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Papa Francesco nel Baltico, il nunzio: “Viene per ravvivare la loro fede”

Arcivescovo Pedro Lopez Quintana | L'arcivescovo Pedro Lopez Quintana, nunzio apostolico in Lituania, Estonia, Lettonia | Alexey Gotovskyi / ACI Group Arcivescovo Pedro Lopez Quintana | L'arcivescovo Pedro Lopez Quintana, nunzio apostolico in Lituania, Estonia, Lettonia | Alexey Gotovskyi / ACI Group

Da una parte, la necessità di ravvivare la fede. Dall’altra, quella di mettere in guardia dai pericoli della secolarizzazione. Così si configura il viaggio di Papa Francesco nei Paesi Baltici. Dal 22 al 25 settembre, Papa Francesco sarà in Lituania, Lettonia ed Estonia, tre Paesi fortemente differenti, uniti però dalla geopolitica, e sotto la cura del nunzio Pedro Lopez Quintana, che dal 2014 è ambasciatore del Papa in tutti e tre i Paesi.

 Che peso ha questo viaggio di Papa Francesco in Lituania, Lettonia ed Estonia?

Si tratta di un evento straordinario. Avviene 25 anni dopo la visita di San Giovanni Paolo II, che venne nel Baltico nel 1993, appena due anni dopo la conquista dell’indipendenza delle due nazioni, quando ancora c’erano gli ultimi soldati sovietici. Un quarto di secolo dopo, il Papa verrà a dare sostegno a queste popolazioni che ormai hanno vissuto la libertà per 25 anni. Da una parte, Papa Francesco ravviverà la fede di queste popolazioni. Dall’altra, ricorderà loro il pericolo della secolarizzazione.

Perché c’è bisogno di mettere in luce il pericolo della secolarizzazione?

Perché i valori che erano la forza di queste nazioni quando lottavano per l’indipendenza, ora sono messi in discussione. Ed è un peccato. In qualche modo, non sanno cosa sia il mondo di valori dei loro antenati.

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Quali sono, allora, le sfide per la Chiesa nei Paesi Baltici?

C’è una realtà veramente differente in ognuno di questi Stati, e la Chiesa ha una presenza differente in ciascuno di essi. In Lituania, per esempio, c’è una maggioranza di Cattolici. Lì, la sfida della Chiesa è quella di sradicare il modo in cui erano abituati a vivere durante il periodo sovietico. In quel tempo, la Chiesa era vista più che altro come un qualcosa di funzionale, si andava in Chiesa per ricevere un servizio. C’è necessità di creare una cura pastorale.

Ma questa è anche una sfida generale…

Sì. Dopo 25 anni di libertà, c’è bisogno ancora di imparare a vivere senza l’oppressione e le limitazioni del regime sovietico. La situazione è molto particolare. Queste nazioni non hanno vissuto tutto il dibattito del Concilio Vaticano II che ha avuto luogo in Occidente, e possono davvero evitare gli sbagli e le cose negative commesse nelle nazioni occidentali negli anni Sessanta e Settanta del secolo scorso. Questa è la sfida della Chiesa qui: mantenere la fede mentre ci si confronta con la modernità, la libertà, il benessere

Anche l’ecumenismo è una grande sfida, anche perché tutte queste nazioni sono state colpite dalla Riforma Protestante. Come sono i rapporti ecumenici?

Anche in questo caso, la situazione è particolare. C’è fraternità, ci sono relazioni ecumeniche molto forti, molto amichevoli. Papa Francesco ha fatto a volte riferimento all’ecumenismo del sangue, non parlando direttamente di queste nazioni. Ma anche qui si è vissuto l’ecumenismo del sangue, perché durante il periodo sovietico, tutti i credenti – Cattolici, Luterani, Ortodossi – hanno sofferto insieme. Questo ha creato una relazione che non si trova in altre nazioni.

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Perché questa relazione è diversa?

Perché troviamo una relazione fraterna, come mai ho visto. L’approccio dei Luterani è quello di “luterani cattolici”, perché sono così vicini alla Chiesa, anche in questa relazione, in questa partecipazione che porta i protestanti a cercare collaborazione non solo in Lituania, dove sono una minoranza, ma anche in Estonia e Lettonia, dove sono una maggioranza. E insieme, le confessioni cristiane affrontano la sfida della secolarizzazione.

Questa necessità di affrontare la secolarizzazione si scontro anche con una crescente emigrazione, soprattutto di giovani. In che modo l’emigrazione colpisce la Chiesa in questi Paesi?

Si tratta di una realtà molto dolorosa, sebbene i dati stiamo migliorando, e alcuni stiano tornando perché la situazione economica è migliorata. Ma all’inizio era facile andare fuori, per cercare un migliore tenore di vita. La Chiesa affronta il fenomeno lavorando con le persone, aiutando loro a mantenere la loro identità, così che quando torneranno non si sentiranno stranieri a casa loro. Si tratta di fare non solo assistenza pratica, ma anche culturale. Ci sono strutture per gli emigrati create già nel tempo dell’Unione Sovietica, per aiutare le persone fuori dal Paese a preservare la loro identità. Poi, la Chiesa è anche a fianco degli Stati, dà consigli per migliorare le situazioni economiche ed evitare questa ondata emigratoria.

Parte dell’identità della nazione è data dal fatto che Innocenzo III la proclamò Terra Mariana…

È una devozione bellissima. La Terra Mariana tocca gli attuali territori di Lettonia ed Estonia, i territori dell’antica Livonia. E questo ha avuto un impatto tale che ancora un sinonimo di Estonia è, per esempio, Terra di Maria. E la devozione a Maria è molto presente tra i Luterani, tanto che la bandiera dei luterani lettoni reca l’immagine di Maria. In Lettonia, il santuario di Aglona è meta di un pellegrinaggio che include non solo i cattolici, ma anche le altre confessioni cristiane. Per quanto riguarda la Lituania, è differente: c’è anche lì una devozione mariana, ma la Lituania è piuttosto la terra della croce. Non solo per la collina delle croci, molto nota, ma perché la croce è caratteristica del popolo lituano. Non è solo un segno di sofferenza, è uno sguardo verso la resurrezione.