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Papa Francesco: “Non giudicare la Chiesa in base alle crisi causate dagli scandali"

Nel discorso di Natale alla Curia Romana, Papa Francesco invita il dono evitare le polarizzazioni nella Chiesa e di smettere di pensare in conflitto. E chiede il dono della collaborazione

Papa Francesco, discorso di Natale alla Curia | Papa Francesco legge il discorso di auguri di Natale alla Curia Romana, Aula delle Benedizioni, 21 dicembre 2020 | Vatican Media / You Tube Papa Francesco, discorso di Natale alla Curia | Papa Francesco legge il discorso di auguri di Natale alla Curia Romana, Aula delle Benedizioni, 21 dicembre 2020 | Vatican Media / You Tube

Parlando con gli officiali della Curia Romana, Papa Francesco sottolinea che la Chiesa non va giudicata “frettolosamente in base alle crisi causate dagli scandali di ieri e di oggi”, né questa crisi va letta “con le categorie di conflitto – destra e sinistra, progressisti e tradizionalista”, perché cosi si “polarizza, frammenta” e si tradisce la natura stessa della Chiesa. Per questo, la riforma della Chiesa non va pensata come “un rattoppo di un vestito vecchio”, e  non si deve intendere che possa consistere nella mera stesura di una nuova costituzione apostolica. E chiede a tutti il dono della “collaborazione generosa e appassionata nell’annuncio della Buona Novella soprattutto ai poveri”.

I tradizionali auguri di inizio anno alla Curia Romana si trasformano, per Papa Francesco, nell’occasione di ammonire dalle interpretazioni fallaci sulla Chiesa. Nessun discorso programmatico sulla riforma della Curia – come pure era avvenuto negli scorsi anni – e nemmeno l’elencazione di vizi e virtù della Curia – come pure è successo. Piuttosto, la necessità di cercare una nuova unità, di fronte agli scandali, anche mostrando apprezzamento per quanti in Curia lavorano da sempre, con onestà, e senza mai rimanere investiti dagli scandali. Ma chiedendo allo stesso tempo “una disponibilità a tutto tondo” per le riforme, cercando allo stesso tempo di tranquillizzare che il tesoro è dato dalla Tradizione e chiedendo a tutti di smettere di vivere in conflitto.

Un discorso, insomma, più ampio e meno dettagliato, che parte a una riflessione esistenzialista, con una citazione di Hannah Arendt in cui si sottolinea che “il miracolo preserva il mondo”. Per questo – dice Papa Francesco “davanti al Mistero dell’Incarnazione, accanto al Bambino adagiato in una mangiatoia, come pure davanti al Mistero Pasquale, al cospetto dell’uomo crocifisso, troviamo il posto giusto solo se siamo disarmati, umili, essenziali”.

Papa Francesco ricorda che questo è “il Natale della pandemia, della crisi sanitaria, economica sociale e persino ecclesiale che ha colpito ciecamente il mondo intero”, un flagello che è “stato un banco di prova non indifferente e, allo stesso tempo, una grande occasione per convertirci e recuperare autenticità”.

Papa Francesco ricorda la benedizione urbi et orbi del 27 marzo sul sagrato di San Pietro vuoto e il fatto che proprio durante il lockdown sia riuscito a scrivere l’enciclica Fratelli Tutti; nota che proprio nei Vangeli dell’infanzia si trova la nascita “di una nuova complicità e unione che si crea tra coloro che ne sono i protagonisti: Maria, Giuseppe, i pastori, i magi e tutti quelli che, in un modo o nell’altro, hanno offerto la loro fraternità, la loro amicizia affinché potesse essere accolto nel buio della storia il Verbo che si è fatto carne”.

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Per il Papa, dunque, la crisi della pandemia rende opportuno una riflessione sul “significato della crisi”, che “è presente ovunque e in ogni periodo della storia, coinvolge le ideologie, la politica, l’economia, la tecnica, l’ecologia, la religione”, e che è “una tappa obbligata della storia personale e sociale”. Anche la Bibbia – dice il Papa – è piena di situazioni di crisi, da quella di Abramo a quella di Mosè, a quella di Giovanni Battista “attanagliato dal dubbio sull’identità messianica di Gesù”, fino a Saulo di Tarso, San Paolo, “uomo che si è davvero lasciato trasformare dalla crisi”, passando per la crisi “più eloquente: quella di Gesù, con l’esperienza delle tentazioni.

Spiega Papa Francesco: “gli Evangelisti sottolineano che i quaranta giorni vissuti da Gesù nel deserto sono segnati dall’esperienza della fame e della debolezza. Ed è proprio al fondo di questa fame e di questa debolezza che il Maligno cerca di giocare la sua carta vincente, facendo leva sull’umanità stanca di Gesù. Ma in quell’uomo provato dal digiuno il Tentatore sperimenta la presenza del Figlio di Dio che sa vincere la tentazione mediante la Parola di Dio”.

Poi c’è la crisi di Gesù nel Getsemani, alla fine della quale Gesù si consegna nelle mani del Padre, in un “fiducioso abbandono che aprì la via della resurrezione”.

Papa Francesco traspone le realtà bibliche alla situazione della Chiesa. Dobbiamo guardarci – ammonisce – “dal giudicare frettolosamente la Chiesa in base alle crisi causate dagli scandali di ieri e di oggi”.

“Quante volte – chiosa Papa Francesco - anche le nostre analisi ecclesiali sembrano racconti senza speranza”. Ma è una lettura che “non si può dichiarare realistica”, anche perché “qui nella Curia sono molti coloro che danno testimonianza con il loro lavoro umile, discreto, silenzioso, leale, professionale, onesto. Anche il nostro tempo ha i suoi problemi, ma ha anche la testimonianza viva del fatto che il Signore non ha abbandonato il suo popolo, con l’unica differenza che i problemi vanno a finire subito sui giornali, invece i segni di speranza fanno notizia solo dopo molto tempo, e non sempre”.

Continua Papa Francesco: “Chi non guarda la crisi alla luce del Vangelo, si limita a fare l’autopsia di un cadavere. Siamo spaventati dalla crisi non solo perché abbiamo dimenticato di valutarla come il Vangelo ci invita a farlo, ma perché abbiamo scordato che il Vangelo è il primo a metterci in crisi”.[

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La crisi, insomma, è una tappa normale, da accettare, mantenendo “un’intima fiducia che le cose stanno per assumere una nuova forma, scaturita esclusivamente dall’esperienza di una Grazia nascosta nel buio”.

La crisi, poi, non va “confusa con il conflitto” – spiega Papa Francesco – perché mentre la prima ha un esito positivo, “il conflitto crea sempre un contrasto, una competizione, un antagonismo apparentemente senza soluzione fra soggetti divisi in amici da amare e nemici da combattere, con la conseguente vittoria di una delle parti”.

Papa Francesco sottolinea che “la logica del conflitto cerca sempre i ‘colpevoli’ da stigmatizzare e disprezzare e i ‘giusti’ da giustificare per introdurre la consapevolezza – molte volte magica – che questa o quella situazione non ci appartiene”. Ed è questo che porta all’affermarsi di élites o gruppi chiusi che “promuovono logiche limitative e parziali, che impoveriscono l’universalità della nostra missione”.

La Chiesa non può essere letta in conflitto perché “è un Corpo perennemente in crisi proprio perché è vivo, ma non deve mai diventare un corpo in conflitto, con vincitori e vinti”. Così, infatti, “diffonderà timore, diventerà più rigida, meno sinodale, e imporrà una logica uniforme e uniformante, così lontana dalla ricchezza e pluralità che lo Spirito ha donato alla sua Chiesa”.

Papa Francesco spiega ulteriormente che la crisi non porta “una novità in contrapposizione al vecchio”, ma piuttosto “una novità che germoglia dal vecchio e lo rende sempre fecondo”, come il seme che muore e che poi porta frutto.

In questo senso – continua Papa Francesco – “tutte le resistenze che facciamo all’entrare in crisi lasciandoci condurre dallo Spirito nel tempo della prova ci condannano a rimanere soli e sterili. Difendendoci dalla crisi, noi ostacoliamo l’opera della Grazia di Dio che vuole manifestarsi in noi e attraverso di noi”.

Non dobbiamo dunque “spaventarci” se “un certo realismo ci mostra la nostra storia recente solo come la somma di tentativi non sempre riusciti, di scandali, di cadute, di peccati, di contraddizioni, di cortocircuiti nella testimonianza”, perché tutto ciò che “di male, contraddittorio, debole e fragile si manifesta apertamente ci ricorda con ancora maggior forza la necessità di morire a un modo di essere, di ragionare e di agire che non rispecchia il Vangelo. Solo morendo a una certa mentalità riusciremo anche a fare spazio alla novità che lo Spirito suscita costantemente nel cuore della Chiesa”.

La crisi porta ad un aggiornamento, che deve essere affrontato “con una disponibilità a tutto tondo; si deve smettere di pensare alla riforma della Chiesa come a un rattoppo di un vestito vecchio, o alla semplice stesura di una nuova Costituzione Apostolica”.

Papa Francesco sottolinea che “la Chiesa è sempre un vaso di creta, prezioso per ciò che contiene e non per ciò che a volte mostra di sé”, e in questo tempo “sembra evidente che la creta di cui siamo impastati è scheggiata, incrinata, spaccata”.

Esorta Papa Francesco: “Dobbiamo sforzarci affinché la nostra fragilità non diventi ostacolo all’annuncio del Vangelo, ma luogo in cui si manifesta il grande amore con il quale Dio, ricco di misericordia, ci ha amati e ci ama”.

Il Papa ricorda che Gesù mette in guardia dallo “strappare un pezzo da un vestito nuovo per metterlo su un vestito vecchio”, o dal “versare vino nuovo in otri vecchi”, ma che apprezza lo scriba che, divenuto discepolo, “è simile a un padrone di casa che estrae dal suo tesoro cose nuove e cose antiche”.

Questo testo – afferma Papa Francesco – è la Tradizione, in cui “le cose antiche sono costituite dalla verità e dalla grazia che già possediamo. Le cose nuove sono i vari aspetti della verità che via via comprendiamo. Nessuna modalità storica di vivere il Vangelo esaurisce la sua comprensione”.

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Ci vuole, però, grazia dello Spirito Santo, perché senza “si può persino cominciare a pensare la Chiesa in una forma sinodale che però, invece di rifarsi alla comunione, arriva a concepirsi come una qualunque assemblea democratica fatta di maggioranze e minoranze. Solo la presenza dello Spirito Santo fa la differenza”.

Papa Francesco dunque invita ad accettare la crisi come un tempo di grazia, senza interrompere il dialogo con Dio, perché “non conosciamo alcun’altra soluzione ai problemi che stiamo vivendo, se non quella di pregare di più e, nello stesso tempo, fare tutto quanto ci è possibile con più fiducia”. E il Papa auspica che si smetta di “vivere in conflitto e tornassimo invece a sentirci in cammino”.

E specifica il Papa che “la crisi è movimento, fa parte del cammino”, mentre il conflitto è “un finto cammino” che porta come primo male “il chiacchiericcio, il pettegolezzo, che ci chiude nella più triste, sgradevole e asfissiante autoreferenzialità, e trasforma ogni crisi in conflitto”.

Papa Francesco invita tutti a domandarsi "se si vuole seguire Gesù con la docilità dei pastori o con l’auto-protezione di Erode, seguirlo nella crisi o difendersi da Lui nel conflitto".

Papa Francesco dunque chiede un regalo ai membri della Curia: “la vostra collaborazione generosa e appassionata nell’annuncio della Buona Novella soprattutto ai poveri. Ricordiamo che conosce veramente Dio solo chi accoglie il povero che viene dal basso con la sua miseria, e che proprio in questa veste viene inviato dall’alto; non possiamo vedere il volto di Dio, possiamo però sperimentarlo nel suo volgersi verso di noi quando onoriamo il volto del prossimo, dell’altro che ci impegna con i suoi bisogni".

Aggiunge Papa Francesco: "Non vi sia nessuno che ostacoli volontariamente l’opera che il Signore sta compiendo in questo momento, e chiediamo il dono dell’umiltà del servizio affinché Lui cresca e noi diminuiamo”.

Il Papa dona poi un libro sulla vita di Charles de Foucauld, "un maestro della crisi" donatogli da padre Bernard Ardura, e il libro "Olotropia. I verbi della familiarità cristiana", di Gabriele Corini.