Al Tayyib sottolinea: "Abbiamo ragionato sulla situazione del mondo, i disastri delle persone che muoiono, le persone che devono scappare dal loro Paese e abbiamo ragionato su cosa possono fare le religioni per aiutare queste persone".
L’incontro testimonia l’attenzione del Papa per questo lavoro del Consiglio.
Il lavoro culturale del Consiglio degli Anziani si è infatti concretizzato nella Conferenza Internazionale sulla Pace del Cairo del 2017, cui ha partecipato Papa Francesco; nella recente dichiarazione di Islamabad, che ha chiesto di fermare ogni odio nel nome della religione e ha proclamato il 2019 come l’anno “per annichilire il terrorismo, il settarismo e il terrorismo nel Pakistan”; nella Dichiarazione di Marrakech del 2015, che aveva lo scopo di difendere le minoranze religiose nelle terre d’Islam.
La Santa Sede ha osservato il dialogo, e la stessa riapertura dei rapporti con l’istituzione di al Azhar al Cairo nel 2016 va letta in questa ottica. Ma è difficile mantenere gli equilibri, sia per il conflitto tutto interno all’Islam tra sciiti e sunniti, sia perché la situazione è critica in molti Paesi: non a caso, Il Papa, nel suo discorso, ricorda i focolai in Siria, Iraq, Libia e Yemen, quest’ultimo citato anche nell’Angelus di ieri.
Il Grande Imam di al Azhar sottolinea che anche i musulmani hanno pagato le conseguenze del terrorismo, perché sono stati descritti "come membri di una religione del sangue", ricorda che nel Corano ci sono anche fonti "che impediscono e che dicono chiaramente che non si può uccidere nessuno e uccidere le persone", sottolinea i pericoli di "ateismo e nichilismo", che fanno pensare che "la ragione può sostituire la religione", mentre il primo motivo di crisi dell'umanità "è la mancanza di morale e di religione".
"Le guerre lanciate in nome di Dio - dice al Tayyib - non sono colpa della religione, ma della politica che sfrutta la religione, e fa una lettura della religione che è sbagliata" perché "la lettura giusta della religione impedisce a queste persone di di appartenere a questa religione".
Al Tayyib poi ringrazia il Cristianesimo, perché "ha accolto l'Islam, difendendolo dall'ateismo".
Papa Francesco usa l’immagine del diluvio, comune a tante culture, e sottolinea che “anche noi oggi, nel nome di Dio, per salvaguardare la pace, abbiamo bisogno di entrare insieme, come un’unica famiglia, in un’arca che possa solcare i mari in tempesta del mondo: l’arca della fratellanza”.
Il concetto di fraternità, delineato nell’urbi et orbi di Natale, rappresenta dunque una linea guida dell’attività diplomatica di Papa Francesco. Considerarsi fratelli – sottolinea Papa Francesco – parte dal presupposto che Dio “è all’origine di ogni famiglia umana”, e per questo “tutti abbiamo uguale dignità, e nessuno può essere padrone o schiavo degli altri”.
Afferma Papa Francesco: “Non si può onorare il Creatore senza custodire la sacralità di ogni persona e di ogni vita umana: ciascuno è ugualmente prezioso agli occhi di Dio”. E per questo "nel nome di Dio Creatore, dunque, va senza esitazione condannata ogni forma di violenza, perché è una grave profanazione del Nome di Dio utilizzarlo per giustificare l’odio e la violenza contro il fratello. Non esiste violenza che possa essere religiosamente giustificata
Dio, continua il Papa, non guarda alle persone con “uno sguardo di preferenza che esclude”, ma piuttosto “con uno sguardo di benevolenza che include”, e quindi “riconoscere ad ogni essere umano gli stessi diritti è glorificare il nome di Dio sulla terra”.
Papa Francesco delinea l’individualismo come “nemico della fratellanza”, una insidia che “minaccia tutti gli aspetti della vita”, persino la religiosità, e per questo “la condotta religiosa ha bisogno di essere continuamente purificata dalla ricorrente tentazione di giudicare gli altri nemici o avversari”.
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La fratellanza – continua il Papa – implica molteplicità e differenza, e questa si esprime nella pluralità religiosa, che non va ridotta ad una “uniformità forzata” né al “sincretismo conciliante”, quanto piuttosto “all’impegno per la pari dignità di tutti in nome del Misericordioso che ci ha creati”.
Papa Francesco sottolinea che in nome di Dio “va cercata la composizione dei contrasti e la fraternità della diversità”, affermando la proprio identità, ma al tempo stesso sviluppando “il coraggio dell’alterità”, che comporta “il riconoscimento pieno dell’altro e la sua libertà e il conseguente impegno a spendermi perché i suoi diritti fondamentali siano affermati sempre, ovunque e da chiunque”, perché “senza libertà non si è più figli della famiglia umana ma schiavi”.
Questo coraggio della libertà include, prima di tutto, la libertà religiosa, che “non si limita alla sola libertà di culto, ma vede nell’altro veramente un fratello, un figlio della mia stessa umanità che Dio lascia libero, che pertanto nessuna istituzione umana può forzare, nemmeno in nome suo”.
Papa Francesco poi chiede che il dialogo sia “sincero nelle intenzioni”, perché la finzione lo compromette, e per questo c’è bisogno di preghiera, che “incarna il coraggio dell’alterità nei riguardi di Dio”, e “purifica il cuore dal ripiegamento di sé”.
Papa Francesco sottolinea con forza il compito delle religioni, che “non possono rinunciare al compito urgente di costruire ponti tra i popoli e le culture”, e dunque sono chiamate a spendersi “più attivamente, con coraggio e audacia, senza infingimenti, per aiutare la famiglia umana a maturare la capacità di riconciliazione, la visione di speranza e gli itinerari concreti di pace”.
Il Papa chiede di investire sula cultura, per favorire una decrescita dell’odio, dato che “educazione e violenza sono inversamente proporzionali”, ricorda l’impegno degli istituti cattolici nel “promuovere l’educazione alla pace e alla conoscenza reciproca per prevenire la violenza”, mette in luce che i giovani “hanno bisogno di imparare a non cedere alle seduzioni del materialismo, dell’odio e dei pregiudizio,” ma anche “a reagire all’ingiustizia e anche alle dolorose esperienze del passato”, e a “difendere i diritti degli altri con lo stesso vigore con cui difendono i propri diritti”.