Città del Vaticano , lunedì, 29. giugno, 2015 10:15 (ACI Stampa).
“La Chiesa vi vuole maestri di preghiera, di fede e di testimonianza.” Si rivolge così, Papa Francesco, ai 46 arcivescovi metropoliti che nella solennità dei Santi Pietro e Paolo presenziano nella Basilica vaticana alla Messa. Papa Francesco ha cambiato la tradizionale celebrazione. Prima, il Papa benediceva i pallii – che simboleggia la pecora che il pastore porta sulle sue spalle come il Cristo ed è pertanto simbolo del compito pastorale di chi lo indossa – e li imponeva personalmente ai nuovi arcivescovi metropoliti, a segnalarne la giurisdizione in comunione con la Santa Sede. Ma Papa Francesco vuole che l’imposizione dei pallii avvenga a livello locale, e dunque si limiti a benedirli alla presenza dei nuovi metropoliti. L’imposizione avverrà successivamente, ad opera del nunzio apostolico del territorio in cui i nuovi arcivescovi operano che rappresenterà il Papa, in un giorno da definire.
Primo della lista dei nuovi metropoliti, il Cardinal Rainer Maria Woelki, che da Berlino è giunto nell’arcidiocesi di Colonia, che custodisce le spoglie dei Magi. La loro presenza rappresenta l’universalità della Chiesa. Vengono da tutti i continenti, dall’India alla Lituania, dalla Repubblica Dominicana all’Ungheria, dall’Africa al Sudamerica. C’è anche Blaise Cupich, nuovo arcivescovo di Chicago, una nomina che ha suscitato non poco dibattito negli Stati Uniti.
Al di là di ogni lettura di geopolitica ecclesiastica, Papa Francesco come di consueto centra l’omelia sul Vangelo e sulle letture del giorno, e la impernia su tre chiavi: il richiamo alla preghiera, il richiamo alla fede, il richiamo alla testimonianza. Perché è vero che la Prima Lettura parla della prima comunità assediata, ma il Papa sottolinea di non volersi soffermare “sulle atroci, disumane e inspiegabili persecuzioni, purtroppo ancora oggi presenti in tante parti del mondo, spesso sotto gli occhi e nel silenzio di tutti,” ma sottolineare “il coraggio” degli apostoli “di portare avanti l’opera di evangelizzazione, senza timore della morte e del martirio, nel contesto sociale di un impero pagano; venerare la loro vita cristiana che per noi credenti di oggi è un forte richiamo alla preghiera, alla fede e alla testimonianza.”
Un coraggio che derivava loro da queste tre chiavi. La prima, il richiamo alla preghiera. “Se pensiamo a Roma, le catacombe non erano luoghi per sfuggire alle persecuzioni ma erano, innanzitutto, luoghi di preghiera, per santificare la domenica e per elevare, dal grembo della terra, un’adorazione a Dio che non dimentica mai i suoi figli,” ricorda il Papa. E aggiunge che la comunità di Pietro e Paolo ci “insegna che una Chiesa in preghiera è una Chiesa ‘in piedi’, solida, in cammino! Infatti, un cristiano che prega è un cristiano protetto, custodito e sostenuto, ma soprattutto non è solo.”
Papa Francesco prosegue ricordando come a Pietro incarcerato e in preghiera le catene cadono dalle mani, e chiede di pensare a quante volte “il Signore ha esaudito la nostra preghiera inviandoci un angelo,” il quale “inaspettatamente ci viene incontro per tirarci fuori da situazioni difficili. Per strapparci dalle mani della morte e del maligno; per indicarci la via smarrita; per riaccendere in noi la fiamma della speranza; per donarci una carezza; per consolare il nostro cuore affranto; per svegliarci dal sonno esistenziale; o semplicemente per dirci: ‘Non sei solo’”.