dono ricevuto da altri e che chiede di essere posto responsabilmente in circolazione per altri”.
Attraverso la visione globale della bioetica, si potrà “disinnescare la complicità con il lavoro sporco della morte, sostenuto dal peccato. Questa bioetica non si muoverà a partire dalla malattia e dalla morte per decidere il senso della vita e definire il valore della persona. Muoverà piuttosto dalla profonda convinzione dell’irrevocabile dignità della persona umana, così come Dio la ama, dignità di ogni persona, in ogni fase e condizione della sua esistenza, nella ricerca delle forme dell’amore e della cura che devono essere rivolte alla sua vulnerabilità e alla sua fragilità”.
Nella chiave di lettura dell’ecologia integrale bisogna accettare il proprio corpo come dono di Dio “per accogliere e accettare il mondo intero come dono del Padre e casa comune; invece una logica di dominio sul proprio corpo si trasforma in una logica a volte sottile di dominio sul creato. Imparare ad accogliere il proprio corpo, ad averne cura e a rispettare i suoi significati è essenziale per una vera ecologia umana”.